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Cop16 Cbd: l’Italia non è pronta per raggiungere gli obiettivi 2030 per la biodiversità. In Italia protetto davvero meno dell’1% del mare. Greenpeace: di questo passo, nel mondo proteggeremo il 30% degli oceani dopo il 2100 invece che nel 2030

 |  Editoriale

Con la 16esima conferenza della parti della Convention on biological diversity (Cop16 Cbd) in corso a Cali, in Colombia,  la natura torna al centro della diplomazia ambientale internazionale, ma il Wwf avverte che «A Cali si dovrà passare dalle parole ai fatti (non a caso è definita la “COP dell’implementazione”): un momento cruciale per valutare l’impegno degli Stati nel tradurre in piani e azioni concrete i 23 target globali del GBF (Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, ndr) indirizzati a fermare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030».

Per il Wwf, «A fronte del catastrofico calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici in soli 50 anni (1970-2020), registrato dall’ultima edizione appena presentata del Living Planet Report del Wwf, è necessario che gli Stati parte della Convenzione Onu sulla Diversità Biologica adottino impegni concreti per raggiungere gli obiettivi chiave del GBF».

Il Panda chiede che «I governi definiscano e implementino Strategie e Piani di attuazione nazionali per la biodiversità (NBSAPs) impegnando risorse finanziarie adeguate alla loro attuazione», ma denuncia che «Ad oggi solo 28 Paesi, inclusa l’Unione europea e 9 Stati Membri, tra cui l’Italia, hanno aggiornato le loro NBSAPs. La Strategia Nazionale per la Biodiversità italiana, pur risultando sulla carta sufficientemente allineata ai 23 target del GBF e con l’obiettivo di proteggere il 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030 (target 3), manca ancora di un Piano di implementazione che sia adeguatamente finanziato affinché le ambizioni della Strategia possano tradursi in azioni concrete e incisive. In Italia la superficie terrestre protetta si ferma al 21,68% dell’intero territorio nazionale: in soli 5 anni il nostro Paese dovrebbe creare la metà delle aree protette terrestri che ha creato in oltre 100 anni da quando nacquero i primi due parchi nazionali italiani, Parco Nazionale del Gran Paradiso e Parco Nazionale d’Abruzzo. E per il mare va ancora peggio perché solo l’11,62% della superficie marina italiana è protetta».

E, proprio per quel che riguarda il mare, il nuovo rapporto “From commitmentto action: achieving the  30X30 target through Global Ocean Treaty” di Greenpeace International  avverte che, «Al ritmo attuale, l'obiettivo di proteggere almeno il 30% degli oceani con aree marine protette (AMP) entro il 2030 (cosiddetto “obiettivo 30x30”), concordato da tutti i governi alla COP15, non sarà raggiunto prima del 2107».

Megan Randles, policy advisor di Greenpeace UK, ha fatto notare che «Mancano 6 anni al 2030 e ancora non è stato fatto quasi nessun progresso verso la protezione del 30% degli oceani del mondo. Al ritmo attuale, non raggiungeremo il 30% di protezione in mare prima del prossimo secolo».  

Il rapporto ha verificato lo stato di protezione della biodiversità marina, svelando che «Non è stato fatto quasi nulla da quando è stato raggiunto l’accordo internazionale» ed evidenzia i principali problemi che impediscono di raggiungere l'obiettivo 30x30 nei tempi previsti. 

Greenpeace evidenzia che «Nei 32 anni trascorsi dal Vertice della Terra di Rio del 1992, in cui è stata istituita la Convenzione per la diversità biologica, solo l'8,4% dell'oceano globale è stato protetto. Di questo, soltanto il 2,7% risulta altamente protetto e sottoposto a rigide misure di conservazione, e la percentuale si riduce allo 0,9% per le aree d'alto mare, che sono al di fuori della giurisdizione nazionale. Per raggiungere il 30% nei prossimi sei anni, dovranno essere istituite ogni anno da qui alla fine del 2030 circa 23,5 aree marine protette delle dimensioni della Francia».

E per quanto riguarda la situazione italiana Greenpeace International non prende per buone – come fa il Wwf – le cifre del ministero dell’ambiente e le smentisce clamorosamente: «Meno dell’1% dei mari italiani è sottoposto a misure di tutela efficaci. Un’indagine di Greenpeace Italia pubblicata a luglio aveva evidenziato che solo le AMP e i Parchi Nazionali hanno regolamenti efficaci in grado di tutelare la biodiversità marina. Altre aree individuate e definite importanti per la loro biodiversità, come ad esempio il Santuario Pelagos e i SIC (Siti di Interesse Comunitario), invece, rappresentano solo “parchi di carta”, aree in cui non vi è nessuna azione di mitigazione degli impatti antropici».

Valentina Di Miccoli, campaigner mare di Greenpeace Italia,  ritiene ingiustificabili i clamorosi ritardi italiani: «Le aree marine protette possono generare enormi benefici, sia da un punto di vista biologico che socio-economico-culturale per le comunità locali, ma in Italia sono ancora troppo poche. Chiediamo che ne vengano istituite di nuove in aree ecologicamente e biologicamente importanti e che soprattutto vengano ben gestite e monitorate nel tempo, con azioni di controllo diretto delle attività di pesca e sfruttamento delle risorse. L’obiettivo del 30x30 può essere raggiunto solo con grandi sforzi sia nelle acque territoriali che in alto mare. I governi, incluso quello italiano, devono ratificare al più presto il trattato ONU per la protezione degli oceani, che ad oggi vede solo 13 ratifiche delle 60 necessarie per farlo entrare in vigore. La COP16 delle Nazioni Unite sulla biodiversità rappresenta un momento cruciale per bloccare la perdita di biodiversità in corso, e fare le giuste scelte per salvaguardare il più grande patrimonio dell’umanità che abbiamo, gli oceani».

Ma, tornando sulla terraferma,  il Wwf sottolinea che «La possibile posticipazione di 12 mesi del Regolamento europeo anti-deforestazione (EUDR), sostenuta con forza dal Governo italiano e sulla quale il Parlamento europeo si esprimerà nelle prossime settimane, provocherebbe un grave ostacolo per il raggiungimento di almeno 3 target fondamentali del GBF: promuovere una gestione sostenibile delle aree agricole e forestali (target 10); incoraggiare un maggior impegno delle imprese nel trasformare le loro catene di approvvigionamento, minimizzando il loro impatto sulla biodiversità (target 15); sostenere la riduzione dell’impronta globale, entro il 2030, attraverso scelte di consumo sostenibili (target 16). Per raggiungere gli obiettivi al 2030 del GBF, sarà inoltre fondamentale dare attuazione al Regolamento sul ripristino della natura (Nature Restoration Law), un traguardo fondamentale per  raggiungere  gli obiettivi di ripristino (target 2) e di resilienza climatica (target 8 e 11) del GBF, attraverso la definizione entro i prossimi 2 anni di un Piano nazionale che veda coinvolte tutte le parti interessate. Alla COP16 di Cali sarà anche importante finalizzare un quadro di monitoraggio per valutare i progressi compiuti dagli Stati nell’implementazione del GBF in vista della Global Review delle prossime COP17 e 18 e adottare una strategia per la mobilitazione di risorse finanziarie pubbliche e private per il periodo 2025-2030».

Dante Caserta, responsabile affari legali e Istituzionali di Wwf Italia, conclude: «Alla COP16 di Cali il mondo tornerà finalmente a parlare di natura e di tutela della biodiversità. Confidiamo che questo importante appuntamento possa mobilitare governi, imprese e persone verso una maggiore consapevolezza della centralità che l’ambiente ha nelle nostre vite. Troppe sono le esitazioni e i passi indietro, in Italia e in Europa, sulla tutela della biodiversità, mettendo in seria discussione il raggiungimento dell’obiettivo globale di fermare e invertire il declino di biodiversità entro il 2030. La posticipazione di 12 mesi del Regolamento europeo anti-deforestazione, all’esame del Parlamento europeo nelle prossime settimane, rappresenterebbe un atto gravissimo che minerebbe l’implementazione del Quadro Globale della Biodiversità, ma soprattutto la salute delle nostre foreste e del Pianeta, e di conseguenza quella di tutti noi. Ci uniamo all’appello “Fare pace con la Natura” della Presidenza Colombiana della COP16 affinché si generi una mobilitazione globale per rispettare e proteggere la vita sul pianeta e ritrovare una connessione positiva con la Madre Terra».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.