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L’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici è in ritardo di sei mesi, ma dal ministero dell’Ambiente tutto tace

 |  Editoriale

Mentre l’Italia continua ad essere divisa dal tragico alternarsi di nubifragi e siccità, e mentre la vicinissima Spagna è stata travolta dall’alluvione Dana – e dal negazionismo climatico dell’estrema destra – che ha provocato oltre 200 morti accertati, si moltiplicano gli appelli al Governo Meloni per dare gambe al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), che ha approvato con merito lo scorso dicembre solo per lasciarlo poi macerare senza governance né fondi.

L’ultima voce a levarsi, nei giorni scorsi, è stata quella del Wwf – come poco prima Legambiente – chiedendo di «tirare fuori dal cassetto il Piano nazionale di adattamento» e di mettere la crisi climatica al centro della legge di Bilancio. Quest’ultimo fronte non si sta materializzando: la finanziaria in bozza introduce un Fondo per la ricostruzione dopo le calamità naturali, ma con (magre) risorse previste solo dal 2027. E sul Pnacc le cose non stanno andando meglio, come relaziona oggi il magazine dell’Università di Padova, Il Bo Live.

Una breve premessa. Le 361 azioni settoriali in cui s’articola il Pnacc sono in larga parte positive – una valutazione condotta da esperti restituisce il 59% delle azioni con giudizio alto, il 29% medio-alto, il 12% medio, medio-basso o basso –, ma senza risorse e governance restano una scatola vuota.

Sono le 4 azioni sistemiche previste dal Pnacc che dovrebbero colmare il gap, e in particolare la prima della lista, ovvero la prevista istituzione di un Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici “composto dai rappresentanti delle Regioni e delle rappresentanze locali, per l’individuazione delle priorità territoriali e settoriali e per il monitoraggio dell’efficacia delle azioni di adattamento”, col non trascurabile compito di “individuare le specifiche fonti di finanziamento per l’attuazione delle azioni individuate dal Pnacc”.

«Il Pnacc non può essere realizzato senza che venga istituito il suddetto Osservatorio – sintetizza nel  merito l’Università di Padova – Al tempo stesso, però, l’istituzione dell’Osservatorio “potrà realizzarsi con il presupposto di un’adeguata copertura economica”, di cui lo stesso l’Osservatorio avrebbe il compito individuare la fonte».

Risultato? Il Piano nazionale d’adattamento ai cambiamenti climatici è ad oggi completamente fermo. La versione del Pnacc varata dal Governo Meloni recita che “A seguito dell’approvazione del Pnacc si procederà con l’istituzione del Comitato e della Segreteria dell’Osservatorio, che sarà effettuata con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase), da emanare entro tre mesi dal decreto ministeriale di approvazione del Pnacc”, pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 8 febbraio.

«Eppure, del decreto del Mase che dovrebbe istituire l’organo a cui è stata demandata l’intera attuazione del Pnacc non abbiamo trovato alcuna traccia – certifica Il Bo dell’Ateneo padovano – Non c’è dunque il rischio che il Pnacc rimanga lettera morta, sostenibilità di carta? È con questo dubbio che ci siamo rivolti al Mase, per capire a che punto del processo di attuazione del Pnacc la catena di trasmissione si sia spezzata, o se questa immobilità sia soltanto apparente. Purtroppo, dal dipartimento per l’Energia del Mase, che è l’organo competente per il Pnacc, non abbiamo ricevuto alcuna risposta».

Ma sicuramente ci sarà modo di tornare a parlarne, basta aspettare la prossima alluvione: le occasioni non mancano, dato che dal 2018 in Italia sono già aumentate del 400%.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.