Fate presto! Salviamo la Laguna di Orbetello. Greenreport lancia l’SOS: il Governo intervenga. L’area protetta è in emergenza e non sopravvive senza interventi strutturali e la fine di scarichi agricoli e urbani
La Laguna di Orbetello è una perla dell’idromeraviglia lagunare nazionale, una delle nostre aree costiere più fragili e che richiedono cure e attenzioni permanenti. È uno dei più originali ecosistemi di transizione tra mare e terra, sovrasfruttati per varie attività. La sua delicatezza, come per tutte le altre nostre lagune, deriva dalla sua formazione, avvenuta a conclusione dell’era glaciale wurmiana, all’incirca 12 mila anni fa, quando il clima più caldo iniziò a rimodellare le fasce costiere della penisola creando aree come in Maremma, di incessanti interscambi tra acque dolci e acque salate. Sono tratti caratterizzati dall’estrema variabilità dei parametri idrologici, fisici, chimici e biologici, di temperatura e salinità. Una ricchezza di biodiversità e paesaggio marino costiero.
L’Italia è terra di lagune. Se la più grande è quella di Venezia, bellissima e rarissima perché soggetta alle alte maree, come solo un’altra laguna del bacino Mediterraneo, la palude salmastra tunisina del Golfo di Gabes, tante altre nostre piccole deliziose lagune sono ecosistemi delicatissimi e da monitorare e tutelare costantemente. Dall’alto Adriatico, l’itinerario costiero lagunare può partire dalla Laguna di Grado e di Marano alle Foci dello Stella per proseguire verso la Laguna del Mort enclave di acqua marina e dolce di falda freatica, poi le lagune di Caorle, quella di Venezia, del Delta del Po, di Goro, delle Valli di Comacchio, della Pialassa e della Baiona e dei Piomboni nel ravennate, e più giù i laghi pugliesi di Lesina e Varano. E poi Taranto, che nel dramma ambientale per la violenza industriale subita conserva ambienti umidi con sorgenti sottomarine che regolano temperatura e salinità. E sulle isole i laghi-pantano siciliani di Ganzirri e di Faro, la laguna dello Stagnone o salina di Marsala, e in Sardegna le lagune di Santa Gilla, Iscrixedda, Mistras e del Calich e gli stagni: da Cabras alla piana del Campidano e da Capo della Frasca alla Penisola del Sinis dove si sviluppa il nostro maggior complesso lagunare dopo Venezia con Mistras, Marceddi, Salina Nanna, S’Ena Arrubia, Palmas Arborea, Sale ’e Porcus, Pauli Trottas.
E risalendo le aree umide costiere tirreniche soprattutto laziali, ecco la Laguna di Orbetello, una baia che si è evoluta nel tempo nel disegno lagunare di oggi dove lo scenario dell’emergenza è impressionante e ricorda gli anni Ottanta delle mucillagini in Adriatico. Ma è impressionante anche l’assenza di interesse e di interventi dimostrata finora da parte del Governo.
Sono stati già recuperati oltre 700 quintali di pesci morti asfissiati, migliaia di anguille, orate e spigole, nella disperazione dei pescatori e di chi vive e di chi ama quel tratto di magica costa. L’area anossica è molto estesa, il gran caldo persistente alza anche la temperatura delle acque e contribuisce al crollo dell’ossigeno. Servirebbero tanti immediati interventi di pronto soccorso e poi di stabilizzazione, proprio come si fa con i feriti gravi. Tante azioni da azionare contemporaneamente: macchine per l’ossigenazione, panne di contenimento all’uscita del canale di Ansedonia, fondi nazionali per interventi strutturali dai canali per una maggiore circolazione e ossigenazione delle acque ad una nuova governance del sistema lagunare, e ci sarebbe l’ipotesi di un consorzio tra ministero dell’Ambiente, Regione e Comune per gestire la laguna.
Il presidente della Regione, Eugenio Giani, ha firmato lo stato di calamità e stanziato 1 milione di euro per la rimozione delle carcasse e per ristori ai pescatori e attività commerciali e turistiche. Ma bisogna fare presto per disattivare i killer della laguna: il continuo sversamento di nutrienti che favoriscono crescite incontrollate di alghe e conseguente crollo di ossigeno e morìa di pesci.
Il Wwf, che gestisce la Riserva Naturale Laguna di Ponente di Orbetello, e Legambiente, da tempo denunciano come le tonnellate di azoto riversate nelle acque lagunari, scaricate dall’uso e dall’abuso di fertilizzanti utilizzati in agricoltura e in parte anche da attività di acquacoltura con carichi di azoto, e anche di fosforo che arrivano dai depuratori che non riescono a gestire flussi nella stagione turistica, hanno impatti devastanti sull’ambiente lagunare. La scarsa profondità favorisce l’anossia, la mancanza di ossigeno, e il resto lo fa la produzione impressionante di sostanze da decomposizione delle alghe.
Abbassare il livello di nutrienti è una delle leve principali. Servirebbero almeno 40 milioni di investimenti per opere attese da anni come i canali per il ricircolo e l’ossigenazione delle acque. La laguna è un Sito d’interesse nazionale. Il Governo ha il dovere di intervenire e di contenere l’emergenza. Rinviare le soluzioni è semplicemente suicida. Continuare a perdere tempo significa decretare la decomposizione della laguna. Il Governo Meloni intervenga. Perché senza fondi resta solo l’emergenza.