Viaggio nei sotterranei di Barcellona. La lezione positiva della capitale catalana: da città martire delle alluvioni alla nuova urbanistica underground con 15 serbatoi e reti di scolo che difendono dagli allagamenti della Depresion Aislada en Niveles Alta
Difendere una grande area metropolitana dalle alluvioni? Si può. Si deve. È possibile. Va fatto senza perdere più tempo soprattutto in Italia. Ma se vogliamo capire per bene come si fa, la prima tappa è il tour tra le possenti infrastrutture che stanno salvando dai fenomeni meteo più estremi e spaventosi la capitale della Catalogna.
Barcellona, come la nostra Genova fatte le dovute proporzioni, sembra fatta apposta per subire apocalittici allagamenti. Si è sviluppata in un’area vasta dalle tipiche caratteristiche di rischio idraulico “italiane”, e da sempre è stata ipervulnerabile e sommersa dalle valanghe d’acqua di nubifragi e piene fluviali. Ma oggi è la capitale della resilienza, anzi della resistencia alle piene. Il segreto? È sotto i nostri piedi, nella Barcellona sotterranea le cui possenti volte reggono i capolavori di Gaudí come la Sagrada Família o il Parco Güell e la Casa Batlló, il modernismo catalano nell’arte e nell’architettura così unico e prezioso e la città popolare e cosmopolita. La Barcellona di sotto è un esempio di urbanistica pianificata per la sicurezza da piogge esplosive, con una rete di 15 immensi “depositi” pronti a contenere acqua di piena e con reti di trasporto collegate per scaricarle in mare. Le difese sotterraneo ad alta tecnologia applicata oggi danno molta più sicurezza alla città di sopra.
Barcellona si distende lungo la sua costa mediterranea tra i corsi dei fiume Besós e del gemello Llobregat, dominata alle spalle da catene montuose con i rilievi del Tibidabo a 532 metri, il Montserrat a 720 metri con quei suoi curiosi pinnacoli rocciosi dai quali si apre tutto il panorama della Catalunya dalla vetta di Sant Jeroni a 1236 metri. Così attaccata alle montagne rocciose e cresciuta di fronte gli orizzonti marini è stata un bersaglio fin troppo facile nel mirino delle alluvioni e sembrava non ci fosse altro da fare che supplicare Sant Jordi protettore della Catalogna per quella sua rischiosa collocazione nella più spericolata orografia, nella velenosa morfologia, nella furiosa idrologia e nell’incoscienza dello sviluppo urbanistico che ha deviato, strozzato e tappato col cemento e l’asfalto fiumi e vie d’acqua oggi desaparecidos in città.
Barcellona ha anche il fascino delle città più antiche e temerarie, e sfida le piene fin dai tempi del castrum romano, oggi visibile proprio sotto la Ciutat Vella, il centro storico che custodisce come un tesoro i 4.000 metri quadrati di città romana. Nei secoli successivi, è stata sempre più centro di commerci marittimi da orgogliosa capitale, ma si è dovuta sempre rassegnare ad essere devastata da nubifragi che gonfiano sui Pirenei, costellati da paesaggi da favola e villaggi medievali, fiumi e torrenti che finivano catapultati verso la sinuosa fascia costiera travolgendo la città.
I corsi d’acqua catalani sono all’italiana, torrentizi e missing per gran parte dell’anno quando le agenzie turistiche approfittano delle siccità prolungate per offrire i tracciati fluviali in secca e sabbiosi come “sentieri e piste facili da percorrere in moto e in bicicletta”.
Il primo fiume che lambisce Barcellona è il Besòs che nasce alla confluenza dei torrenti Mogent e Congost e riceve lungo i suoi 54 km le acque dei tributari Tenes, Ripoll e Riera de Caldes. Fino a metà degli anni Novanta, nell’area urbana, è stata una puzzolente rete fognaria a cielo aperto, discarica verso il Mediterraneo di residui di lavorazioni industriali e pesticidi agricoli, trasportando con sé il fetente marchio di “fiume più inquinato d’Europa”. Ma alle soglie del terzo millennio, da unico collettore fognario in aree densamente abitate e industrializzate con l’infamia del più sporco e contaminato corso d’acqua del continente, è iniziato il recupero di naturalità delle sue acque dopo la costruzione di reti fognarie e depuratori che lo rendono oggi persino godibile e trasformato nel “Parc Fluvial del Besòs” con piste ciclabili lungo le rive.
Il suo fiume-gemello è il più lungo Llobregat che sfocia in mare dopo 170 chilometri di corso dalla sorgente a Castellar de n'Hug a 1.295 metri, ed è la principale fonte idrica della regione. Tra i due, calano dalle alture verso la pianura costiera il Ter, il Segre, il Foix, il Riera de Sant Andreu ma scorrendo a valle intubati in canali sotterranei come il Riera de Horta che da torrente attraversava il suo quartiere e sfociava nel Besòs o il Riera Blanca che segnava il confine tra Barcellona e L’Hospitalet de Llobregat, seconda città della Catalogna.
Molti corsi d’acqua oggi risanati, continuano a scorrere per lunghi tratti sotterrati, e in superfice sono stati trasformati anche in parchi e aree fluviali rinaturalizzate, ma tutti sono facili a gonfiarsi con nubifragi fino ad esplodere calando a valanga dalle alture anche oltre i mille metri della Sierra del Montserrat, la “montagna seghettata” per la sua particolare superficie frastagliata, su villaggi, paesi e la ciutat di Barcellona.
Le follie dell’espansione urbanistica no limits della capitale catalana hanno prodotto spietati tombamenti di corsi d’acqua, provocando anche la più impensabile copertura fluviale. Barcellona ha infatti visto nascere “el mejor paseo del mundo”, l’affollatissimo stupendo passeggio lungo la mitica Rambla, il viale alberato più bello e famoso e da overturism H24 sul corpo di un suo torrente che scendeva dal monte di Collserola e attraversava tutta la città fino a sfociare nel mare. Dal XVIII secolo, costruite le prime case intorno al mercato della Boqueria, il torrente fu deviato e la zona divenne asse stradale e di forte espansione urbana. E Rambla, non a caso, richiama la parola araba “ramla” ovvero “arenile”, sabbia. E il solo flusso che scorre ininterrottamente è oggi quello della folla senza la benché minima percezione di avere sotto i piedi il letto dell’antico torrente.
La Rambla poi, fino alla fine del Novecento, era lo stradone che portava alle “acque morte” e maleodoranti perché straordinariamente inquinate della vasta area portuale allora abbandonata al peggior degrado e oggi resuscitata con i deliziosi giardini del porto vecchio, il bel quartiere di pescatori della Barceloneta, il moderno lungomare sul quale si affacciano elegantissimi bar e ristorantini accanto a centri di ricerca avanzati, uffici e all’ospedale e 5 chilometri di stupende spiagge urbane, raggiunte dalla metropolitana.
La Barcellona rassegnata a non salvarsi mai dalle alluvioni, a fine Novecento fece il miracolo. Le piene che hanno sempre annegato nel fango i quartieri più popolari come le piazze e i palazzi del potere, provocando inesorabili stragi di poveri cristi raccontate negli archivi comunali, hanno trovato una soluzione strutturale che la difende.
Il capoluogo della Catalogna, oggi con 1.636.193 abitanti e un’area metropolitana moltiplicata con 36 municipi e una popolazione totale di oltre 5 milioni di abitanti, dall’inesorabile condanna al martirio è passata non a caso quasi indenne dall’incubo della tempesta DANA, acronimo che sta per “Depressione atmosferica isolata ad alta quota”, la “Goccia fredda” che in sette drammatiche giornate di morte e devastazioni ha appena travolto ben 70 comuni di 4 province - Valencia, Cuenca, Albacete, Málaga - con 217 morti finora accertati, 2.600 edifici devastati come strade e ponti e infrastrutture primarie per acqua, elettricità e gas, 48.000 segnalazioni di danni e nella sola provincia di Valencia 54.000 aziende con 354.000 lavoratori in ginocchio. Senza contare il caos e la totale disorganizzazione dimostrata da autorità regionali imbelli guidate dall’ineffabile irresponsabile del mancato allarme e dei mancati soccorsi: il governatore negazionista climatico Manzon, con scene di fango, sputi e bastonate contro il premier spagnolo, il re e la regina.
Quando la DANA, avanzando verso nord-est, sovrastò la capitale catalana, Barcellona si è fatta trovare pronta. Ha anticipato quella che un tempo era la certezza dell’alluvione, entrando in modalità “allarme rosso” con l’allerta emanata in tempo e attivando il sistema idraulico anti-piena di 15 immensi serbatoi sotterranei che hanno intercettato e poi smaltito l’acqua in eccesso salvando l’area urbana. In 4 ore, circa 150 millimetri di acqua hanno allagato tratti di autostrada, reso in gran parte inagibile per mezza giornata l’aeroporto El Prat con 70 voli cancellati, trasformato le ramblas in fiumi scorrenti verso il mare, gonfiato il rio Llobregat e gli altri corsi d’acqua ma senza provocare vittime e con scarsi danni.
Hanno funzionato sia l’alert lanciato dal servizio meteo AEMET, sia l’appello a salire ai piani alti e anche a lasciare i figli a scuola messi nel frattempo al sicuro dagli insegnanti e dal personale di protezione civile, sia l’ordine tassativo di non salire in macchina e di non uscire da casa o uffici. Risultato: un solo salvataggio dei vigili urbani dal finestrino di un incauto guidatore. E il sindaco di Barcellone, Jaume Collboni, poteva respirate di sollievo.
Barcellona è stata soprattutto salvata dalle Olimpiadi del 1992, l’evento propulsore della revolucion urbanistica e del "modello Barcellona" di architettura, ingegneria e tecnologia dell’acqua.
Archiviata la feroce dittatura franchista, conquistata la libertà, per le Olimpiadi hanno preso alla lettera la massima di Gandhi: “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”. E come sono riusciti a “ballare” mettendo fine alla crudeltà delle alluvioni?
Beh, se passate da Ciutad de l'Aigua Passeig de la zona franca al numero 48, trovate la centrale di “Aguas de Barcellona”, gestita dalla “Sociedad General de Aguas de Barcelona” a capitale misto pubblico-privato con i francesi di Suez gestori idrici da una vita. Quando Juan Antonio Gulijarro Ferrer, direttore generale, mi accompagnò nella Barcellona di sotto, insieme all'ingegnere Giovanni Giani con una vita passata tra i problemi dell’acqua e delle sue infrastrutture da manager di Suez, Acea, Publiacqua e oggi presidente di Aquanexa di Algebris investments, sospirava con un: “Ce l’abbiamo fatta avendo una idea chiara in testa: dominare gli effetti del clima e non subirli, reagire al dolore delle catastrofi ripetute realizzando una grande opera non invasiva e in grado di permettere a tutta la città di poter reggere ogni urto di bombe d’acqua. La ricetta che ha funzionato è: determinazione, poca demagogia, tanto lavoro e concretezza. Non abbiamo perso tempo, e abbiamo sfruttato al massimo le nostre intelligenze e capacità e la spinta delle grandi opere delle nostre Olimpiadi che sono un state un successo ed hanno cambiato tutto e in meglio”.
Barcellona, a differenza delle nostre “notti magiche” negli “eventi mondiali” che hanno fatto ridere il mondo per opere non concluse e diverse truffe, ha invece colto al volo l’occasione delle storiche Olimpiadi aprendo cantieri finanziati e più utili che hanno radicalmente risanato e cambiato l’urbanistica e il volto della città di sopra mettendo la municipalidad, con il restyling della città di sotto, al riparo dalle devastazioni di terrificanti alluvioni.
Barcellona ha così potuto progettare sviluppare un sofisticato sistema che oggi conta 15 serbatoi sotterranei per gestire le piogge intense. Possono raccogliere e trattenere milioni di litri di acqua piovana per poi rilasciarla gradualmente nelle enormi tubazioni che la portano ai depuratori a nord e a sud della costa e in mare.
I serbatoi sono distribuiti strategicamente nei punti più critici della città, sotto i quartieri più esposti come Joan Miró, Vall d’Hebron, Raval, Bon Pastor, e Trinitat, in passato regolarmente inondati.
Le immense vasche sotterranee sono capaci di catturare oltre 500.000 metri cubi d’acqua, Ogni vasca può immagazzinarne fino a 70.000 metri cubi ad una velocità di portata di 50 m3/sec, distribuita e smaltita attraverso 57 chilometri di grandi condotte grazie a 20 stazioni di pompaggio e sollevamento, a 24 pluviometri e a 126 altimetri, con un sistema tecnologico governato da 2.197 sensori per il telecontrollo di pressioni e volumi. L'acqua scaricata dai depositi arriva man mano ai due grandi depuratori di Barcellona, uno a nord e l’altro a sud lungo la costa e poi al mare depurata. Le loro dimensioni e capacità variano a seconda delle esigenze delle aree sotto le quali sono installati. Il sistema di gestione è completamente automatizzato e monitorato da un centro di controllo con grandi monitor dove si accendono i percorsi blu della mappa elettronica della rete di fognature e della rete per lo scarico delle acque di pioggia. Si regolano flussi e livelli d’acqua e viene coordinata la distribuzione nei serbatoi in tempo reale, ottimizzando carico e svuotamento. La loro manutenzione è regolare per garantire l’efficienza massima.
"I nostri periodi di ritorno delle alluvioni sono saltati tutti, non sono più prevedibili, è cambiato tutto e con un misto di intelligenza, conoscenza ed efficienza ce l’abbiamo fatta" ci spiegava Angel Villanueva, pianificatore di tecnologie e controllore della rete "a polmone", che “respira” facendo scorrere l'acqua in eccesso a diverse velocità di smaltimento prima di indirizzarla verso gli immensi serbatoi sotterranei e poi svuotandoli con calcoli di algoritmi precisi al millimetro cubo.
E quando i fari sotterranei illuminano i possenti pilastri che reggono i grandi “polmoni” non può che scattare la meraviglia.
Grazie a questo sistema integrato idraulico e tecnologico, Barcellona è riuscita a lasciare nel libro dei ricordi le alluvioni nelle zone più basse della città e nelle aree storicamente inondate. Una parte fondamentale dell’infrastruttura idrica della città la svolgono la rete fognaria che si estende per circa 1.700 chilometri e in parte è collegata ai 15 serbatoi e la rete di drenaggio per le acque meteoriche che capta l’acqua e la distribuisce ai serbatoi. E poi la rete idrica di distribuzione dell’acqua potabile che si estende per oltre 4.500 chilometri per un approvvigionamento affidabile di acqua potabile.
Ma questo sistema difensivo si deve all'indimenticabile sindaco delle Olimpiadi Pasqual Maragall, alcalde di Barcellona tra il 1982 ed il 1997 e presidente della Generalitat de Catalunya tra il 2003 ed il 2006. Eroe della resistenza antifranchista, personalità politica di primo piano della Spagna democratica, economista e intellettuale di dimensione internazionale, fece dei Giochi Olimpici la leva finanziaria e il pretesto politico e culturale per cambiare profilo e viscere della capitale catalana. Non a caso le Olimpiadi di Barcellona sono rimaste nella storia come uno dei maggiori successi nella storia dei grandi eventi mondiali.
I Giochi accelerarono il processo di modernizzazione e rinascita al termine della lunga notte della dittatura franchista. Il disegno della metropoli incrociò il risanamento dei suoi antichi quartieri con il risanamento della linea di costa facendo riapparire le lunghe spiagge allora sommerse da ammassi di scarichi industriali e da discariche di rifiuti urbani, con il disinquinamento del mare grazie ai depuratori, con la gestire dei possenti deflussi di acqua di nubifragi e piene sui circa 100 km quadrati di superficie urbana densamente abitata che facevano esplodere l’insufficiente rete fognaria del tutto inadeguata a reggerli.
In quel 1992, la metropoli subì la sua rivoluzione urbanistica, firmata dall’architetto Oriol Bohigas. Migliorò di colpo in superficie con il porto storico stupendamente collegato all’asse stradale centrale, le mitiche Ramblas, la riqualificazione del fronte mare con aree attrezzate, il verde pubblico ritrovato e i nuovi percorsi pedonali, il porto olimpico e il lungomare, la ritrovata città ottocentesca.
Il Modelo Barcelona ha spinto l’Onu il 4 aprile 2013 a dichiararla “Resilient city model”, concetto moderno che unifica smart city e sustainable city.
Beh, manca un dato: il costo dei depositi “de retencion de agua de lluvia”. Reggetevi forte: Barcellona, negli anni della sua rivoluzione, spese appena 56 milioni di euro che si sono trasformati nei primi 13 enormi depositi sotterranei per la raccolta e lo stoccaggio dell‘acqua piovana. Insomma, appena 56 milioni di investimenti intelligenti dal 1997 al 2006 per la resilienza urbana basata sulla conoscenza e sulla presa di coscienza del rischio e sul lavoro strutturale di prevenzione costante per non piangere morti e non spendere cento volte di più per riparare i danni. Difendersi si può e si deve.