Un Baku nell’acqua. Aria fossile alla Conferenza mondiale sul clima dove risuona il “Drill, baby, drill” del ciclone negazionista innescato da Trump con disimpegni e frenate. Inizia il countdown e restano 7 giorni per un accordo che non c’è
La doccia fredda del ciclone Trump ha ghiacciato qualche euforia iniziale e oggi il fantasma dell’ennesimo flop è l’incubo dei 50 mila delegati di 198 Paesi. Ancora cinque giorni, e venerdì sapremo se Baku finirà, come sembra, nel classico buco nell’acqua, con la Conferenza delle Parti sul clima archiviata come ventinovesima tappa delle occasioni perse in partenza.
Se alla vigilia il mondo aveva una speranzella, questa è stata brutalmente travolta e sepolta dall’elezione del tycoon negazionista, e i segnali più evidenti del disimpegno sono anche nel forfait dei maggiori leader internazionali - Stati Uniti, Cina, India, Brasile, mezza Europa…- rimasti a casa per vari motivi, e anche i discorsi di chi è arrivato erano finora privi di impegni concreti nonostante una agenda della Cop29 piena di impegni per riduzioni di emissioni, l’adattamento, la finanza climatica con aiuti ai paesi in via di sviluppo, il contrasto agli impatti a terra del clima. Ma questa conferenza dell'Onu proprio non decolla, e nello stadio trasformato dal restyling troppe sedie sono rimaste vuote. E il clima è alquanto «fossil fuel friendly».
Le delegazioni non hanno ancora assorbito il colpo assestato dall’elezione del 47esimo Presidente degli Stati Uniti e dall’annuncio di Donald Trump dell’ordine esecutivo per la seconda clamorosa fuoriuscita dall’Accordo di Parigi dopo l’addio nel suo primo mandato. Seguito a ruota dall’uscita a sorpresa dell’Argentina di Javier Gerardo Milei, altro fiero negazionista della prima ora che non ha dato spiegazioni, e dagli interventi choc dei rappresentanti dei Paesi produttori di greggio, a partire dal padrone di casa Ilham Aliyev, presidente dell'Azerbaigian, che neanche lontanamente pensano a ridurre i prelievi ed export di Oil & Gas, convinti che siano un «dono di Dio» e fanno muro su ogni tentativo di accordo per la riduzione di emissioni di gas serra. Vanno a vuoto anche gli appelli del Segretario generale dell'Onu ad agire di fronte all’aumento terrificante della «distruzione climatica» e a non ridurre le ambizioni della transizione energetica globale e locale. A meno di improbabili sorprese al fotofinsh, vinceranno scelte autolesionistiche.
Qualche sorpresa Baku l’ha comunque riservata. È arrivato Darren Woods, Ad della ExxonMobil che ha accumulato decine di cause legali in tutti gli Usa che la ritengono responsabile dell’accelerazione dei cambiamenti climatici, e in una clamorosa intervista al Wall Street Journal si è smarcato da Trump spiegando perché non deve ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi. Il colosso petrolifero statunitense in rotta di collisione con il nuovo Presidente? Vedremo, ma intanto resta agli atti che Woods considera la seconda uscita dagli accordi non solo come l’apertura del vaso di Pandora dell’incertezza e del caos negli sforzi globali per fermare i peggiori effetti climatici, ma esiziale per il business delle aziende «avere il pendolo che oscilla avanti e indietro mentre le amministrazioni cambiano, non credo che le fermate e le partenze siano la cosa giusta per le aziende…Sono estremamente inefficienti. Creano molta incertezza».
Ma la retromarcia degli Stati Uniti è ormai inevitabile e basta scorrere l’elenco dei fedelissimi trumpiani nella nuova squadra di governo che controlleranno ruoli chiave. Nella nuova amministrazione ci sarà il deputato di New York e fierissimo negazionista Lee Zeldin messo alla guida della mitica Agenzia ambientale americana, l’Environmental Protection Agency impegnata nei più rigorosi controlli e nella riduzione delle emissioni dei gas serra, e già promette deregulation ambientale e ridimensionamento dei poteri dell’EPA in nome dei primati dell'energia fossile Usa. Se l'inviato sul clima di Biden, John Podesta, cercava di rassicurare i delegati affermando che la casa Bianca continuerà comunque «a compiere progressi sul clima», Zeldin spiegava che l’Agenzia invece «garantirà rapide decisioni di deregolamentazione per liberare il potere del business americano» in nome del «dominio Usa nell'energia» con maggiori «flessibilità» nell'inquinare. Trump affiderà al Governatore del North Dakota, Doug Burgum, o all'ex Segretario all'energia Dan Bruillette, la doppia mission della gestione dell’uscita dall’accordo di Parigi e dell’espansione delle trivellazioni annullando le penali ai grandi produttori di greggio e gas per il superamento delle soglie di emissioni da metano. Drastiche inversioni di rotta all’orizzonte che, calcolano gli scienziati del clima. rischiano far emettere agli Usa un più 4 miliardi di tonnellate di gas da effetto serra entro fine decennio, pari a un decimo delle emissioni globali odierne di anidride carbonica.
Nel suo governo entrerà Chris Wright, tra i fondatori di Liberty Energy, la corporation che ha spinto la produzione di combustibili fossili con il fracking, l’estrazione di petrolio e gas da giacimenti non convenzionali, definito come “uno dei pionieri che hanno contribuito a lanciare la rivoluzione americana dello scisto, stimolato l’indipendenza energetica americana e trasformato i mercati e la geopolitica globale”. È il petroliere che nel 2019, in diretta su Facebook, beveva liquido estratto dal fracking di terreni scistosi per dimostrare la non tossicità. E nel 2023 su LinkedIn spiegava che «non esiste una crisi climatica, e non siamo neanche in mezzo a una transizione energetica». Doug Burgum, Governatore del South Dakota filo-petrolieri, avrà il pieno controllo sui terreni federali e i parchi nazionali, guidando il Consiglio dell’Energia. E per il Washington Post potrebbe smantellare la “National Oceanic and Atmospheric Administration” considerata «uno dei principali motori degli allarmi sui cambiamenti climatici». Con questi “pionieri” gli Usa rilanceranno il vecchio slogan dei Repubblicani «trivella, baby, trivella». E se «crescono gli oceani? Avremo più proprietà vista mare».
E se anche il Brasile è sotto accusa dal fronte ecologista perché entro il 2035 prevede aumenti di produzione di petrolio e gas del 36%, c’è poco da sperare per la prossima Cop30 nel 2025 in Amazzonia dove nel frattempo è giunto in visita Joe Biden, ed è la prima volta per un Presidente Usa in carica, a testimoniare una presidenza che contro il riscaldamento globale tutto sommato ha rispettato gli impegni, con 11 miliardi di finanziamenti nel 2024 per il clima.
Bisogna sperare nel business, l’unico argomento in grado di modificare scelte suicide del mondo al contrario dei trumpisti. Perché fu proprio la prima uscita degli Usa dagli accordi di Parigi nel 2017 a consentire alla Cina di iniziare a diventare leader mondiale nelle filiere delle tecnologie green con automobili o le tecnologie per l’eolico e il solare. Trump fermerà la Tesla e gli affari a zero emissioni del suo braccio destro Elon Musk? L'Europa della transizione verso la carbon neutrality con il Greeen Deal e il resto del mondo resteranno a guardare lo scontro titanico “Usa contro il resto del mondo” da lontano, e a subire catastrofi e collassi finanziari da catastrofe senza reagire?