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Governo all’ultima spiaggia. Dopo finti scioperi di ombrelloni, annunci di resistenza alle gare e trucchi di coste allungate di 4.000 km, Palazzo Chigi adotta la Bolkestein per evitare sanzioni e problemi con Bruxelles

 |  Editoriale

Giorgia Meloni ha dato la nuova linea: scaricare l’ala dei balneari irriducibile contro le gare perché è impossibile tirarla per le lunghe, non conviene più fare gli anti-Bolkestein duri e puri promettendo l’impossibile, anzi va recuperato “un clima” con la Von der Leyen e la Commissione, e quindi nel prossimo Consiglio dei ministri passerà l'adozione “morbida” della Bolkestein, la normativa Ue più contestata e finora cavallo di battaglia soprattutto della destra italiana. I balneari entreranno così o in un disegno di legge sulle concessioni demaniali marittime, oppure finiranno nel calderone dei decreti Salva-infrazioni, il veicolo legislativo per la chiusura delle tante procedure europee pendenti o attivate per una quindicina di infrazioni.

Il legislativo di Palazzo Chigi e dei ministeri competenti hanno predisposto una bozza che continua a prevedere ancora un tentativo in extremis di proroga delle attuali concessioni fino a 5 anni - ma nella trattativa in corso con Bruxelles sarà cassato - indennizzi, e soprattutto gare con assegnazioni da cinque a 20 anni, e il 15% di spiagge libere per ogni Regione. L’Italia deve evitare in extremis deferimenti alla Corte di Giustizia Ue per non aver applicato la normativa Bolkestein e il pagamento di ulteriori sanzioni. E dell’intera materia si occuperà il nuovo commissario Ue, Raffaele Fitto, che già in qualità di ministro per gli Affari Ue è il titolare del negoziato con la Commissione.

La destra dovrà fare i conti con l’ala dura dei balneari e dei parlamentari anti-Bolkestein, ma del resto sono finite nel nulla tutte le richieste italiane di ritardare le gare, considerate “irricevibili” dalla Ue, e la certezza è di una nuova procedura di infrazione per una nuova sicura condanna della Corte con altri milioni di euro all’anno da pagare. Per di più, dal Quirinale il pressing è sempre alto per una svolta nel Far West sulla sabbia di Stato dopo le chiarissime sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato. Il governo potrà impegnarsi a garantire i “risarcimenti” ai balneari uscenti, “calcolati su fatturati e investimenti basati su perizie asseverate”, e solo per casi specifici ci sarà “lo slittamento dell'avvio delle gare per riassegnare le concessioni che scadono a fine 2024”.

L’ultimo tentativo di resistenza sulla sabbia il 9 agosto, col più finto sciopero di tutti i tempi

La serrata-flop degli ombrelloni del 9 agosto, a stabilimenti balneari praticamente ancora chiusi dalle 7.30 alle 9.30 e con le spiagge ancora vuote, aveva fatto annullare in fretta e furia anche le due repliche della protesta previste per il 19 e il 29 agosto. Ormai i primi Comuni mettono tranquillamente a gara le prime delle 7.244 concessioni balneari nonostante le proteste delle varie sigle, dalla Sib-Confcommercio alla Fiba-Confesercenti, e la grande balla del governo che continuava ancora a illudere i titolari delle concessioni sul rinvio e nella lotta dura alla direttiva europea Bolkestein del 2006, allora votata da popolari e socialisti con il no di sinistra e Verdi, e recepita dall’Italia nel 2010 dal governo Berlusconi.

L’odiata Bolkestein impone la concorrenza nel settore dei servizi – i taxi sono un altro capitolo italiano di ritardi cronici nell’applicazione - e anche sulle concessioni di spazi demaniali, disponendo all’articolo 3 le loro scadenze al 31 dicembre 2023, e l’obbligo di gara per le spiagge entro il 2024. Tempistica confermata da ben due sentenze del Consiglio di Stato, che già nel novembre 2021 aveva cancellato la maxi-proroga a favore dei balneari al 2033 decisa dal primo governo Conte. E ribadita anche dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Ue di appena un mese fa che ha definito “legittimo” il ritorno allo Stato delle spiagge a concessione scaduta, perdipiù senza indennizzi ai gestori uscenti.

Per capire il clima dopo anni di illusioni perdute, basterebbe ascoltare le vecchie volpi da spiaggia, gli storici balneari come Roberto Santini, patron del “Bagno Piero” a Forte dei Marmi, imprenditore sul sito sabbioso amatissimo dai vip che ha messo su un’azienda con 70 dipendenti con concessione familiare dal 1933. Commentava il finto sciopero del 9 agosto come il colpo finale alla credibilità di una lunga battaglia persa in partenza: “Piuttosto dovremmo scioperare contro i nostri rappresentanti sindacali che in 16 anni non sono stati capaci di proporre una soluzione… Io contesto tutto il lavoro fatto al tavolo tecnico da governo e sindacati… per anni si è pensato che il rinvio fosse una soluzione: è stato l’errore più grande. Semmai dovrebbero scioperare i lavoratori delle nostre aziende, quello che sta succedendo mette a rischio il loro lavoro”.

E tuonavano contro “l’irresponsabile fuga dalle responsabilità della politica e segnatamente del governo”, persino Antonio Capacchione e Maurizio Rustignoli, gli stessi promotori dello sciopero-flop, a nome di “oltre 30mila imprese che danno lavoro a 300mila persone”. Traditi da Lega e Fratelli d’Italia che avevano giurato che, una volta a Palazzo Chigi, addio gare!

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Vari governi hanno illuso gli affidatari di spiagge promettendo proroghe in eterno e rinviando i bandi

L’Italia sta sfidando le regole europee votate anche dall’Italia, e la stessa giustizia amministrativa italiana ormai da quasi due lustri. Nel 2009 fu il quarto governo Berlusconi ad abrogare il rinnovo automatico delle concessioni, lasciando invariate quelle esistenti fino al 2015. Nel 2012 fu il governo Monti a decidere di prorogarle fino al 2020. Nel 2018, con la legge di Bilancio fu il governo Conte I a trazione M5s-Lega a prorogarle fino al 2033 innescando la procedura d’infrazione Ue.

Un costante rinvio delle gare ai governi successivi ha portato nel 2021 il Consiglio di stato a fissare al 31 dicembre del 2023 lo stop alle proroghe delle concessioni. Ma il governo Meloni le ha rinviate ancora al 31 dicembre 2024, mentre la giustizia amministrativa sentenziava come “dovere di tutti gli organi dello stato disapplicare la proroga” e le sentenze del Consiglio di stato confermavano la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023, con spiragli di proroghe al massimo al 2024, come prevede la legge sulla concorrenza del governo Draghi ma solo per i comuni con l’iter delle gare avviato. Insomma, per la giurisprudenza, e a qualsiasi grado di giudizio, le proroghe generalizzate risultano “illegittime”, e sono ammissibili solo proroghe “tecniche” previste dalla legge 118/2022 ma solo a conclusione di gare in corso. Punto.

In più è arrivata anche l’Antitrust, garante della corretta competizione tra imprese, a chiedere le gare. Con un parere richiesto dall'Anci e dalla Conferenza Stato-Regioni, ha certificato che "il continuo ricorso" alle proroghe viola i principi della concorrenza e "favorisce effetti distorsivi” e “ingiustificate rendite di posizione”. E sollecita lo Stato "affinché tutte le procedure selettive siano svolte quanto prima", con l’assegnazione dei nuovi titoli “non oltre il 31 dicembre 2024".

Il valore delle spiagge pubbliche. Quando rendono allo Stato e quanto rendono ai privati?

Le spiagge sono beni naturali pubblici per definizione, un patrimonio straordinario e inalienabile dello Stato che non può essere privatizzato. Possono però essere affidate, ma solo temporaneamente, in concessione a privati per la loro gestione, e solo dopo una regolare gara, e pagando un canone calcolato sulla base del loro valore, e con garanzie ambientali di gestione e di conservazione del bene comune.

Per Nomisma, la gestione delle spiagge frutta ai gestori qualcosa come 15 miliardi di euro complessivi all’anno. Ma quanto rendono allo Stato i canoni? Una miseria! Complessivamente appena 115 milioni l’anno, stima la Corte dei conti. Un confronto disarmante lo ha fatto l’”Osservatorio sui conti pubblici” della Cattolica di Milano, calcolando per il capoluogo della Lombardia ogni anno il ricavato di 75 milioni di euro dai soli affitti della Galleria Vittorio Emanuele II, più della metà dei canoni di tutta l’Italia balneare!

Dal 2021, per i balneari è scattato un “canone minimo annuo” pari a 2.500 euro, più o meno l’affitto di due ombrelloni per tre mesi a 15 euro al giorno, come ha fatto notare Milena Gabbanelli nel suo report sul tema sul Corriere della Sera. Flavio Briatore, che con il Twiga ha un giro d’affari di una decina di milioni l’anno, paga un canone intorno ai 22mila euro annui, e paradossalmente è lui stesso a rinfacciare l’incredibile sproporzione tra il fatturato e il canone versati allo Stato.

Eppure, come rileva Marco Alfieri su dati in esclusiva di InfoCamere per il Sole 24 ore, sui bilanci depositati di 1.528 imprese balneari costituite nella forma giuridica più solida e cioè quella di Società di capitali, in media nel 2022 il valore della produzione ammontava a 405.762 euro, i costi di produzione a 381.005 euro, l’utile ante imposte a 20.093 euro e l’utile netto a 10.126 euro. Un utile da fame! E se allarghiamo lo sguardo a tutte le 7.244 imprese balneari censite da Unioncamere, e non solo alle 2.270 società di capitali che depositano i bilanci, la media nazionale dell’utile ufficialmente cala ancora! E sorge allora spontanea una domanda: per quale motivo i balneari e i loro difensori difendono le concessioni a vita? E come mai le “rivendono” a centinaia di migliaia di euro o persino a milioni di euro per i più lussuosi Bagni in Versilia, Positano o Taormina?

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Il Governo ha provato a riallungare le coste di 4.000 km con un’operazione fantozziana

A Palazzo Chigi, in pieno agosto, si lavorava a un ultimo “piano” da ultima spiaggia da provare a sottoporre alla Commissione Ue. Il legislativo aveva individuato nuove fantomatiche “ragioni oggettive” che avrebbero potuto favorire nuove proroghe, facendo sognare i balneari due ipotesi di fine concessioni: al 31 dicembre 2027 o al 31 dicembre 2029. Dovevano però provare a bypassare, ma non sapevano come, anche le alte scogliere delle sentenze del Consiglio di Stato, e del Ddl Concorrenza del governo Draghi.

Il piano, roba da campagna elettorale, rilanciava persino il grande bluff dell’allungamento artificiale delle nostre coste sabbiose, riprendendo e dando per buona la manomissione plateale della loro lunghezza della prima finta mappatura che fece ridere il mondo un anno fa. Allora, il “Tavolo tecnico consultivo sulle concessioni balneari”, un team interministeriale istituito dalla Presidenza del Consiglio aveva dentro i rappresentanti di 24 associazioni balneari ma non i tecnici dall’Ispra al Cnr e alle Autorità di bacino, dalle università agli istituti oceanografici e marini, modificò con un colpo di mano e di sole il profilo costiero italiano. Aggiunse a occhio circa 4 km di nuove possibili “spiagge libere” ma solo nel tentativo di far crollare dal 42% al 33% la lunghezza delle coste sabbiose a concessione, dimostrando come le spiagge sono una risorsa naturale “scarsa”. Dagli 8.329 km certificati da sempre, la penisola passò ad un prodigioso “totale della linea di costa pari a: 11.172.794 metri”. Provarono a declassare la reale mappatura del “Sistema informativo del Demanio” come “non più attendibile”. Con quella trovata, considerata da tutti degna di un “Totò truffa”, avevano immaginato di poter convincere Bruxelles a non aprire procedure di infrazione poiché il totale delle aree disponibili, argomentarono nella documentazione “…non deve riguardare unicamente le parti sabbiose, ma è da includersi anche la parte di costa rocciosa, poiché su quest’ultima è possibile installare strutture turistico-ricreative”.  Con il ricalcolo, risultava che nemmeno il 19% delle spiagge è oggi in concessione, ben tre volte sotto i dati reali.

La nuova versione dell’allungamento conteneva fantomatici nuovi “dati qualitativi” su base regionale che avrebbero fatto apparire all’orizzonte lo stesso miraggio di 4.000 chilometri in più di tratti costieri definiti come possibili “spiagge libere”, accessibili a potenziali nuovi concessionari. Un Dpcm doveva essere predisposto e fatto approvare entro il 30 aprile 2025 provando così a prendere ancora tempo, portando a casa le proroghe promesse al 2027 o al 2029. L’exit strategy già bocciata ci avrebbe fatto ri-sprofondare nel ridicolo.

Le riscoperte “nuove spiagge” inventate a tavolino erano, infatti, in una nuova mappa dei litorali costieri con alte o basse scogliere, con tratti degradati e coste inaccessibili, con zone militari off limits e aree portuali e aree commerciali. Sotto l’allegra dizione di “spiaggia libera” erano finite anche le aree costiere industriali o ex industriali più inquinate e in attesa di bonifica da decenni, zone con vasche di fanghi tossici, storiche aree di scarichi di sostanze industriali da Porto Vesme a Rossano Calabro a Bagnoli, coste con di fronte tratti di mare perennemente inquinati e interdetti da sempre alla balneazione, e con sabbie scomparse e sepolte sotto tonnellate di scarichi abusivi.

La Commissione ovviamente rispedì immediatamente al mittente la fantasmagorica “relazione tecnica” col suo surreale corredo di fotoshop prodotto da Assobalneari con file virtuali di ombrelloni romagnoli su scogliere e banchine di cemento portuali e industriali. E il tentativo penoso di minimizzare l’impatto delle concessioni.

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La lunghezza reale della nostra fascia costiera e delle spiagge, e le battaglie delle associazioni ambientaliste

Continuare a far immaginare di poter aggirare la Bolkestein e raggirare la Commissione Ue con operazioni fantozziane, avrebbe esposto l’Italia ad una nuova figuraccia internazionale. Sarebbe bastata un’occhiata veloce alle mappe digitali del nostro litorale, alla serie storica delle carte topografiche dell’Istituto Geografico Militare, alle foto aeree e alle precise cartografie realizzate dall’ISPRA, cliccare sul Portale georeferenziato delle coste per avere certificati al millimetro i km di linea costiera sabbiosa utilizzabile.

Non calcolando aree portuali o urbane e industriali, la lunghezza complessiva di costa naturale risulta pari a 7.522 km sui complessivi 8.329 km. La costa bassa e sabbiosa, misura l’Ispra, è lunga 3.418 chilometri. Il resto è costa alta e rocciosa con falesie e pareti a picco sul mare soprattutto in Sardegna, Sicilia, Liguria, Toscana e Campania, costellata in basso da tratti sabbiosi e spiaggette che però non raggiungono la misura minima di legge per esser date in concessione, tanto più che molte di loro sono inaccessibili, altro che piantarci gli ombrelloni!

E lunghi tratti delle nostre amate spiagge sono state erose anche dall’abusivismo dal boom edilizio negli ultimi 70 anni che ha visto occupare, calcola l’ISPRA, il 53% del limite interno delle spiagge che risulta ormai “artificializzato” con l’87% di costruzioni abusive diventati centri abitati, ville e villette e abitazioni sparse, alberghi e ristoranti.

Alle aree portuali, che si sviluppano per una lunghezza lineare complessiva di 2.250 km, si sono aggiunti oltre 300 km di coste occupate da circa 700 strutture marittime minori come pontili e banchine di piccoli approdi turistici. Sono poi complessivamente lunghe 1.300 km le strutture difensive artificiali rigide per ridurre o impedire l’azione erosiva del moto ondoso come paratie, muri di sponda, rivestimenti, pennelli, scogliere, barriere frangiflutti.

E l’erosione costiera avanza, come il rialzo lento ma inesorabile del livello marino. Nel complesso, circa 40 milioni di m2 di spiagge sono stati persi dal 1970 ad oggi: un’area sabbiose dove avrebbero potuto trovare posto una miriade di nuovi stabilimenti balneari, almeno il doppio di quelli esistenti oggi, come calcola Sebastiano Venneri di Legambiente. E da Legambiente al Wwf a Greenpeace a Mare Vivo a Mare libero, con un mare di ricorsi alla giustizia amministrativa e all’”Autorità garante della concorrenza e del mercato” con pronunciamenti molto chiari, e con denunce alla magistratura ordinaria, portano da anni in primo piano battaglie a tutela delle spiagge.

I primi Comuni e Regioni con le gare per le spiagge e il “giusto riconoscimento” degli investimenti

Con atti comunali sono intanto partite le prime gare. E le prime norme regionali stabiliscono “equi indennizzi” ai balneari che dovessero perdere le concessioni come riconoscimento degli investimenti compiuti, peraltro previsti anche nella legge Draghi, anche se a luglio la Corte di Giustizia Ue ha stabilito che ai concessionari non è dovuto alcun indennizzo per “opere non amovibili realizzate nell’area concessa”.

Ma intanto nel Veneto si bandiscono le gare utilizzando come veicolo la legge regionale del 2002 che consente procedure comparative per il rilascio di concessioni ventennali a fronte di piani di investimenti. Il Friuli-Venezia Giulia ha approvato, a metà giugno, nuove linee guida con criteri di selezione e valutativi delle offerte per garantire la qualità dei servizi che conta l’80% e solo per il 20% pesa l’offerta economica. In Emilia-Romagna le gare prevedono il “giusto riconoscimento” degli investimenti dell’impresa uscente e anche in Basilicata sono state approvate delibere regionali con nuove regole. La Calabria ha delegato ai comuni la valutazione “in autonomia” di procedere con le gare. Da fine luglio la Toscana ha una legge sui bandi con indicazioni omogenee per i 34 comuni costieri, prevedendo criteri di premialità e il riconoscimento di un “equo indennizzo” per i gestori uscenti a carico del concessionario entrante. Leggi simili saranno approvate in altre regioni.

Ma è il “faidate” sulle gare, senza un quadro nazionale chiaro e di supporto e finora avendo contro il governo. Sono stati lasciati soli e anzi osteggiati quei piccoli e medi comuni costieri che hanno applicato la normativa europea, messi in grandi difficoltà nella gestione dei bandi anche per carenza di personale tecnico da chi aveva provato a combattere battaglie demagogiche perse in partenza.

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.