La Cina è sempre più vicina. I mega-produttori di CO2 da carbone corrono più veloci di tutti anche sulle piste green. E il governo più di destra (e anti Green deal) a sorpresa apre a rinnovabili e auto elettriche targate Xi Jinping
Sorpresona di metà agosto! Il governo più a destra e più anti-Green deal europeo sta spingendo i nipoti di Mao Tse Tung nella lunga marcia della mobilità a trazione green con destinazione nostra la Penisola. Una clamorosa conversione a U, certo in funzione anti-Stellantis, per tappare i buchi produttivi della holding multinazionale con sede nei Paesi Bassi nata dalla fusione tra Fiat Chrysler e i francesi PSA, da tempo in plateale empasse industriale in Italia. La recente cessione dell'azienda d’automazione industriale Comau a un fondo di investimento Usa, senza nemmeno informare Palazzo Chigi, ha tracciato l’ultimo solco, dopo la filiera dell’automotive lasciata in panne soprattutto tra Lombardia e Piemonte, la costante riduzione di volumi di produzioni, il megaprogetto della giga-factory di Termoli disegnato sulla carta. Così, in vista dell’autunno caldo di proteste sindacali, dell’esaurimento nel 2025 degli ammortizzatori sociali senza i quali saranno licenziamenti di massa con almeno 12mila lavoratori a rischio negli stabilimenti Stellantis e altrettanti nelle aziende della componentistica, del limite triennale di utilizzo della cassa integrazione in molti casi già derogato ma consumato, al ministero delle Imprese e del Made in Italy si lavora per la “svolta rossa”.
Anche se tutti si lamentano ogni santo giorno dei cinesi che giocano sporco, favoriti dalle materie prime e aiutati dai mega-sostegni finanziari di Stato, sulle soluzioni green sia sottobanco che con accordi alla luce del sole l’Italia fa a gara per accaparrarsi quote produttive di auto ibride e elettriche Omoda, suv Aiways U5, Polestar 3, Byd Seal con batteria Blade, Lynk&Co 01, berlina Mg 4 Electric… l’invasione nei mercati europei è nei piani di Pechino e c’è chi sogna di farla partire dal nuovissimo hub-Italia dell’automotive. Il governo Meloni sta proponendo il business a tre case automobilistiche cinesi: la Dongfeng Motors già fornitore della Dr di Isernia, e a due carmaker come Byd e Aiways. Il ministero di Adolfo Urso ha censito oltre 200 siti industriali dismessi in Italia dove collocare i loro impianti e gli investimenti, proponendo anche partnership con quote di minoranza pubbliche italiane gestite dal ministero delle Imprese e del made in Italy. Le case automobilistiche cinesi ci pensano e ci credono. L’avamposto italiano della mobilità più tecnologica ed ecologica in Europa, può contare sulla grande professionalità della nostra manodopera, non solo per il montaggio dei pezzi preconfezionati in Cina ma per ricerca e innovazione.
Uno degli obiettivi della visita di Giorgia Meloni in Cina, dal 28 al 31 luglio scorso, e degli incontri con il presidente Xi Jinping e il primo ministro Li Qiang, è stato il rilancio dei rapporti commerciali controfirmati su un “Piano d’azione triennale 2024-2027” di partenariato strategico. A 20 anni dal primo partenariato siglato da Berlusconi premier nel 2004, il ritorno in Cina dopo l’uscita dalla “Via della Seta” ha prodotto la “Belt and Road Initiative” con l’obiettivo di aumentare da un lato la presenza italiana sul mercato cinese e dall’altro di aumentare in Italia gli investimenti cinesi. Oggi l’import-export è molto sbilanciato sulla Cina, terzo fornitore del nostro Paese di elettronica, tessile, prodotti chimici, metalli, veicoli elettrici, nuove tecnologie, cantieristica navale, aerospaziale, tecnologie di intelligenza artificiale.
L’Italia-testa di ponte cinese in Europa metterebbe sul piatto i 5,75 miliardi di euro del fondo automotive istituito nel 2022 e la chiusura del lungo scontro con Stellantis, e tra Stellantis e i sindacati, in vista del 2025 anno di pesanti licenziamenti. Altro che produrre 1 milione di veicoli in Italia con la motorizzazione ibrida della Jeep Compass a Melfi, altro che rilancio della Fiat 500 elettrica più competitiva e in versione ibrida a Mirafori o della Fiat Panda a Pomigliano. La lunga storia iniziata con gli Agnelli e finita con l’ad Carlos Tavares è sul viale del tramonto.
Ma anche in questa partita italiana da un paio d’anni la Cina, pur essendo tra i grandi emettitori di gas serra del Pianeta, sta dimostrando di fare sul serio sulla transizione green diventata anche un business globale. Come rileva QualEnergia.it, le tecnologie rinnovabili in Cina sono in forte fase espansiva. Se nel 2020, in piena pandemia, il presidente Xi Jinping si impegnò a raggiungere 1.200 GW di potenza elettrica tra solare ed eolico entro il 2030, il traguardo potrebbe essere già raggiunto a fine 2024 coprendo il 40% del fabbisogno cinese. Il “China Electricity Council” che riunisce imprese e enti elettrici di Stato prevede 1.300 GW di potenza eolica e solare installata entro fine anno, superiore alla quota del 37% di energia da carbone che continua a intossicare le grandi metropoli sparano CO2. Per potenza elettrica a fine anno l’eolico salirebbe a 530 GW e il fotovoltaico a 780 GW. La “National Energy Administration” cinese ha confermato nel 2023 una capacità totale installata di energia solare di 216,9 GW superiore a quella degli Stati Uniti a 175,2 GW. Le fonti elettriche non fossili registrano un quadro in movimento: il fotovoltaico, a dicembre scorso, segnava un +55% con un totale installato di 609 GW, l’eolico un +21% per 441 GW, il geotermoelettrico un +4,1% e 1.390 GW, il nucleare un +2,4% e 57 GW e l’idroelettrico un più 1,8% e 421 GW. Per la prima volta, a fine 2024, la potenza low carbon arriverà a 1.860 GW, il 57% della capacità totale, con investimenti aumentati del 40% e nel 2023 a 6,3 trilioni di yuan (890 miliardi di dollari).
La Cina marcia anche sulle celle fotovoltaiche, da primo produttore al mondo di pannelli solari. Fa impressione la distesa fotovoltaica della centrale di Changlu per 1.333 ettari, come 2000 campi di calcio, messi in fila dall’azienda elettrica di Stato Huadian, ed è la più grande centrale al mondo di energia elettrica per 1,5 milioni di famiglie. Entreranno nel mercato europeo nonostante dazi anti-dumping con assemblatori europei e italiani, per coprire la forte domanda di energia solare che in Italia è finanziata anche dal Pnrr. Fa, insomma, passi giganteschi e rapidissimi verso la decarbonizzazione, mentre l'evoluzione del trend di riscaldamento globale e locale – bastano e avanzano le temperature italiane mai viste e stabilmente oltre i 35 gradi da un mese – è molto più rapida di quanto si immaginava alcuni anni fa.
L'automobile è sempre inchiodata su diesel e benzina con qualche puntatina sulle frontiere dell'ibrido e dell'elettrico ma con carenze di infrastrutture di rete di ricarica che vedono l’Italia fanalino di coda. Ma ibrido e full electric che sembravano due supercazzole quando Toyota nel 1997 mise su strada la prima Prius, sono il futuro della mobilità e del business con una spietata concorrenza non come nicchia ma con curve di vendita dai grandi numeri, abbattendo i costi attuali. Gli analisti delle case automobilistiche sanno che il settore cambierà velocemente. Preparare contesti infrastrutturali per questa rivoluzione significa attrezzare le nostre città per la distribuzione di energia con reti di colonnine con tempi di ricarica molto più veloci, con stazioni di scambio batterie per auto elettriche, obbligando i distributori di carburante ad essere muniti di ricariche elettriche per farci viaggiare tranquilli anche sui lunghi percorsi autostradali. Cose che l’Italia non fa. E che forse anche la spinta cinese potrebbe accelerare.
Ovviamente le contraddizioni in seno al governo Meloni sono evidenti. Da un lato moltiplicano gli ostacoli normativi all’installazione di impianti rinnovabili, e dall’altro aprono alla Cina non solo sull’automotive ma anche per una filiera industriale nazionale dell’eolico offshore con l'azienda cinese MingYang Smart Energy, tra i principali produttori al mondo di turbine eoliche, e Renexia la società italiana nel settore delle rinnovabili del Gruppo Toto. L’obiettivo italocinese è creare in Italia anche una Newco per la costruzione delle turbine eoliche per parchi offshore galleggianti. Un altro tassello del puzzle della cooperazione con la Repubblica Popolare Cinese che stima 1.100 occupati per un investimento da 500 milioni di euro. Ming Yang, con Renexia ha già collaborato per la realizzazione a Taranto del primo e unico parco eolico marino del Mediterraneo. Ma tutto gira, dall’eolico offshore galleggiante alle quattro ruote elettriche, e la Cina si avvicina.