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Il piccolo sbarco in Albania contro l’invasione che non c’è. Siamo un Paese di anziani e anziché dare cittadinanza ai nati da famiglie di immigrati regolari, inviamo nell’hotspot albanese 16 poveri cristi in fuga da carestie, siccità e alluvioni

 |  Editoriale

Che Paese siamo diventati? quello della finta faccia feroce contro i più deboli dell’”Operazione Albania”, strombazzata con il trasferimento nel “Paese delle Aquile” di ben 16 migranti in fuga dall’Egitto e dal Bangladesh, tra le aree del Pianeta dove l’esodo di migranti climatici o rifugiati ambientali o eco-profughi è l’unica prospettiva sotto gli effetti di spaventose siccità e devastanti inondazioni e inesorabili carestie. Caricati a Lampedusa sulla nave militare “Libra”, classificati dal Ministero degli Interni con caratteri che nemmeno l’accademico settecentesco e padre dei naturalisti e dei botanici Linneo: “maschi adulti”, “non vulnerabili, “provenienti da paesi considerati sicuri”, con un esborso per la traversata da 24.000 euro a migrante, hanno provato a spettacolarizzare l’esternalizzazione dei flussi in arrivo in Italia, ma è finita per ora alla Fantozzi. Si sono accorti toccata terra che due dei dieci bangladesi sono minorenni e due dei sei egiziani sono “vulnerabili”. Non potevano salpare né possono restare nel nuovo recinto da 70mila metri quadrati nato dall’accordo Italia-Albania nel novembre scorso tra Giorgia Meloni e Edi Rama primo ministro socialista e già sindaco di Tirana che ha concesso i terreni come territori italiani per due strutture supersorvegliate e dal costo ufficiale a nostro carico di 635 milioni di euro. La prima a Shengjin, a 66 km a nord di Tirana, la seconda a Gjadér, 21 km più a nord, ambedue sotto giurisdizione italiana e il controllo delle nostre forze di polizia. Shengjin è un centro trattenimento da 880 posti. La seconda un centro di permanenza per rimpatri da 144 posti per un tempo massimo di 18 mesi dopodiché fogli di via, rientro in Italia e in 15 giorni espulsi. Calcolano circa 45 mila migranti “trattati” all'anno.

Un grande fumogeno all’opinione pubblica  in nome della sicurezza che si aggiunge ai “porti chiusi” e ai “blocchi navali” contro l’invasione che non c’è: nel 2021 gli sbarchi e i salvati in acque mediterranee sono stati 67.477, nel 2022 sono stati 105.131, nel 2023 sono stati 157.652, nel 2024 sono un terzo del 2023.

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In un Paese con oltre 4 mila piccoli comuni desertificati con tassi di natalità fra i più bassi del mondo l’interesse non è includere e integrare, condividere valori, diritti e doveri?

Perché il caso italiano in tema di politiche di accoglienza è da manuale di autolesionismo? Perché nel mondo siamo in testa per costante decrescita demografica, superati dal solo Giappone che ci batte nella fascia di età 0-40 anni. Istat, all’insaputa di noi italiani, sforna report impressionanti. Indica l’Italia come la più invecchiata delle Nazioni con un indice di vecchiaia oggi a 193,1 anziani per ogni 100 giovani.

Se dieci anni fa eravamo 60 milioni e 790 mila, oggi siamo 58 milioni e 990 mila, e la discesa continua inesorabile, in parte tamponata negli ultimi 4 anni fortunatamente dai nuovi 638 mila concittadini per acquisizione della cittadinanza. Senza di loro, il nostro calo sarebbe stato un crollo. Ed è questa l’unica crescita che sta contrastando l’inverno demografico e il massimo calo delle nascite dal secondo dopoguerra.

Quanti sono oggi gli immigrati italiani? La popolazione residente di cittadinanza straniera, stima l’Istat, al 1° gennaio 2024 raggiungeva i 5 milioni e 308mila persone, con un aumento di 166mila persone sul 2023 e una incidenza sulla popolazione totale del 9%. Il 58,6% degli immigrati - 3 milioni e 109mila persone - risiede al Nord con un’incidenza sulla popolazione dell’11,3%. In Centro vivono un milione 301mila immigrati, il 24,5% del totale degli immigrati con un’incidenza dell’11,1% sulla popolazione dell’Italia centrale. È più contenuta al Sud con 897mila persone, il 16,9% degli immigrati e il 4,5% dei residenti locali.

Il 40% degli immigrati è arrivato da Ucraina, Marocco, Albania e Cina. Seguono 11 Paesi con quote di presenze regolari tra il 2% e il 5%: India, Bangladesh, Egitto, Filippine, Pakistan, Moldova, Sri Lanka, Senegal Nigeria, Tunisia e Perù. Il comparto con la loro più elevata occupazione è quello dei servizi personali e collettivi (31,6%), seguito da agricoltura (17,7%), ristorazione e turismo (17,3%), costruzioni (15,6%). E in più diminuisce l’immigrazione “irregolare” per mille motivi e oggi al 10% circa degli immigrati regolarizzati.

L’Italia non figura tra gli Stati che accolgono più migranti. E la cosiddetta “invasione” che fanno immaginare non c’è mai stata. Ci vuole poco a capire che la qualità dell’accoglienza è e sarà fondamentale oggi e nel nostro futuro. Serve un'inclusione intelligente, con tutte le garanzie della legalità, affrontata con umanità, ma anche come questione di interesse nazionale. Senza questa idea di base e politiche concrete e condivise dalla politica, questa tendenza demografica diventerà anche un colossale rischio economico.

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Tutte le analisi sui flussi migratori dimostrano che gli immigrati non solo non tolgono lavoro agli italiani ma anzi coprono aree produttive altrimenti in crisi

La verità scomoda che evitano accuratamente di spiegare è che la denatalità peggiora il welfare, impatta negativamente sul sistema sanitario, pensionistico, sul lavoro e l’istruzione. Eppure lo ha persino ribadito il Governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, spiegando - al meeting ciellino di Rimini 2024 - che mai come oggi all’Italia servono più lavoratori stranieri per arginare la crisi delle nascite che mina “la tenuta dei sistemi pensionistici, il sistema sanitario, la propensione a intraprendere e innovare, la sostenibilità dei debiti pubblici”.

Messa così, anche sul piano biecamente finanziario e di utilità, l’immigrato che arriva e che sta lavorando regolarmente non costa all’Italia più di quanto dá all’Italia. Nascondere questa verità e alimentare il rifiuto, indica il naufragio culturale e politico di una parte dell’Italia.

In un Paese così, la migliore integrazione degli immigrati dovrebbe essere l’assillo di ogni governo. Aprirsi conviene. Con arrivi ben governati, orientati, sostenuti da politiche e azioni coerenti e di lungo periodo per capitalizzare la ricchezza che i lavoratori stranieri in Italia già oggi e da anni trasferiscono ogni anno alle casse dello Stato. Invece, viene da chiedersi cosa siamo diventati e verso dove pensiamo di andare?

È “patriottico”, per dirla con la vulgata corrente nei palazzi del potere politico romano, che i nati in Italia dalla seconda e terza generazione di famiglie di migranti, non risultino italiani? Devono, infatti, aspettare 18 anni prima di poter chiedere la cittadinanza anche se regolarmente frequentano i cicli scolastici circa un milione e 300 mila bambini e ragazzi che oggi vivono e studiano da italiani veri nel nostro Paese. Tre su quattro sono nati nelle nostre e, da sempre, loro città. Sono l'11,2% del totale degli iscritti al sistema scolastico, un terzo alle elementari. Più della metà hanno meno di 9 anni, eppure frequentano le scuole classificati “con cittadinanza non italiana”.

Questi bambini, questi ragazzi parlano la nostra lingua e i nostri dialetti. Sono e si sentono milanesi, torinesi, fiorentini, bolognesi, romani, livornesi, cagliaritani, baresi o palermitani. Far aspettare i 18 anni per non sentirsi più “stranieri” in Patria non è una disumana controproducente discriminazione? Il Parlamento scelga una qualche tipologia di “ius” - soli, scholae, culturae… - ma lo faccia in fretta! Non c’è un solo motivo per escluderli e discriminarli come “estranei”! Ci sono mille ragioni per dare loro prospettive di piena integrazione! Per quale ragione devono essere trattati da stranieri nella loro Patria? La cittadinanza avrà solo effetti positivi sullo studio o sulle traiettorie lavorative.

Quanto razzismo è stato sparso finora per tornaconti elettorali sulla loro pelle? Se c’è un “preminente interesse pubblico” nella questione immigrazione, questo è la necessitò di un atto che, da che mondo è mondo, contribuisce all’inserimento e alla crescita economica dei paesi che sanno accogliere.

È semplicemente folle alzare muri in un Paese in calo di nascite, che invecchia e ha bisogno di nuovi italiani se non vuole assistere al suo lento declino.

Tanto più che ogni famiglia italiana ha almeno un'esperienza di struggenti emigrazioni dirette verso altri Paesi nelle ultime generazioni. Tanto più che noi italiani siamo un popolo “di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori e trasmigratori”. Già, di “trasmigratori” ovvero popolo di emigrazioni in massa. Migrare è nel nostro Dna. Solo un grande vuoto di memoria e di storia e di umanità cancella la nostra origine da “melting pot” che ci ha reso quel grande Paese che siamo, grazie alle fertili contaminazioni mescolanze che sono state la base del motore genetico italiano dai tempi dell’espansione dell’Impero Romano. Lo ius soli è il nostro più antico concetto giuridico, siamo etnici non autoctoni.

E se cerchiamo un perché nelle tragiche moderne migrazioni, ritroviamolo nelle foto ingiallite di parenti emigrati e magari scomparsi nel nulla o inghiottiti dall’Atlantico nei naufragi nel tentativo di emigrare in America. Storie rimosse, come i perché delle moderne migrazioni.

Ignorare la richiesta di vita e di cittadinanza piena, lasciar vivere tantissimi ragazzini e giovani come estranei negli anni più importanti per la loro formazione di cittadini, è un enorme danno anche per il futuro dell’Italia. Noi abbiamo bisogno urgente di stabilizzare i nuovi italiani nell’uguaglianza dei diritti e dei doveri. Abbiamo bisogno di governare flussi di immigrazione oggi governati da trafficanti di esseri umani. Dobbiamo inserire con convinzione le persone che accogliamo nel mercato del lavoro con politiche di aggiornamento professionale per rispondere alla domanda di professioni specialistiche, figure dirigenziali e operai specializzati. Altro che farci ridere dietro con improbabili piccoli sbarchi in Albania!

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Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.