Dalla Senna al Tevere, la sfida olimpica è rendere i fiumi puliti e ripristinarne gli ecosistemi naturali
Il 17 luglio scorso la sindaca di Parigi Anne Hidalgo aveva inforcato gli occhialetti e fatto un tuffo nella Senna per dimostrare al mondo intero che spendere un miliardo e mezzo di euro è servito a renderla di nuovo balneabile e pronta ad ospitare le Olimpiadi 2024. Doveva esserci anche il presidente Macron a celebrare i livelli più bassi di Escherichia coli degli ultimi 100 anni ma all’ultimo momento aveva declinato l’invito ed evitato di metterci la faccia.
Non sappiamo se Macron avesse previsto quello che sta accadendo ma certo è che ora che le gare di triathlon rischiano di saltare a causa di nuovi livelli d’inquinamento fatti registrare dal fiume parigino: nessuno ha voglia di essere associato ai batteri fecali della Senna. Tanto meno gli atleti che nei giorni scorsi hanno dovuto annullare gli allenamenti e che non sappiamo se adesso si tufferanno nella Senna o si limiteranno a disputare un inedito duathlon olimpionico.
Eppure le foto della sindaca immersa nelle acque cittadine avevano suscitano un bel po' di ammirazione e il pensiero era subito andato a Roberto Gualtieri che, mutatis mutandis, avrebbe dovuto tuffarsi nel Tevere, uno dei fiumi più inquinati e trascurati del nostro Paese. Si perché la balneabilità dei fiumi e il ripristino degli ecosistemi fluviali non è solo uno spot legato alle Olimpiadi: basti ricordare che la legislazione europea in ambito di ripristino della natura li individua come degli ecosistemi naturali su cui intervenire per garantire gli obiettivi di “restauro”.
Quindi, Olimpiadi o meno, tutti i sindaci europei dovrebbero avere come obiettivo quello di mettere mano al rapporto tra fiumi e città, come già sta accadendo in molti centri urbani del vecchio continente, e come ci ha raccontato Erasmo D’Angelis nei giorni scorsi.
La strategia europea sulla biodiversità prevede invece nuovo spazio alla natura su 25.000 km di fiumi in Europa: lo chiede la legislazione europea, lo impone il cambiamento climatico che sempre più spesso racconta i corsi fluviali per l’impeto delle alluvioni o per inquietanti livelli di siccità.
La situazione dei fiumi italiani – rileva il Wwf – è assai complessa. Infatti solo il 43% dei corsi d’acqua è in un “buono stato ecologico”, come richiesto nella direttiva quadro Acque (2000/60/CE); inoltre nell’ultimo secolo la costruzione di dighe e di traverse, il prelievo di sedimenti dai fiumi, le grandi derivazioni, e più in generale, gli interventi di artificializzazione in alveo e nelle aree attigue hanno profondamente modificato l’assetto dei corsi d’acqua. L’alveo dei fiumi si è inciso e abbassato da 3 a 10 metri, ristretto anche per più del 50%, e modificato nella stessa forma, passata ad esempio da una serie di canali intrecciati a un solo canale singolo, o da un canale sinuoso a uno rettilineo.
Esattamente il contrario di quanto realizzato col programma olandese Room for the river, secondo cui natura e acqua vanno di pari passo: un piano di progettazione governativo inteso ad affrontare la protezione dalle inondazioni, la progettazione paesaggistica e il miglioramento delle condizioni ambientali con un approccio di ritorno alle origini, che serve ora come modello globale in termini di gestione delle risorse idriche e di protezione contro i crescenti rischi di inondazione legati ai cambiamenti climatici. Secondo Ispra le principali minacce alla “salute” dei fiumi del Belpaese sono proprio gli interventi idraulici e i prelievi idrici, assieme all’inquinamento diffuso (per il 50% da fonte agro-zootecnica) e a quello puntuale (per il 27% da scarichi). Negli ultimi anni poi i ricercatori hanno rilevato il contributo devastante dei corsi d’acqua come vettori di plastiche e microplastiche verso il mare, specificando che non dipende solo dai grandi corsi d’acqua ma al contrario la pendenza e la capillarità dei corsi d’acqua più piccoli favorisce di molto il trasporto dei rifiuti e in particolare delle plastiche.
Insomma, la sfida per rendere i fiumi puliti e ripristinarne gli ecosistemi naturali è davvero una sfida olimpica che non possiamo permetterci di perdere.