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«Violati equilibri secolari che andavano difesi, con risultati opposti a quelli previsti. Sanare i dissesti, correggere le storture, evitare interventi inappropriati. Siamo una terra e un popolo capaci di affrontare le avversità e di rialzarsi»

 |  Editoriale

«Un saluto molto cordiale ai Parlamentari presenti, al Presidente della Regione, al Sindaco, al Presidente della Provincia, ai Sindaci numerosi presenti, a tutti voi, ai ragazzi quissù, ai bravissimi componenti del complesso che ha suonato l’inno di Mameli in maniera così coinvolgente.
Siamo qui, oggi, a ricordare l’alluvione che, trent’anni or sono, inferse una ferita al Piemonte.
Settanta morti, cinquecento feriti, migliaia di sfollati, decine e decine di migliaia di posti di lavoro compromessi.
La piena del Tànaro, del Bormida, del Belbo, sino al Po, colpì Ceva, Alba, Asti, Alessandria, con quattordici vittime, Canelli, Garessio, Acqui, Casale Monferrato, Santena, Crescentino, Trino, Bra.
Quasi trecento i Comuni colpiti, allagati. Completamente isolati gli ospedali che vi erano a Bra, Canelli, Fossano, Nizza Monferrato. Colpite in varia misura le province di Cuneo, Asti, Alessandria, Torino, Vercelli che, con Varallo, pagò anch’essa il tributo altissimo di quattordici vittime L’evento alluvionale più grave dell’intero Novecento in Piemonte, secondo l’Agenzia regionale per la protezione ambientale.
Le tragedie lasciano tracce irreversibili nel cuore e nella mente delle persone, nei luoghi. Dopo una catastrofe nulla è più come prima.
Fare memoria non è soltanto un esercizio di sensibilità e di rispetto nei confronti delle vittime e di coloro che sono rimasti segnati da quelle esperienze.
È anche un appello esigente al senso di comunità e alla responsabilità di quanti ne hanno titolo.
I due momenti dedicati in questa città di Alessandria, con il monumento alle vittime e quello al volontariato, esprimono con efficacia il senso di quel che siamo chiamati a evocare e a fare.
Lo ha poc’anzi sottolineato il Sindaco Abonante, che ringrazio per le sue espressioni. Un evento, quello del 1994, che si è rivelato determinante per la storia della città e dell’intero Paese. Con alcuni protagonisti. Ricordo Marco Bologna, pioniere della Protezione civile, il Vescovo dell’epoca, Fernando Charrier, il “vescovo con gli stivali”, che non fece mancare sostegno e stimolo.
Ne danno conto il ricco calendario di iniziative commemorative, gli speciali della stampa locale, il portale dedicato dal periodico “Il Piccolo”, che il Rettore ha ricordato.
Il Piemonte seppe riprendersi - come poc’anzi ricordava il presidente Cirio - a partire dalla salvaguardia delle fabbriche, dei posti di lavoro.
Come avvenne dopo l’alluvione del Biellese Orientale nel 1968.
Ci si immerse, alacremente, nel lavoro anche qui, ad Alessandria, dove venne, in quelle settimane, il Presidente della Repubblica di allora, Scalfaro.
Nelle tragedie, la Repubblica ha sempre saputo essere presente, con le Forze dell’ordine, con i Vigili del fuoco, con le Forze armate, con la Protezione Civile - nata proprio sulle spinte dell’emergenza – con il sistema delle autonomie locali, con le energie della società civile.
L’Italia non si arrende. Fenomeni naturali avversi vedono in campo, in prima linea, l’esercito dei Sindaci, quella rete preziosa delle associazioni di volontariato: gli “angeli del fango” come sono stati chiamati.
Siamo orgogliosi delle prove offerte dal nostro sistema di Protezione Civile, non a caso preso ad esempio anche in altre nazioni.
Ma il tema non può ridursi alla capacità, alla rapidità, all’efficacia dell’intervento durante le calamità. Bisogna guardare alla prevenzione dei rischi, con una visione di lungo periodo, analoga a quella dell’andamento dell’evoluzione degli eventi naturali.
Non basta proporsi di “mitigare” le avversità. Non sarebbe un proposito all’altezza delle attese e delle esigenze. La storia sovente ci consegna tragedie. Che fare di fronte ad esse?
Gli slogan suggestivi della forza della ricostruzione del “dov’era com’era” meritano di mettere l’energia che li anima a servizio di un equilibrio che non perpetui squilibri e pericoli.
Appare poco previdente evocare, ogni volta, la straordinarietà degli eventi - che tendono, invece, prepotentemente, a riprodursi - per giustificare in quel modo noncuranza verso una visione adeguata e verso progetti di lungo periodo.
Polesine 1951 con la rottura degli argini del Po; Firenze 1966, con l’esondazione dell’Ombrone e dell’Arno; il Biellese, ricordato, del 1968; Valtellina 1987 con il gigantesco sbarramento che interruppe il corso dell’Adda creando un vasto lago artificiale che minacciava i centri sottostanti. I meno giovani - come me - ricorderanno la delicata e impegnativa operazione di “tracimazione” che venne realizzata per quelle acque; Sarno e Quindici 1998; Livorno 2017; Belluno 2018 con la tempesta Vaia; Emilia Romagna 2023.
Non dobbiamo rimuovere la memoria. Del resto, proprio qui ad Alessandria, il Bormida e il Tànaro si sono ripresentati con allarme nel 2016. L’ottobre 2020 ha visto la Sesia travolgere il ponte tra Romagnano e Gattinara, registrando anche il giorno più piovoso degli ultimi 60 anni sul territorio piemontese.
Si tratta di date, di eventi, iscritti nella memoria degli italiani, in quella dei piemontesi e che, ogni giorno, ci interpellano. Siamo portati, istintivamente, a definire le calamità che si presentano come “naturali”.
Che senso va attribuito a questa espressione? Dare per scontato che le calamità debbano ripetersi e che accadono – e accadranno - comunque, a prescindere? Che, tutto sommato, è piuttosto vano opporvisi? E che il massimo che si possa fare, dunque, è tentare di attenuarne gli effetti? Oppure, che la natura, periodicamente, presenta anche il conto della costante propensione dell’uomo a trascurare gli equilibri dell’eco-sistema?
Vanno fatte proprie, di conseguenza, espressioni tra loro in stretta correlazione: mettere in sicurezza i territori - come poc’anzi ricordava il Presidente Cirio - garantire la sicurezza dei nostri concittadini
Le alluvioni, le catastrofi, manifestano i loro effetti negativi, psicologici, economici, ambientali, anche ben oltre l’emergenza.
La sicurezza dei cittadini va tutelata anche dopo gli interventi dispiegati nell’immediatezza per salvare vite.
Quando l’eco degli avvenimenti drammatici scompare dalle cronache non vi devono essere pause o intervalli nel porre in sicurezza i territori e così garantire fiducia e serenità alle popolazioni, per sospingere la ripresa della vita.
Il rilancio delle zone colpite è interesse di tutto il Paese, e qui ne troviamo testimonianza.
La salvaguardia degli assetti idro-geologici e la tutela ambientale sono alleate. Sono amiche delle persone.
Occorre essere consapevoli delle conseguenze di comportamenti umani che, nei secoli, concorrendo alla trasformazione dei territori con la realizzazione di infrastrutture, hanno accentuato e accentuano la violenza d’urto di alcuni fenomeni atmosferici, ad esempio delle correnti di piena nel caso della regimentazione delle acque.
Si sono talvolta violati equilibri secolari che andavano difesi, ottenendo risultati opposti a quelli previsti. E qui è prezioso il richiamo del Presidente Cirio alla saggezza di chi, nei territori, operava con sagacia.
Sanare i dissesti, correggere le storture accumulatesi nel tempo, richiede anzitutto evitare interventi inappropriati che li aggravino. L’occupazione, in pianura, di zone di espansione dei corsi d’acqua, con insediamenti di diverso genere, crescenti nel tempo, ha aumentato i pericoli. Insistere nel pretendere di ridurre i fiumi a canali si è rivelato ad alto rischio. In termini più generali, ridurre, anziché regolare, il deflusso delle acque ha contribuito, inoltre, a fenomeni di desertificazione delle aree più prossime alla immissione nei mari, con impatto negativo sulle produzioni agricole».
Inoltre - come ha notato la Conferenza internazionale di Roma, nel 2017 su “Acqua e clima. Sui grandi fiumi del mondo” - buona parte delle possibilità e delle capacità di sviluppo del nostro pianeta continuano a essere legate all'acqua e alle sue vie, al suo utilizzo, personale e collettivo, alla connessione attraverso la navigabilità dei fiumi, agli usi agricoli e industriali, alla produzione di energia. E, talvolta, continua ad esservi legata la pace, laddove - troppo spesso - l'acqua è stata al centro di drammatici conflitti.
“Addomesticare” l’ambiente è una prova, una sfida affascinante.
Ma, se si interviene alterando l’ordine “naturale” del territorio, senza cautele, si va incontro a eventi imprevedibili. Così come nel caso di incuria nei confronti di territori, che non possono essere abbandonati.
Anche sotto questo aspetto, le aree interne, rurali, collinari, di montagna, richiedono molta più attenzione.
Non esiste una natura “naturalmente” ostile.
Vi è un confronto di elementi che, se costruttivo, conduce al progresso, se mal condotto, provoca devastazione.
Esiste un profilo ulteriore, rispetto al quale, fortunatamente, è cresciuta la consapevolezza: le risorse del pianeta non sono infinite.
Sotto tutti questi aspetti l’intervento dell’uomo è determinante nei due sensi. Il confronto nell’ambito della comunità internazionale ne sta dando altamente conferma. Non solo per la inadeguata consapevolezza di quel che sta accadendo nel mondo, con siccità, carestie conseguenti, migrazioni climatiche, ma anche perché, il clima di scontro, determinato dalle guerre, accantona la preminenza dei problemi reali delle persone, dei popoli, a vantaggio di antistoriche logiche di potenza, prive di qualsiasi valore, allontanando la condivisione di obiettivi a favore del benessere dell’umanità.
Anche sotto questo aspetto la guerra, si conferma - come sempre - quel che è: nemica dell’umanità.
Oggi, qui ad Alessandria, alla presenza degli amministratori di altre zone colpite, delle istituzioni, del volontariato, tra la Repubblica, le sue istituzioni, e una terra e un popolo meritevoli, capaci di affrontare le avversità, di rialzarsi, richiamiamo e ribadiamo il Patto di assumere l’onere di non farsi fuorviare nel loro cammino di progresso, nell’affermazione dei valori di solidarietà e di coesione propri alla nostra comunità.
Quelli che, nelle calamità, l’Italia dimostra di possedere.
Grazie a tutti voi, presenti in questo momento. Momento di memoria e, insieme, di impegno.
Viva il Piemonte, viva la Repubblica».

Questa è la trascrizione integrale del discorso pronunciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al teatro Alessandrino nella sua visita ad Alessandria il 26 novembre, per il trentennale dell’alluvione, l’evento alluvionale più grave dell’intero Novecento in Piemonte.

 

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella è nato a Palermo il 23 luglio 1941. Laureato con lode in Giurisprudenza, ha insegnato diritto parlamentare presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Palermo fino al 1983, anno in cui è stato collocato in aspettativa perché entrato come parlamentare alla Camera dei Deputati, di cui ha fatto parte sino al 2008. Nelle elezioni politiche del 2008 non si è ricandidato e ha concluso la sua attività politica. Il 31 gennaio 2015 è stato eletto dodicesimo Presidente della Repubblica, e rieletto il 29 gennaio 2022.