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Un tragico weekend sott’acqua, l’Italia non regge senza opere e interventi. Si fanno piani per tutto ma non per contrastare rischi idrogeologici e climatici: è l’ora di una tregua e un patto politico per non rassegnarsi al peggio

 |  Editoriale

C'era una volta in Italia la questione climatica e del dissesto idrogeologico... beh, vorremmo tanto iniziare così. Anzi in un Paese, come si usa dire, "normale", avremmo dovuto iniziare così e non con l’ennesimo j'accuse su colpe - tante - e colpevoli - tanti - del plateale disinteresse politico e pubblico per opere e interventi che l’Italia con le sue aziende e i suoi professionisti progetta e realizza nel mondo ma non in patria - altro che patrioti e patriottismo! - e che sarebbero in grado di ridurre le portate tragiche delle catastrofi meteo-climatiche che ci colpiscono senza pietà e con un aumento di intensità e frequenza mai viste prima.

La politica si scontra su ogni fronte con polemiche e scontri di alto o basso profilo consumati su grandi questioni nazionali e internazionali, eppure nell’immenso teatro della crisi climatica con le sue crudeli devastazioni che seminano terrore e morte e danni enormi non si registra un fiato di polemica, non c’è traccia di minacce di scioperi sindacali – eppure le fabbriche sono le prime ad essere devastate – per l’assenza di piani di protezione con tanta ottima occupazione, non ci sono sedute parlamentari per indicare al Paese come fronteggiare il problema numero uno per la massima sicurezza possibile degli italiani dai contraccolpi brutali che piovono dal cielo e dalla violenza della Natura.

Anche i sassi hanno capito che anomali correnti caldo-umide, così inusuali in questa fine ottobre, e il crescente vapore acqueo che sale dal mare surriscaldato come non mai quando arriva lassù in atmosfera e di scontra con perturbazioni gelide innescano il caos con estremi pluviometrici che hanno ormai stravolto la regolarità del ciclo idrologico. E che le nostre infrastrutture per l’acqua e le difese a terra risalgono, quando ci sono, ai tempi di Cavour, con l’eccessiva fragilità di argini e la sottovalutazione delle portate di piena dei fiumi e dei torrenti tombati sotto le città con un autolesionismo nazionale che fa contare almeno 20.000 km di corsi d’acqua scorrenti in gallerie inadeguate e che oggi ritornano a galla con i nubifragi del terzo millennio. Questioni evidentissime per tutti. Come la nostra straordinaria capacità meteoclimatica di passare da valanghe d’acqua inverosimili in poche ore ai corsi d’acqua sfiniti dalle siccità.

Ma la domanda da porsi oggi è questa: le esondazioni, le case evacuate, i negozi e le aziende e gli aeroporti allagati a ripetizione, le strade e le ferrovie travolte, le scuole chiuse e il terrore puro per le prossime piogge torrenziali di questo piovosissimo autunno tropicale, per quale arcano mistero trovano così disinteressata la politica? Eppure sono il sintomo emergenziale di una condizione di altissimo rischio di cui chi governa deve prendere atto, assumendosi le responsabilità di una reazione. E chi si oppone deve battersi affinché la prevenzione sia un elenco di cantieri aperti.

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Per capire l’emergenza, basta l’elenco delle situazioni di crisi di questa pazzesca settimana alle nostre spalle sotto il segno del puro terrore

L’ultima fase meteoclimatica è iniziata in Liguria mercoledì 16 ottobre con il savonese e il genovese sotto 173 mm di precipitazioni in poche ore, e i livelli idrometrici di tutti i corsi d’acqua alimentati da valanghe d’acqua con le esondazioni del Centa ad Albenga, del Pora a Finalborgo, del Letimbro a Savona, del Bormida a Spigno e gli allagamenti a Varazze e Arenzano e Pietra Ligure e Loano. Giovedì è poi toccato al Levante di Genova con Chiavari dove sono straripati Entella, Recco e Sori, il San Siro a Santa Margherita Ligure e Tuia e Boate a Rapallo e il Bisagno nell’alta Val Bisagno. Dalla serata di giovedì a venerdì i cicloni hanno raggiunto la Toscana punteggiando di esondazioni 9 province su 10 e soprattutto il senese, il fiorentino e il livornese da Campiglia Marittima e Suvereto con 144 mm di pioggia in 3 ore con l'esondazione del Cornia e del Cecina e poi l'Elsa tra Certaldo e Castelfiorentino. E quindi è ripartito il Piemonte con 300 mm di piogge in tre giorni sul torinese e il biellese, e poi è toccato alle province di Treviso e Pordenone, alle colate di fango nella penisola sorrentina e alle sorprendenti emergenze di pioggia nell’isola siccitosa da Stromboli a Catania a Licata e nell’agrigentino con straripamenti del Salso e i suoi fratelli torrenti.

In quelle ore in Emilia Romagna annegava Simone Farinelli, ventenne, travolto sabato sera a Pianoro con la sua auto sballottata dalla piena del Rio Caurinziano affluente del fiume Zeno nella frazione Botteghino di Zocca. Suo fratello di 24 anni è riuscito a salvarsi. Ma ci sono oggi 3.000 evacuati tra Bagnacavallo nel ravennate, Cesenatico e nella provincia di una Bologna ancora irriconoscibile dove il sindaco lancia appelli a stare in guardia e a salire sui piani alti per la fuoriuscita dei torrenti intombati come il Ravone che scorre in condutture progettate per altre epoche e per altre portate che ha allagato via Saffi, via Saragozza, via Andrea Costa. Sono saltati canali e torrenti che trasportano altri corsi d’acqua sconosciuti ai più come l’Aposa, il Vallescura,  il Meloncello, il San Giuseppe. In 6 ore sono caduti 175 mm di pioggia – cioè una media di 17,5 cm d’acqua su ogni metro quadro di superficie – che hanno mandato in tilt e in black out elettrico migliaia di abitazioni, con oltre 600 segnalazioni di allagamenti e inagibilità di cantine e garage e pianoterra su strade dai nomi evocativi come via Riva Reno o Navile. Contemporaneamente, nell’acqua e nel fango finiva anche parte delle Marche tra Pesaro e Ancona e tra Fano e Senigallia e Tolentino e Falconara Marittima. Con sottopassi allagati, paura, appelli della Protezione Civile e dei sindaci a tenersi “pronti all'evacuazione”.

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Un weekend da allarme rosso che a memoria d’uomo non si ricordava.  Possibile che non scuota il Paese? Non crei unità nazionale?

La domanda che uno normale si fa è questa: possibile che tutto questo non metta in moto a razzo le istituzioni, a partire dal governo, in nome della maggior sicurezza possibile di persone, beni, infrastrutture vitali e territori? Che dopo 4 gravi alluvioni in nemmeno un anno e mezzo in Emilia Romagna con oltre 10 miliardi di danni, e dopo 3 gravi alluvioni nello stesso periodo nella Toscana con oltre 3 miliardi di danni ma ancora in attesa di ricevere i primi fondi dal governo, di fronte alle fragilità impressionanti delle aree urbane e ai tanti fiumi tombati che esplodono e di cui nessuno più ricordava l’esistenza e nemmeno i nomi e le loro traiettorie ma che da Milano a Bologna a Licata passano con rapidità da portate nulle a picchi spaventosi, ci sia il silenzio assoluto di Roma? Si fanno piani e pianificazioni per tutto: dalla A di Albania alla Z di Zone Economiche Speciali, ma non per contrastare il rischio idrogeologico e climatico. Anzi, ci sarebbe il benemerito Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, ottimo e ben fatto e adottato pochi mesi fa, ma resta al momento privo di risorse e della governance.

Nel Paese con i territori più fragili del continente, che riesce a passare all’istante dall'allerta siccità per la troppo poca acqua al dramma della troppa acqua, dove gli eventi meteoclimatici che consideravamo “estremi” ormai sono sempre più ordinari, collocato in un Mediterraneo dove le temperature corrono a una velocità del 20% superiori alla media globale, dove l’Ispra ha censito la cifra record di 628.808 frane attive dalle Alpi alle Madonie sul totale delle circa 750.000 frane dell’intero continente europeo, beneficiato dalla più elevata media annua di precipitazioni europea - 297 miliardi di mc -, e dal più ricco e il più aggrovigliato reticolo di 7.494 corsi d’acqua di cui 1.100 sono fiumi tutti con natura torrentizia e quindi pericolosi, è tempo di risposte concrete.

Basta con la rassegnazione, con il tirare a campare che trasformerà le piccole cose di oggi in imprese titaniche di domani. Dopo oltre 5.400 alluvioni e più di 11.000 frane che ci hanno colpito negli ultimi 80 anni lasciando circa 6.000 morti, migliaia di feriti, milioni di sfollati e danni in media per 4 miliardi all’anno ogni anno dal dopoguerra ad oggi ma con un raddoppio evidente negli ultimi dieci anni, sapendo che 7.275 Comuni sul totale dei 7.904 hanno aree al loro interno a rischio esondazioni, frane o erosione costiera dove risiedono oltre 8 milioni di cittadini maggiormente esposti al pericolo, con il 14,1% delle industrie nazionali e il 21,1% dei beni culturali, è questo il momento di una reazione corale.

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L’ennesima lezione del weekend ci dice che non va perso neanche un minuto. Voltiamo pagina per una svolta di prevenzione permanente

È questa la grande e la più urgente opera pubblica dell’Italia, è questo l’unico vero “ponte” verso la sicurezza. Caro governo, cara opposizione, in qualche file a Palazzo Chigi troverete sicuramente il “Piano di contrasto al dissesto idrogeologico” depositato nel 2019 da “italiasicura”, la struttura di missione nata dall’idea di Renzo Piano che ha lavorato con i governi Renzi e Gentiloni, con tutti i presidenti di Regione di centrodestra o centrosinistra. Chiusa senza aprire da allora nuove strutture tecniche dedicate al problema numero uno dell’Italia. Quel piano - realizzato con la Protezione Civile, le Autorità di bacino, i Ministeri, le Regioni e i Comuni - contiene tuttora circa 11.000 opere e interventi di varia tipologia - briglie, vasche di laminazione, risagomatura di canali, apertura di canali fluviali intombati, consolidamento di versanti in frana… - per un investimento di circa 33 miliardi di euro da realizzare in dieci anni. Aggiornatelo e ripartite.

La nostra vituperata Pubblica Amministrazione ha fior di team di professionisti tra ministeri, protezione civile e società pubbliche. Dimostrate che un grande Paese come il nostro può mettere nella massima sicurezza tantissime aree fragili oggi in pericolo. La governance sui territori c’è già ed è centrata sui 20 Presidenti di Regione nominati nel 2016 e sempre confermati nel loro ruolo di “Commissari di Governo per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico”. Riaprite i cantieri bloccati, concludete le opere avviate, aprite tanti nuovi cantieri. Le semplificazioni sono nelle prerogative dei Presidenti-Commissari che, con "dichiarazione di pubblica utilità", possono sostituire "visti, pareri, autorizzazioni, nulla osta e ogni altro provvedimento abilitativo necessario”. Recuperate i ritardi e l’intera capacità di spesa pubblica, utilizzate in pieno tutte le competenze nazionali e locali e rafforzate i consorzi di bonifica come presidi di sicurezza sul territorio.

Non ricordatevi delle alluvioni solo per qualche ora dopo le alluvioni. Purtroppo per noi torneranno, ma non devono più trovarci impreparati.

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Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.