Paesaggi rinnovabili. Contrastare la crisi climatica in modo partecipato, producendo nuova bellezza
Oggi, quando si approccia il tema della transizione energetica nel nostro Paese, il riflesso è quello d’innescare una sorta di sindrome da derby, con posizioni apodittiche e inconciliabili tra loro. Anche tra associazioni amiche. Ma sarebbe importante, direi dirimente, partire dalle evidenze scientifiche. I dati storici di Mauna Loa sulla crescente concentrazione di CO2 in atmosfera, le statistiche sulla temperatura media della crosta terrestre (forniteci invece da Copernicus), per non parlare dei più recenti rapporti dell’IPCC, ci dicono – tutti, con una straordinaria e convergente omogeneità – che viviamo una crisi senza precedenti per la nostra storia. Non si tratta quindi d’indugiare in toni apocalittici (che peraltro non ci appartengono), bensì di prendere atto, quanto prima e quanto più lucidamente possibile, della realtà. Così com’è. Le 425 ppm di CO2 in atmosfera e la serie record dei 13 mesi consecutivi (da giugno 2023 a giugno 2024) più caldi di sempre, sono dati reali, per quanto sconvolgenti. Dati che l’IPCC imputa in modo incontrovertibile alle attività antropiche e, in particolare, alle catastrofiche conseguenze indotte dal modello energetico fossile (carbone, petrolio, gas).
Ora, gli scienziati (unanimemente) ci dicono che la leva energetica potrebbe incidere per circa un 70% anche sulle politiche di decarbonizzazione.
Dunque, che fare? Se fossimo in un Paese normale, dovremmo preoccuparci (tutti) di come aggredire questa situazione. E farlo nel modo più efficace, coeso e rapido possibile. E, come in ogni buon “gioco di squadra”, dedicarsi tanto alla fase difensiva quanto a quella offensiva. Nel campo della decarbonizzazione, giocare in difesa significa soprattutto adattarsi. Rendendo più resilienti i territori. Ripristinando la natura ovunque possibile. Arrestando in modo radicale ogni nuovo consumo di suolo. Su questa strategia sistemica, conveniamo con molte associazioni e la maggior parte dei comitati. D’altronde, è più facile giocare in difesa, esercitare il conflitto e dire dei no. In Toscana, poi, in questa disciplina siamo proprio maestri.
Più difficile, ma non meno necessario e urgente, è giocare in attacco. Dicendo dei sì, e anzi promovendo dei progetti che riescano finalmente a capovolgere il modello energetico. Sarò ancora più esplicito. Non possiamo pensare di demandare ad altri quella quota di responsabilità (politica e quindi morale) che ci spetta di agire nella rivoluzione in atto. L’Unione Europea, con la Direttiva RED III e il RePowerEu, ci ha chiaramente indicato la rotta. E alla Toscana tocca installare almeno altri 4,2 GW di rinnovabili entro il 2030. Al Paese intero oltre 80 GW. Queste sono le asticelle, se vogliamo davvero affrancarci dalla dipendenza da fonti fossili e da Stati di dubbia democraticità. D’altra parte, che la diffusione delle rinnovabili sia per noi anche uno
strumento per promuovere la pace, è evidente ogni qualvolta sfiliamo col movimento dei Fridays For Future o alla Marcia Perugia-Assisi. E ciò è ancor più urgente e vero oggi, mentre due guerre abominevoli si protraggono nell’inerzia generale alle porte del nostro continente.
Cosa ha fatto dunque il Governo? E qui entriamo nel balletto dei decreti, sulle aree idonee e non solo. L’oscillazione tra postura autoritaria, che accentra tutto a Roma, e devoluzione completa (in anticipo sulla vergognosa riforma dell’autonomia differenziata) che demanda tutto alle Regioni, la dice lunga sulla sostanziale confusione che ha caratterizzato la stagione delle rinnovabili nell’ultimo biennio nel nostro Paese. In questo caso, dico semplicemente: governare, non subire. Che significa: leale collaborazione – verticale – tra i tre livelli istituzionali competenti (nazionale, regionale, locale) e, in orizzontale, tra le tre grandi strutture ministeriali preposte: MASE (ambiente ed energia), MiC (paesaggio) e MASAF (agricoltura). Che significa anche, in un auspicabile scenario di adeguatezza ed efficacia delle politiche di pianificazione e programmazione, cooperare (non competere) per raggiungere obiettivi trasparenti e condivisi.
Assecondare una rivoluzione deve essere motivante e responsabilizzante, al tempo stesso. In questo senso, mentre individuiamo le aree idonee (anche nel nostro giardino) abbiamo l’obbligo morale di rendere protagoniste (non succubi) le comunità locali, perché stiamo costruendo un mondo nuovo. E lo dobbiamo fare assieme.
Il paesaggio si è sempre evoluto con noi. Non è accettabile che ci si rassegni al fatto che la transizione possa scempiarlo. Perché questo lo sta già facendo la crisi climatica. Basta vedere quel che sta succedendo ai ghiacciai. Basta osservare la desertificazione che avanza ovunque anche in Italia. Basta registrare la crescente latitudine Nord cui ogni anno si rivolge la Caretta caretta per le sue nidificazioni.
Dico qualcosa di più. Mentre cerchiamo di salvare il futuro della nostra specie sul pianeta, abbiamo oggi il dovere di progettare nuova bellezza.
Penso alle macerie fisiche dell’agosto 1944, a Firenze, mentre la città gigliata insorse contro l’occupazione nazifascista e si liberò finalmente dal giogo della dittatura. E penso alle macerie sociali che ci ha consegnato l’era turboliberista basata sulla finanza, sulla rendita e sulla speculazione. E spero in cuor mio che abbiamo il coraggio, la forza e la creatività di Giovanni Michelucci, d’immaginare un mondo nuovo, come lui fece nel 1946 per le aree di Borgo San Jacopo e Via Por Santa Maria, sulle due testate del Ponte Vecchio, devastate dalle mine dei nazisti in ritirata.
Progettare e modellare nuovi paesaggi, nel Paese più bello del mondo.
Ecco il nostro compito per i prossimi anni. Buon lavoro e buona fortuna a tutti noi.