L’insostenibile leggerezza del ministro Pichetto, che costruisce il radioso (o radioattivo?) futuro nucleare italiano senza avere la capacità di gestirne il passato
L’insostenibile “leggerezza” di Pichetto sta tutta nella nuova avventura nucleare in cui il Governo Meloni vorrebbe riportare il Paese rallentando contemporaneamente la necessaria corsa allo sviluppo delle energie rinnovabili. Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha annunciato proprio pochi giorni fa la presentazione di un disegno di legge per il ritorno dell'Italia al nucleare prefigurando un risparmio pari a 34 miliardi all'anno sui costi dell’energia. Un'accelerazione sul nucleare, che già rientrava nei Piani del governo, ma che è arrivata dopo l'allarme lanciato dal presidente di Confindustria Emanuele Orsini sul fatto che i costi dell'energia in Italia siano diventati ormai insostenibili per le aziende italiane.
La produzione di energia dovrebbe cominciare nel 2030, osserva Pichetto facendo riferimento al «nucleare di nuova generazione da affiancare alle rinnovabili». Quanto ai rifiuti nucleari il ministro ritiene possibile lasciare «le vecchie scorie ancora in Francia e in Inghilterra, continuando a pagare un affitto". E avverte: «Il vero problema sono i rifiuti a bassa e media intensità, soprattutto di origine sanitaria, che produciamo quotidianamente. Per quelli – dice Pichetto – abbiamo il dovere di trovare la soluzione con uno o più depositi nazionali».
Dichiarazioni fatte appunto “in leggerezza” senza uno straccio di serio piano energetico ed industriale italiano. Tace Pichetto dei tempi e dei costi necessari alla follia nucleare, tace Pichetto sul fatto che sull’individuazione dei siti idonei per la costruzione del deposito nazionale per le scorie siamo fermi al palo e che l’opposizione territoriale è spesso guidata anche da sindaci del centro destra. Tace infine Pichetto sullo scandalo che sta emergendo a Rotondella, in provincia di Matera, dove i carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) di Potenza e del Nucleo Radioattivi del Comando per la tutela ambientale e la sicurezza energetica di Roma hanno posto sotto sequestro un’area di circa 600 metri quadri all’interno del sito nucleare Itrec gestito da Sogin, la società impegnata nelle attività di decommissioning (smantellamento) degli impianti nucleari in Italia e di smaltimento dei rifiuti radioattivi.
Tace ma sparge a piene mani fake news e mezze verità citando reattori di quarta generazione e definendoli più sicuri, oppure raccontando di come gli Smr siano reattori modulari, quasi prêt-à-porter, che possono essere costruiti in fabbrica e poi montati laddove si voglia. Tace e mente dunque.
«Che si parli di terza generazione “avanzata”, la “III +”, o di IV generazione o di “Small Modular Reactor” la tecnologia di base è sempre la stessa, con alcuni miglioramenti puramente ingegneristici, che sarebbe sciocco non riconoscere, ma che non risolvono il problema della sicurezza o quello delle scorie»: così ammoniva il compianto Massimo Scalia nella sua prefazione al bel libro scritto da Lucia Venturi e intitolato La menzogna nucleare. Storia di una battaglia infinita.
Per dirla con le parole del Premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, il nucleare resta a tutt’oggi «una tecnologia più vecchia del transistor». Va detto intanto che stiamo sempre parlando della “cara” e vecchia fissione nucleare il cui processo di liberazione energetica può portare ad un’esplosione (come nel caso delle bombe atomiche) oppure può essere più lenta, con una graduale produzione di calore, ovvero ciò che avviene nei reattori nucleari per la produzione di energia elettrica. Siamo ancora lì, alla fissione controllata con avanzamenti tecnologici ma che non ha risolto i problemi di sicurezza. Non starò qui a snocciolare i numerosi incidenti nel corso dei decenni ma vorrei ricordare che in Ucraina uno degli obiettivi più sensibili è la centrale nucleare di Zaporizhzhia. Cosa accadrebbe se fosse colpita da un bombardamento? Speriamo di non scoprirlo, mai dal momento che stiamo ancora pagando le conseguenze degli incidenti di Chernobyl e Fukushima.
I fautori del nucleare poi, lo indicano come unica soluzione per raggiungere gli obiettivi di mitigazione delle emissioni climalteranti. È certamente vero che la carbon intensity di una centrale nucleare è decisamente più bassa di quella emessa da centrali alimentate da combustibili fossili ma il primato crolla di fronte a performance delle energie rinnovabili. Già, le energie rinnovabili. Le uniche che possano davvero garantire abbattimento delle emissioni, indipendenza energetica, sicurezza, reversibilità e smaltimento nel segno del riciclo dei materiali e delle componenti.
Eppure Pichetto “il leggero” nel mentre lancia la crociata nucleare ben si guarda dal difendere le energie rinnovabili dalla furia ideologica trasversale e quasi mai in buona fede in corso nel nostro Paese. Non solo la moratoria della Sardegna, ma anche gli ultimi provvedimenti del Governo, come il DL Agricoltura, il DM Aree idonee e il Testo unico delle rinnovabili sono in contrasto con la normativa europea e rendono impossibile il raggiungimento del target rinnovabili 2030. “Il Pianeta è sull’orlo del baratro” ma evidentemente l’Italia può attendere. E nel frattempo giocare col nucleare i cui costi – lo ricorda Lucia Venturi nel suo già citato libro – sono sempre saliti nel corso degli ultimi decenni, mentre quelli delle rinnovabili sono scesi a livelli sempre più bassi. Oggi il kWh di energia elettrica prodotto dal nucleare costa più di quello prodotto da qualsiasi altra fonte. Dal 2009 al 2021, secondo il World nuclear industry status report, i costi del solare fotovoltaico sono diminuiti del 90%, dell’eolico on-shore del 70%, mentre l’energia nucleare è aumentata di un terzo.
E di costi nucleari l’Italia continua a pagarne. Non ci sono solo “gli affitti” (Pichetto dixit… sempre “in leggerezza”) che paghiamo ai Paesi che in questo momento custodiscono le scorie italiane. C’è anche la vicenda Sogin, la società incaricata di curare e realizzare il decomissioning delle centrali nucleari italiane: istituita nel 1999 con il compito di concludere la sua missione entro il 2019 per un costo di 3,7 miliardi, al momento ha concluso solo il 30% delle opere di decommissioning, ma ha già pesato per 4 miliardi sulle bollette degli italiani, la conclusione dei lavori è slittata al 2036 e i costi solo lievitati a 7,9 miliardi di euro.
Tecnologia, sicurezza, costi. Cosa manca? Ah certo! Le scorie. Dalla lista delle aree idonee deve uscire la collocazione del futuro deposito, dove saranno stoccati 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e molto bassa intensità e temporaneamente i 17mila a media e alta intensità, in attesa che a livello europeo si costruisca un impianto centralizzato. Il deposito occuperà 150 ettari e sarà composto da novanta costruzioni in calcestruzzo armato, dette le celle, che a loro volta conterranno i moduli in cemento, dove saranno collocati i contenitori di metallo con i rifiuti. Un sistema a matrioska per sigillarli per i successivi 300 anni. Sorgerà anche un parco tecnologico per la ricerca e lo studio sui rifiuti nucleari. Si prevede un cantiere da 900 milioni di euro, quattromila operai e quattro anni di durata. Un’impresa da far tremare i polsi, a tutti ma non al “leggero” Pichetto che costruisce il radioso (o radioattivo?) futuro nucleare italiano senza avere la capacità di gestirne il passato. In leggerezza.