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Da Nerone alla guerra dei roghi nel 2024. La Natura incendiata da criminali piromani, speculatori, disattenzioni, scarsi controlli, zero manutenzioni e sottovalutazioni. Le tecnologie per prevenire e colpire

 |  Editoriale

Anche ieri gli incendiari hanno colpito e terrorizzato. Paura e fughe di panico a Roma per l’incendio di Monte Mario alle spalle della sede Rai evacuata con le dirette sospese, aria irrespirabile, strade chiuse, palazzi sgomberati, dieci squadre di vigili del fuoco impegnate nell’emergenza tra fumo, fiamme ed esplosioni continue. Il rogo è divampato forse dal fornello di una tendopoli abusiva, forse da qualche accampamento di disperati nella vegetazione, o da altri focolai appiccati. E l’altro ieri gli incendiari hanno mandato in tilt la rete Fs dalla periferia di Roma, Orvieto, Pomezia e Casoria. Da giorni, sotto temperature record, criminali impuniti perché quasi mai individuati, danno fuoco a sterpaglie su terreni abbandonati ai limiti delle aree urbane colpendo infrastrutture vitali e mettendo a rischio vite umane e beni pubblici e privati in questa ennesima estate che annuncia nuove emergenze incendi. In molte regioni è scattato lo “stato di grave pericolosità per gli incendi boschivi”. Il caldo record da bollino rosso fisso a 40 gradi e la siccità al Sud spingono anche i roghi con oltre 10.000 ettari di terreni già andati a fuoco in questo 2024, di cui 8.400 nell’ultimo mese, favoriti dalla storica incapacità di prevenire, individuare e colpire.

Se le temperature creano le condizioni ideali per il propagarsi del fuoco, soprattutto in zone dove la vegetazione è ridotta a sterpaglie. Coldiretti su dati Isac Cnr relativi ai primi sei mesi dell’anno indica che ogni rogo pesa sulle tasche degli italiani per oltre diecimila euro ad ettaro incenerito, considerando le spese per lo spegnimento e la bonifica e quelle a lungo termine di ricostituzione dei sistemi ambientali.

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Il prototipo dell’incendiario: Nerone e le prime “Militia Vigilum”

Questa degli incendi dolosi e colposi è una tragedia antichissima. Il prototipo dell’incendiario, il più celebre della storia, resterà per sempre Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, conosciuto come Nerone, quinto imperatore romano che regnò per 14i anni, dal 54 al 68. L’incendio che incenerì gran parte di Roma dalla sera del 18 luglio 64 d.C. per 9 giorni, all’epoca metropoli da un milione di abitanti sovraffollata, suddivisa in 14 quartieri con case in legno, strade strette, distanza tra edifici minima, per i senatori suoi acerrimi nemici lo avrebbe fatto appiccare per la sua follia e per liberare spazi urbani alla megalomania di progetti visionari come la gigantesca Domus Aurea. Vero o falso, l’unica certezza erano gli innumerevoli inneschi: torce, lampade, bracieri e fuochi accesi in ogni casa con spazi interni dove ammassavano legna e fieno per i cavalli e dove anche una piccola fiamma diventava incontrollabile. Alle fiamme urbane si aggiungevano anche i colossali roghi di foreste e boschi appiccati per aprire radure e pianure per campi agricoli e urbs, e che spesso sfuggivano di mano, portando Cicerone nel 58 a.C. a denunciare la distruzione “della foresta madre dell’Appennino”.

Ma, stufi di esorcizzare le fiamme devastatrici ogni 23 agosto nelle cerimonie della Volcanalia supplicando il dio Vulcanus, nel 289 a.C. i Romani istituirono i primi servizi di vigilanza e soccorso con milizie di schiavi, che nel 22 a.C. Augusto riorganizzò nel primo corpo dei vigili antincendio della storia: la “Militia Vigilum Regime” o “Cohortes Vigilum”, il cui motto “Ubi Dolor Ibi Vigiles” è nell’effige dei nostri eroici Vigili del Fuoco. Contava sette Coorti con 7.000 liberti, gli schiavi liberati e inquadrati militarmente e riconoscibili dalle tuniche giallo-marrone e dall’elmo di cuoio, che pattugliavano le strade pronti a intervenire con secchi, scale, asce, ramponi, zappe, seghe e coperte bagnate per soffocare sul nascere le fiamme. E utilizzavano anche tubi di cuoio collegati ai siphones, le prime pompe antincendio capaci di un getto d‘acqua fino a venti metri di distanza.

Dalle Gilde medievali alle “Società di mutuo soccorso” ai primi “Corpi pompieri” e al “Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco”

Crollato l’Imperium, l’Italia divenne per un millennio terra di conquista e un inferno di fuochi e fiamme. L’antincendio ritornò solo con le Gilde medievali, le “Pie Società di Mutuo Soccorso” frutto di patti tra mercanti e artigiani, ma soprattutto con il primo “Corpo della Guardia del Fuoco” istituito nella Firenze del 1344 che impegnava muratori, fabbri, falegnami e volontari in 4 squadre organizzate nei 4 quartieri cittadini. E dopo oltre tre secoli di incendi furiosi per le fiamme che sfuggivano anche al controllo di contadini, pastori, carbonai e legnaioli, nel 1664 furono promulgate in Toscana le prime norme che vietavano di “cocere braci o carboni” nei boschi, e l’Opera del Duomo di Firenze, proprietaria delle foreste del Casentino, concesse ai suoi guardaboschi di portare “armi offensive e difensive contro chi abbrucia” come pugnali, sciabole, picche e alabarde. Il Granduca di Toscana autorizzò anche l’uso dell’archibugio a ruota.

Nemmeno la Serenissima di Venezia scherzava col fuoco, ma condannava chi bruciava o segava alberi senza permesso a “Sette anni in galera, a vogar il remo con ferri ai piedi”, e nel 1676 aggiunse le sue Guardie del Fuoco composte dai facchini veneziani. Il re del Piemonte Vittorio Amedeo di Savoia nel 1630 istituì la “Reale Compagnia dei Brentatori” con 150 carpentieri, falegnami e muratori. Roma lo fece nel 1738, attivando i Focaroli che erano muratori e falegnami. E nel 1809, Napoleone re d’Italia riorganizzando il “Corpo delle Gardepompes” in tutto l’Impero, fece nascere i primi “Corpi Pompieri” comunali di Firenze, Roma, Milano, Napoli e Torino.

Ma solo il 27 febbraio del 1939, con il Regio Decreto 3333, fu istituito il “Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco” con 94 “corpi” provinciali, poi smilitarizzato con legge 469 del 13 maggio 1961, e riorganizzato e inserito con la legge 225 del 24 febbraio 1992 nel Servizio Nazionale della Protezione Civile, e poi nel Dipartimento della Protezione Civile di cui i Vigili del Fuoco sono la principale componente operativa con circa 30.000 operatori. Sono loro sulla prima linea del fuoco, in azione contro le fiamme superorganizzati ma anche stremati, feriti e ustionati gravi dopo spericolati spegnimenti per salvare vite umane e beni e aree verdi, supportati dalle acrobazie dei Canadair con lanci da 6.000 litri d’acqua fuori in 12 secondi.

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Quanta sottovalutazione degli incendi e degli incendiari

Ma la cronaca di questi anni racconta la sottovalutazione degli enormi rischi di incendi negli anni più roventi della storia dell’umanità. Perché è sempre chiarissima la matrice colposa e dolosa e patologica dell’innesco, ma restano quasi sempre senza volto gli incendiari, sia i piromani con seri disturbi mentali che i distratti o i criminali del fuoco. Perché, al tempo di satelliti spia e di telecamere spioni, di droni e geo-localizzazioni, non se ne becca quasi mai uno che lo appicca? Le fiamme sono alimentate anche dalla complicità di chi non fa manutenzioni, non sorveglia e non previene e colpisce.

Dal 1980 ad oggi sono stati ridotti in cenere circa 5 milioni di ettari di boschi, foreste, macchia mediterranea, vegetazione, con una media di 106.894 ettari all’anno. L’autocombustione o i fenomeni naturali come un fulmine incidono poco o nulla, per circa l’1%. Nel 99% dei casi sono crimini contronatura di chi è pronto a uccidere, a mandare in fumo ecosistemi secolari e ad aumentare anche i dissesti geo-idrologici perché un incendio brucia persino le radici degli alberi rendendo sterile il suolo e aumentando lo scorrimento dell’acqua e lo smottamento di terreni.

I terroristi dei roghi hanno triplicato gli attacchi negli ultimi anni più tropicali, appiccando in media dal 2020 quasi due incendi al giorno. I dati satellitari dell’European Forest fire Information System mostrano le nostre aree sempre più vaste andare in fumo, e ci seguono Spagna, Grecia, Portogallo e Francia. Abbiamo alle spalle i picchi del 2017 con 160 mila ettari in fumo per 8.000 roghi, il 2021 con 110 mila ettari, il 2022 con 5.207 incendi, e nel 2023 l’Italia è stata colpita da incendi boschivi per una superficie complessiva di 1073 km2, +36% sul 2022 come calcola l’Ispra nell’ambito delle osservazioni e monitoraggi degli impatti degli incendi di medie e grandi dimensioni sugli ecosistemi. A questi, vanno aggiunti i roghi delle discariche soprattutto nel centro sud, a partire dalle periferie romane. La Commissione parlamentare bicamerale sulle ecomafie ha accertato oltre 250 incendi di discariche di rifiuti legali o abusive in tre anni.

Le cause degli incendi?

Un impunito ventaglio di resti di fuochi non spenti dopo un barbecue, lanci dalle auto di fiammiferi e cicche di sigarette ancora accesi, tentativi di ripulitura col fuoco di incolti e scarpate stradali e ferroviarie, rinnovazione di pascoli con bruciatura di stoppie, macchinari agricoli che producono fiamme libere e scintille, lanci di petardi e razzi. Ma anche roghi appiccati da chi lucra su bonifiche e rimboschimenti, per ritorsioni della criminalità, per vendette e regolamenti di conti personali tra confinanti, per reazione a vincoli apposti sulle aree protette. E si moltiplicano gli inneschi nei punti più irraggiungibili dalle squadre di soccorso ma ben conosciuti da chi appicca il fuoco quanto soffiano i venti più forti. In un ettaro di superficie in cenere perdono la vita in media anche 400 animali selvatici tra rettili e mammiferi e 300 uccelli. È un problema enorme anche di fronte alla ritrovata ricchezza di biodiversità della penisola con il clamoroso quasi raddoppio della nostra superficie verde rispetto all’immediato dopoguerra. Oggi alberi e vegetazione occupano un terzo della penisola, per l’esattezza 11.778.249 ettari sui 30.133.800. Incredibile, se pensiamo che solo 80 anni fa erano 5 milioni, e nel Settecento ancora meno, dopo deforestazioni amazzoniche medievali e rinascimentali.

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Chi controlla?

Nell’Italia degli incendi è un caso da manuale del farsi male da soli la Sicilia, isola martire anche dei roghi oltreché della mancanza di acqua e di infrastrutture idriche, dove dal 2018 sono andati in fumo oltre 200.000 ettari di superfici verdi. Una case history. La Regione potrebbe schierare un esercito di 22.226 uomini tra dipendenti regionali, delle aziende Foreste Demaniali e gli stagionali. È quasi metà dei 47.313 forestali italiani - in Lombardia sono 416, in Toscana 449, in Veneto 578  -, cinque volte più dei Ranger canadesi che però sorvegliano 400.000 km2 di boschi a fronte dei 3.400 dell’isola, e se in Canada c'è un sorvegliante ogni 95 km2, la Sicilia ne avrebbe uno ogni 0,136 km.

Uno schieramento imponente che non dovrebbe permettere nemmeno l'accensione di un cerino. Eppure, assiste impreparata ogni anno all’assalto degli incendiari. Motivi? Tanti. Perché delle 125 torrette antincendio solo il 60% è presidiato ma non di notte, le telecamere e foto-trappole non individuano colpevoli, la manutenzione boschiva parte sempre in ritardo e strade, autostrade e ferrovie arrivano in piena estate con erba secca e alte sterpaglie ai lati. I mezzi antincendio sono in gran parte obsoleti e almeno 600 veicoli sono da sostituire, i piani antincendio comunali restano nei cassetti, e non parte la nuova centrale operativa regionale con cabina di regia unificata della Protezione civile e del Corpo Forestale promessa dall’ottobre scorso dopo la stagione di incendi in mezza regione con fiamme a ridosso di centri abitati. Negli ultimi 5 anni la media dei roghi dolosi e colposi è stata di circa 10.000 all’anno, con picco di 12.000 focolai nel 2023 con 61mila ettari di terreno - il 63% delle aree bruciate dell’intero territorio nazionale - andato in fumo nell’Isola. Ed era una stagione nella quale l’acqua non è mai mancata.

L’Italia potrebbe applicare senza sconti la legge 353/2000 che stabilisce divieti e limitazioni allo sfruttamento economico dei terreni percorsi dal fuoco, ma non lo fa. Il 44% dei comuni colpiti da incendi, rileva l'Arma dei Carabinieri, non ha né adottato né aggiornato il “Catasto Incendi” per censire i suoli percorsi dal fuoco. Questa “dimenticanza” impedisce di censire terreni da sottoporre a vincolo. e la Direzione nazionale antimafia ha accertato che “si brucia per coprire altri reati” come rifiuti illegalmente stoccati. Insomma, il Nerone di turno incombe ancora.

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Le tecnologie antincendio

Spiega Michelangelo Suigo, direttore di Inwit che realizza e gestisce infrastrutture digitali a supporto della connettività wireless su tutto il territorio nazionale, sia outdoor che indoor, e da quest’anno le mette a disposizione per i monitoraggi ambientali: “Le nostre infrastrutture digitali e condivise, già utilizzate per il monitoraggio ambientale, con il monitoraggio degli incendi sono sempre più al servizio dei territori e sentinelle a tutela della biodiversità, prezioso patrimonio da proteggere”. Con Legambiente è partito un vasto progetto per il monitoraggio incendi in Abruzzo all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e di Pettorano sul Gizio, nella Riserva Naturale Regionale Monte Genzana Alto Gizio, nella Riserva Naturale Regionale Lecceta di Torino di Sangro , nella Riserva Naturale Bosco Don Venanzio a Pollutri e a Civitella Roveto per monitorare l’area della Longagna. Inwit, primo tower operator italiano, e Legambiente erano già alleate per il monitoraggio della qualità dell’aria e l’installazione della tecnologia di monitoraggio con gateway e telecamere smart su cui è integrato un software di intelligenza artificiale in grado di rilevare tempestivamente gli incendi intorno al punto di localizzazione. Le tecnologie sono in grado di funzionare anche in condizioni ambientali difficili e, grazie all’AI, di distinguere il fumo dei camini da quello degli incendi. Le nuove frontiere tecnologiche ci salveranno?

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.