Avanzando nella penombra: il “chiaroscuro” della transizione eco-tecnologica e la sfida dell’urban mining per l’accesso alle materie prime critiche
Per transizione eco-tecnologica s’intende il processo necessario per raggiungere entro il 2050 l’obiettivo della carbon neutrality: da un mix energetico basato sui combustibili fossili a un sistema energetico a basse o a zero emissioni di carbonio e di gas climalteranti, basato sulle fonti rinnovabili – ed eventualmente il nucleare – per la decarbonizzazione.
Ma questa transizione ‘eco’ è anche una transizione/trasformazione digitale (digital transformation), da intendersi come l'insieme di aspetti tecnologici, culturali, organizzativi, sociali, creativi e manageriali associati all’applicazione della tecnologia digitale in tutti gli ambiti della società – pubblici e privati – finalizzati ad aumentare gli standard di servizio, l'efficienza e la trasparenza, a migliorare le interazioni con i cittadini e i processi decisionali, e a stimolare l'innovazione in nuove forme: automazione (Rpa – Robotic process automation), servitizzazione (servitization o subscription economy), smartworking, ecc. Le logiche sottostanti a questo processo sono in linea con gli obiettivi stabiliti nell’Accordo di Parigi (limitare il riscaldamento medio globale ben al di sotto di 2° Celsius, puntando a un aumento massimo pari a 1,5°C) e dal Green deal europeo, basato su un concetto ampio di sostenibilità che include la dimensione ambientale, sociale ed economica, e che postula non solo una sostituzione di tecnologie e di vettori energetici, ma anche un cambio nel modo di produrre e di consumare l’energia.
Tuttavia, per il raggiungimento della neutralità carbonica e di una maggiore integrazione delle tecnologie rinnovabili nella generazione di energia elettrica, l’approvvigionamento di minerali critici necessari alla loro costruzione richiederà una quantità di materie prime mai estratta prima dal genere umano, come sottolineato da più esperti in materia.
L’edizione 2023 del report della Commissione eruropea Study on the critical raw materials for the Eu, infatti, aggiorna e integra quanto già pubblicato nel documento omonimo del 2020: dalle 14 materie prime critiche (Crms) del 2011 a 34, quattro in più rispetto all’ultimo studio del 2020. Tra queste, per la prima volta vengono identificate le materie prime strategiche (Srms): 17 elementi rilevanti per le tecnologie che supportano la transizione verde e digitale, e gli obiettivi della difesa e dell'industria aerospaziale.
Fino alla metà del 2010 il peso del settore energetico sulla domanda totale dei minerali critici è stato piuttosto contenuto, mentre oggi le tecnologie per l'energia pulita sono il segmento della domanda in più rapida crescita. L’International energy agency (Iea) nel 2023 ha stimato che l’uso di Crms dovuto all’espansione del solo settore delle clean technologies (turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, mobilità elettrica) sia aumentato del 20% dal 2016 al 2021. Ma le Crms sono essenziali anche in settori chiave e strategici come l’high-tech, le batterie per elettronica di largo consumo, la produzione e lo stoccaggio di idrogeno el’industria della difesa (droni) e aerospaziale, il che ne determinerà drasticamente un aumento della domanda nei prossimi anni.
Il World economic forum ci dice infatti che il numero di persone che vivono nelle città e che consumano una quota sempre maggiore di risorse potrebbe raddoppiare fino a raggiungere nel prossimo futuro i 6,4 miliardi, aumentando la pressione sulla domanda di quelle critiche, e che la crescita della popolazione e la continua urbanizzazione e industrializzazione delle economie emergenti saranno fattori determinanti per l’espansione della domanda globale di alcune materie prime in particolare, che saranno chiave nel plasmare il contesto futuro dell’industria mineraria trainata dalla transizione eco-tecnologica in atto.
In particolare, secondo l’Ocse la domanda globale di Crms più che raddoppierà al 2060, passando dagli attuali 79 miliardi di tonnellate a 167 miliardi di tonnellate, il che sancirà una nuova dipendenza – dalle Crms – rispetto a quella attuale dal petrolio, rendendo “feroce” nel prossimo decennio la competizione globale per le materie prime a elevato rischio di approvvigionamento, con un aumento stimato della domanda di metalli strategici dalle 2 alle 13 volte, dipendendo dal minerale, che si tradurrà in un aumento di anche 5-8 volte dell’attuale produzione di metalli di base e geochimicamente rari, in un inevitabile conseguente aumento della pressione estrattiva.
All’aumento della domanda internazionale per soddisfare le esigenze della transizione energetica hanno contribuito anche i recenti avvenimenti nello scenario internazionale – blocco del Canale di Suez nel 2021, pandemia da Covid-19, guerra in Ucraina, ecc –, che hanno riportato l’attenzione sull’importanza e la fragilità delle catene globali di approvvigionamento, sull’interdipendenza delle regioni del mondo e su quanto non si possa ormai eludere il problema dello sfruttamento di certe risorse, soprattutto a fronte del paradigma emergente dell’industria 5.0e del processo di transizione energetica e tecnologica in atto, tutte ad alto consumo di Crms. Nel Rapporto World mining data 2023 si afferma infatti che tra il 1985 e il 2021 la produzione mineraria mondiale è quasi duplicata, passando dalle 9,6 miliardi di tonnellate nel 1985 a 17,9 nel 2021.
Non dobbiamo poi dimenticare che i metalli e i minerali necessari al processo di transizione eco-tecnologica sono geograficamente concentrati in pochi Paesi del mondo, sia in termini di impianti estrattivi già in funzione che di riserve stimate. L'accesso alle Crms accresce quindi la competizione geopolitica, che dipende in larga parte dall’accesso a queste risorse.
Questa stessa concentrazione la ritroviamo anche a livello di mercato, dove la produzione mineraria internazionale vede un’indiscussa egemonia asiatica, con la Cina primo produttore al mondo (66% del totale della fornitura internazionale di Crms) nonché primo consumatore di 29 risorse minerali indispensabili per le nostre economie – tra metalli ferrosi, non ferrosi (tra cui le terre rare) e preziosi, minerali industriali e combustibili minerali – e maggiore trasformatore mondiale di minerali, soprattutto nell'automotive e nell'energia eolica.
Stiamo tuttavia assistendo a un quadro mondiale in rapida evoluzione, che vedrà diversi Paesi del sud del mondo continuare a rivestire un ruolo rilevante a livello internazionale e altri emergere grazie alle dotazioni di riserve critiche nel proprio territorio (tra cui l'Indonesia, il Marocco e il ‘triangolo del litio’, costituito dallo Stato plurinazionale Bolivia-Argentina-Cile), ridefinendo dipendenze, dinamiche, interazioni, accordi e anche conflitti in nome della transizione eco-tecnologica e della sostenibilità.
Ma oltre alla competizione esistente tra Paesi per l’approvvigionamento di Crms, esistono anche una competizione per le stesse materie prime da parte di più settori e tecnologie ad alta intensità di materie prime critiche – che può gravare ulteriormente sul rischio di approvvigionamento – e una relazione simbiotica tra il settore energetico e quello estrattivo-metallurgico.
I settori minerario e metallurgico richiedono infatti circa il 10% del consumo totale di energia primaria a livello globale e, nella prospettiva di una transizione verso le tecnologie rinnovabili, potrebbe di fatto svilupparsi un potenziale circolo vizioso poiché l’aumento della domanda di queste tecnologie impone un aumento del costo energetico associato all'attività estrattiva di Crms, che a sua volta aumenterà per via della tendenza generalizzata a un inevitabile progressivo deterioramento della qualità delle risorse estraibili già disponibiliche renderà quindi sempre più costoso e difficile ottenere le materie prime necessarie, in quantità e qualità, con un alto costo energetico per la loro estrazione e la loro trasformazione. Bisognerà quindi gestire i crescenti costi energetici sia in fase di estrazione che di produzione di materie prime, oltre alle emissioni di gas serra che ne deriveranno. Inoltre, l'adozione di tecnologie rinnovabili realizzate mediante i combustibili fossili comporterebbe comunque un enorme ed iniziale debito in termini di emissioni.
L’attuale revival del settore estrattivo, con il lancio di progetti di vasta portata a livello internazionale, come i 17 sanciti nel 2023 dall’alleanza multilaterale sulle Crms (Minerals security partnership - Msp), e la ritrovata spinta dichiarata alla creazione di nuovi impianti estrattivi a livello mondiale, o al ripristino di quelli dismessi, alimentata dalle esigenze di cambiamento imposte dalla transizione eco-tecnologica, richiedono necessariamente uno spostamento di attenzione verso ciò che avviene a monte della filiera.
Ad oggi, inoltre, esistono un numero elevato di impianti estrattivi dichiarati ai quali si affiancano, però, percentuali importanti riferibili ad attività estrattive artigianali e informali, completamente illegali, che alimentano l’economia sommersa legata al settore e presenti nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo e in molti di quelli coinvolti in conflitti armati, dove si estraggono i cosiddetti “minerali di conflitto” (conflictminerals), come sono definiti nel Regolamento UE 2017/821.
Gli impatti di un’attività estrattiva cominciano a darsi fin dalla fase di esplorazione del sito, che non necessariamente porterà all’avviamento di un impianto, a meno che non si stimi una presenza sufficiente di ‘riserve’ che ne renda conveniente lo sviluppo. In questa, così come nelle fasi successive, l’impatto va misurato in termini ambientali/paesaggistici ma considerando anche effetti diretti e indiretti di vasta portata su comunità e altre attività produttive, e quindi estesi anche alla sfera sociale, economica e perfino istituzionale. Le attività estrattive minerarie sono infattitra le poche in grado di modificare a livello sistemico un territorio, alterandone in modo quasisempreirreversibile le caratteristichefisiche e naturali.
Si pensi alle immagini dei cosiddetti ‘paesaggi estrattivi’ generati dalle enormi miniere di rame in Cile e Perù, simili ai gironi dell’Inferno dantesco, alle miniere di cobalto nella Repubblica democratica del Congo, agli impianti estrattivi di terre rare in Mongolia, dove i “villaggi del cancro” giacciono su una terra completamente avvelenata dalle sostanze chimiche utilizzate per la produzione dei metalli, e nella regione Nord del Myanmar, flagellata da gravi problemi di inquinamento da scorie radioattive presenti nelle acque residue dall’estrazione di terre rare.
Tabella 1. Principali impatti delle attività estrattive minerarie
Sociale (+) |
Sociale (-) |
• Richiesta di lavoratori specializzati. • Opportunità formative offerte dall’azienda estrattiva. • Opportunità di lavoro indiretto per il settore privato (commercio al dettaglio, trasporti, accoglienza turistica e ristorazione). • Nuove infrastrutture e servizi. |
• Compromissione salute umana (effetti tossici o cancerogeni) o indirettamente con la o la contaminazione di fiumi e falde acquifere, con conseguente impatto su pesca e agricoltura e la perdita di mezzi di sussistenza. -, aumento della scarsità ed esaurimento dell’acqua. • Lavoro minorile. • Aumento della disoccupazione per la crescente meccanizzazione / automazione e digitalizzazione delle operazioni minerarie. • Qualità dei posti di lavoro (condizioni di lavoro precarie, salari bassi, conseguenze sulla salute, incidenti e morti, alloggi forniti ai lavoratori al di sotto degli standard, mancanza di libertà di organizzazione sindacale). • Incremento demográfico (migrazione lavoratori da altre regioni, raramente percepita in modo positivo dalle comunità locali). • Prostituzione. • Limitato accesso alla terra per la popolazione rurale e talvolta sfratti ed espropriazione di terre a discapito delle popolazioni locali • Problemi di natura psicologica o comportamentale tra i lavoratori (alcolismo, tossicodipendenza, prostituzione, ecc.). • Impatto su risorse e patrimonio culturale e storico. • Violazione diritti popolazioni indigene. • Fratture tra gruppi locali e conflitti sociali. • Aumento percezione di insicurezza sul territorio. |
Ambientale/territoriale (+) |
Ambientale/territoriale (-) |
• Miglioramento viabilità. • Creazione di infrastrutture indirettamente collegate all’attività estrattiva. |
• Degrado/contaminazione dell’aria. • Degrado/contaminazione/consumo di suolo (inclusi interventi fisici sul territorio). • Degrado/contaminazione/ consumo di acqua. • Degrado/distruzione paesaggio naturale. • Perdita/compromissione biodiversità. • Degrado vegetazione. • Compromissione servizi ecosistemici. • Competizione fondiaria (espropri di terre, spostamenti e reinsediamenti di comunità locali). • Riduzione approvvigionamento idrico. • Concorrenza nell’uso dell’acqua. • Rumore e vibrazioni del terreno. • Generazione di grandi quantità di rifiuti inquinanti (sterili). |
Economico (+) |
Economico (-) |
• Creazione di posti di lavoro (sia nel settore minerario che indirettamente in altri settori). • Creazione di servizi. • A valle, abilitazione di altri settori. • Reddito fiscale (tasse minerarie), sistemi di royalties. • Opportunità per creazione di nuove imprese. • Attrazione di investimenti sul territorio. |
• Aumento dei prezzi di beni e servizi locali. • Compromissione attività produttive agro-silvo-pastorali (impatto sui mezzi di sussistenza esistenti). • Aumento dei costi di alloggio. • Impatto su attività turistiche. • Aumento per le spese di gestione dei conflitti sociali e ambientali • Sul lungo periodo, aumento delle spese a carico del sistema sanitario per intervenute patologie mediche nel tessuto sociale locale • “Male olandese” |
Istituzionale (+) |
Istituzionale (-) |
• Dotazione di un apparato normativo che disciplini il settore su territorio nazionale • Dotazione di norme a contenimento dei rischi d’impatto ambientale • Dotazione di norme a tutela dei lavoratori del settore |
• Incremento dei fenomeni di corruzione e collusione. • Aumento della dipendenza dalle entrate derivanti dal settore estrattivo. • Indebolimento delle istituzioni locali. |
I limiti nella disponibilità di metalli per alimentare il processo di transizione in atto appaiono quindi, di fatto, tanto gravi quanto quelli di un accesso limitato all’energia. Ciò impone di interrogarci non solo sull’effettiva capacità futura di accedere alle risorse minerarie, ma anche sui costi economici e, soprattutto, sociali e ambientali che ne deriveranno.
Ad oggi risulta ancora particolarmente arduo, quando non impossibile e “temerario”, cercare di quantificare esattamente le esternalità generate lungo tutta la filiera delle Crms diretta e inversa, ovvero dalla produzione di materia prima a quella di materia prima seconda da rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), in un’ottica di economia circolare.
Allo stesso modo, risulta ancora alquanto difficile quantificare esattamente il fabbisogno di ognuna delle materie prime considerate critiche e strategiche da parte dell’Unione europea rispetto alla domanda potenziale delle industrie di riferimento e alle percentuali richieste dalle varie applicazioni tecnologiche.
Inoltre, posto che le risorse presenti nella litosfera sono naturalmente finite, dovremo fare i conti con due variabili di non facile gestione: gli sviluppi tecnologici necessari a sostenere la transizione e l’evoluzione del prezzo delle risorse. Nella complessità dello scenario delineatosi negli ultimi anni, caratterizzato da un’alta volatilità dei prezzi internazionali dei metalli cruciali per la transizione eco-tecnologica e dal problema del controllo della loro disponibilità, diventa quindi particolarmente difficile giungere a previsioni certe su come evolverà, o riuscirà a evolvere, il processo in atto. Di certo vi è solo la consapevolezza che l’esaurimento fisico di queste materie prime non costituisce un vincolo alla loro disponibilità, poiché di fatto “subordinato” alla capacità di produrre il metallo in modo economicamente sostenibile “indipendentemente da”.
Se da un lato la sostituzione del metallo può essere un modo per ridurre i problemi legati alla scarsità, tuttavia non possibile per tutti i metalli, dall’altro il riciclo può in parte ridurre questi costi ambientali e l’irreversibilità dei processi indotti dal consumo di risorse fisiche. Un aiuto concreto può giungere in particolare dall’urban mining e dai già menzionati Raee, i cui componenti metallici, una volta recuperati correttamente, sitrasformano in materie prime secondarie o seconde (Mps). Tuttavia, per recuperare i metalli dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche a fine-vita sono necessari diversi trattamenti che, nel complesso, evidenziano tre problemi principali: l’assenza o scarsità di impianti adeguati a questo tipo di trattamento; l’esistenza di un approccio tecnologico comune a tutti i tipi di Raee, inadeguato data la loro elevata varietà componentistica; un elevato consumo di energia per completare il processo e giungere alla produzione di materia prima seconda, a fronte di un’efficienza di recupero ancora relativamente bassa e della potenziale contaminazione da metalli e CO2 che ne deriverebbe.
Prescindendo da giudizi di merito, è dunque utile soffermarci su un punto cruciale da cui dipende non solo la coerenza dell’azione e del risultato rispetto agli obiettivi preposti, ma anche l’effettiva fattibilità e sostenibilità della proposta di transizione energetica e digitaleo eco-tecnologica in sé. Se infatti il leitmotiv di questa proposta è la ricerca di una maggiore sostenibilità dei nostri processi produttivi e delle nostre abitudini di consumo, sorge spontaneo porsi alcune domande riguardo al quanto, perché, come, dove e in che punto della filiera stiamo leggendo o dovremmo leggere e rintracciare questa sostenibilità.
Il timore è che il ragionamento in seno al cambiamento richiesto e imposto non porti a una visione d’insieme, o di “sistema”, capace di rendere pienamente evidenti le criticità insite in questa proposta per come è stata finora disegnata. In altre parole, quanto e dove dobbiamo preoccuparci di essere sostenibili? Se dovessimo misurare la sostenibilità di ogni passaggio/anello della filiera delle Crms, quantificando adeguatamente esternalità e impatti, scopriremmo infatti che esistono a latere diverse concezioni di sostenibilità, e che a ognuna di esse andrebbe quindi attribuito un peso differente all’interno del progetto comune su cui si è raccolto un certo consenso globale.
La priorità per far fronte al cambio climatico è adesso la carbon neutrality, vettore-guida anche per tutte le altre filiere produttive oltre all’energia; invece, ciò che avviene a monte o a valle della filiera (seppur contemplato come “criticità”) per il momento non costituisce evidentemente una priorità né tanto meno un indicatore di peso, cedendo il passo all’obiettivo portante della carbon neutrality. Parlare quindi di sostenibilità delle filiere di Crms che alimentano la transizione eco-tecnologica diventa al momento oltremodo arduo.
La grande difficoltà è quella di ragionare di ‘sistema-filiera’ all’interno di un “ecosistema” più amplio, composto da variabili ambientali, economiche e sociali: ci siamo preoccupati di trovare una soluzione senza chiederci quanto essa fosse realmente in linea con la natura stessa della proposta avanzata. Tuttavia, l’ovvietà di certe domande che sorgono spontanee di fronte all’evidenza empirica dei fatti non va mai sottovalutata.
Per il momento, però, questo progetto sembra mostrare grandi ritardi e cedere il passo a una persistenza delle energie fossili, sotto i duri colpi dell’evidenza data della complessità insita nell’incrementare processi economici circolari, a loro volta bisognosi di materia prima, di tanta energia e di una dotazione impiantistica e tecnologica ad oggi per lo più ancora inesistente o insufficiente per alimentare i cambiamenti richiesti.
Dinanzi alla complessità del mercato delle Crms, delle sfide tra competitor a livello internazionale e della forte matrice geopolitica che incide poderosamente sulla tenuta di certe filiere, la transizione eco-tecnologica e i cambiamenti che questo processo implicherà nel nostro quotidiano di consumo e di produzione avanzeranno nonostante i costi sociali e ambientali generabili, e indipendentemente da essi. La sfida sarà quindi quella di fare dell’urban mining l’unica reale leva di sostenibilità del processo di transizione in atto, che ci consenta di alimentare le nostre industrie senza condannarci a una posizione di subalternità rispetto ad altri né alla generazione di altri impatti evitabili.
A fronte di tali considerazioni, e della oggettiva presenza di una “guerra per le risorse” che diventerà ancora più aspra nel prossimo futuro, chiudiamo ponendoci delle domande che celano, tra le altre cose, anche una certa preoccupazione: dov’è la sostenibilità di questa proposta per arrivare allasostenibilità? In quale punto e momento delle filiere interessate dobbiamo leggerla? E dove risiede l’effettivo e concreto vantaggio in terminidi riduzione dell’impatto (emissioni e produzione di esternalità negative) rispetto all’uso dell’energia fossile per iterritori su cui ricade la fortuna o ‘maledizione’ (per dirla con parole di Richard Auty) di possedere certe risorse?
Forse la coperta della transizione eco-tecnologica è ancora troppo corta e instabile per sostenere adeguatamente il sistema e condurlo verso una maggiore sostenibilità e resilienza, come postulato. E forse, come sostiene Guillaume Pitron, l’emancipazione che stiamo agognando “da un ordine antico a uno nuevo” ci sta conducendo verso un’altra e più forte dipendenza, “passando da uno stato di privazione a nuovi eccessi” semplicemente spostando il problema della generazione di impatti da un punto all’altro della filiera, ma senza creare quell’ “antidoto” alla dipendenza da certe fonti, che forse nessuno vuole né sta cercando realmente.
a cura di Roberta Curiazi