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Un tuffo dove il fiume è più blu. Parigi venerdì apre le Olimpiadi nella Senna con tratti balneabili. Come stanno i fiumi d’Italia? Troppi scarichi agricoli e industriali e 2.000 Comuni “medievali” li riempiono di fogne

 |  Editoriale

A Parigi è countdown per il tuffo libero nella leggendaria Senna che separa la Rive Droite dalla Rive Gauche per circa 13 chilometri tra il Pont de Sèvres e il Pont de la Gare de l'Est, riflettendo luoghi iconici come la Torre Eiffel, il Louvre, Notre Dame. È stata ripulita dalla gran massa di scarichi fognari per i Giochi Olimpici che iniziano venerdì nella Ville Lumière grazie ai nuovi impianti di depurazione - 1,4 miliardi di euro di investimenti - e alcuni tratti sono diventati balneabili. La plateale  dimostrazione della réhabilitation è andata in scena il 17 luglio scorso, il “giorno da sogno” per la sindaca Anne Hidalgo con il primo bagno nella Senna più blu all’altezza dell’Ile Saint Louis e i parigini affacciati dal ponte Sully. Muta corta e occhialini da nuoto, insieme a Tony Estanguet organizzatore dei Giochi Olimpici, al prefetto e al vicesindaco, ha nuotato nel fiume che sarà teatro e protagonista delle Olimpiadi nel tratto sotto la Tour Eiffel, dove gareggeranno gli atleti nelle gare di nuoto di fondo, triathlon e paratriathlon. Il 13 luglio aveva però anticipato i nuotatori istituzionali la ministra dello Sport, Amélie Oudéa-Castéra, tuffandosi e nuotando anch’essa con la muta.

Gara d’immagine? Fuffa mediatica? Annunci strombazzati senza risultati concreti e durevoli? È un fatto che alcuni tratti fluviali sono stati aperti dopo cent’anni “temporaneamente alla balneazione” ancorché per un periodo limitato e grazie all’imponente piano di interventi di riqualificazione ambientale e fluviale durati qualche anno. I controlli di qualità dell'acqua e le misure di sicurezza per i nuotatori sono costanti e rigorosi e, anche se pochi ci credevano, ad un secolo dal decreto prefettizio che vietò il nuoto nella Senna utilizzato anche come canale fognario, i parigini potranno tuffarsi in tre “piscine naturali” attrezzate nell’attraversamento della capitale. Si aggiungeranno alla fascinosa piscina Joséphine Baker allestita dal 2006 su una péniche nel cuore del 13esimo Arrondissement con le sue ampie vetrate invernali che d’estate spariscono, dove si nuota tutto l’anno a pelo d’acqua accanto alla Senna e ai suoi bateau. Poggia su 20 galleggianti metallici, è larga 90 metri, ha una vasca lunga 25 metri e larga 10 di, un’altra piscina di 50 metri quadrati per i bimbi e poi idromassaggi, area benessere e per yoga e pilates, ampio solarium di 500 metri quadrati con lettini e sdraio. Uno spettacolo!

Parigi in ogni caso si aggiunge alle capitali fluviali dell’Europa centrale e settentrionale - da Zurigo ad Amsterdam a Copenaghen, da Budapest a Helsinki a Vienna - dove bagnarsi in tratti di fiumi o canali è un godimento a portata di mano da anni.

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Tuffarsi nei fiumi in Italia? Check up di scarichi abusivi e depurazione

In Italia? Dobbiamo limitarci a rosicare e ad applaudire da lontano? Continuiamo ad essere assuefatti ai divieti assoluti di bagnarsi nelle fresche, dolci e in troppi casi ancora molto poco chiare acque fluviali urbane? Releghiamo i nostri fiumi fondatori di città e civiltà universali a compiti illegali di fogna a cielo aperto? Quanto bisogna ancora aspettare prima di individuare e colpire duramente chi inquina per avviare recuperi ambientali di ecosistemi fluviali unici, per restituirli alla fruizione pubblica con anse, spiaggette e “piscine naturali” attrezzate e protette con vista sulle città più belle del mondo a partire dal Tevere a Roma?

Si contano sulle dita della mano le nostre aree urbane che provano a restituire ai cittadini tratti di fiumi da vivere. Circa il 60% dei nostri 7.644 corsi d’acqua con 1242 fiumi, risultano inquinati da scarichi abusivi per sversamenti di fogne, pesticidi, fertilizzanti, sostanze chimiche e microplastiche. L’Annuario dei dati ambientali dell’Ispra rileva alti livelli di inquinamento nelle analisi realizzate dalle 21 Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, con residui anche di pesticidi, insetticidi ed erbicidi. Solo il 43% delle nostre acque superficiali sono definite in “buono” o “elevato stato ecologico”, il resto è molto sotto l’obiettivo di qualità. Maladepurazione, scarichi abusivi, inquinamenti sono denunciati puntualmente ogni anno anche da Legambiente con le campagne Goletta Verde e dal Wwf, rilevando sostanze inquinanti ben oltre i limiti di legge alle foci dei fiumi.

C’è una Italia ancora medievale con almeno 2000 piccoli e medi comuni ancora tranquillamente fuorilegge soprattutto al Sud e soprattutto tra in Sicilia, Calabria e Campania dive si continua a scaricare di tutto. Lo Stato-Pantalone paga multe salatissime comminate dalla Corte di giustizia europea. Le prime due sentenze, infatti, ci stanno costando ben 125.000 euro pagati ogni giorno, un esborso del disonore che passa sotto silenzio e che si concluderà solo quando tanti canali di scolo abusivi comunali saranno collettati a impianti di depurazione. L’Istat paragona il totale dei liquami civili scaricati nei fiumi al flusso ininterrotto di un intero Paese con 41 milioni di abitanti!

Eppure ogni rete fognaria, per legge e buonsenso, deve essere allacciata ad un impianto di depurazione, la fase conclusiva del ciclo integrato dell'acqua che deve garantire l'eliminazione delle sostanze inquinanti per restituire all'ambiente naturale l'acqua utilizzata a tutela della salute pubblica e della qualità degli ecosistemi e per il loro possibile riuso. L’Istat rileva 18.042 “depuratori in esercizio”. Ma il 56,3% sono solo vasche settiche di pre-trattamento tipo imhoff, e solo in Val d'Aosta, nella Provincia autonoma di Bolzano, in Emilia-Romagna e in Umbria il servizio pubblico di depurazione è presente in tutti i comuni.

Quando saranno allacciati a reti fognarie e a depuratori tutti gli scarichi incivili urbani? Abbiamo sul groppone altre 4 procedure di infrazione per mancata o inadeguata attuazione degli obblighi di trattamento delle acque reflue urbane. Aspettiamo altre sanzioni? Quanti altri milioni di euro pagheremo per continuare a inquinare?

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Ricreare gli storici bagni fluviali? Si può

Oggi si contano sulle dita della mano le nostre aree urbane che provano a restituire ai cittadini fiumi da vivere e puliti. Eppure è straordinariamente lunga e affascinante la storia dei tuffi, ad esempio, nel Tevere. Nelle spiaggette urbane si sfidava persino la Roma papalina seicentesca con i suoi divieti a colpi di editti dello Stato Pontificio che imponevano: “Che non si vada a notare, o lauarsi al Fiume senza mutande”. Ma, a fine Settecento, anche il Papa si arrese e consentì, sulle rive di Ripetta, l’installazione delle prime cabine per i bagni pubblici. Clemente XIV, il 6 luglio del 1770, firmò la prima storica “Concessione perpetua” per “fare capanne del fiume Tevere incontro al porto di Ripetta ad uso di farvi bagni…coll’obbligo di pagare ogni anno alla Camera de’ Tributi nella vigilia o festa de’ SS. Apostoli Pietro e Paolo il canone di libre due di cera bianca lavorata”.

Le vedute dipinte da Gaspar van Wittel o Ettore Roesler Franz, come le foto virate seppia degli Alinari, fanno rivivere giochi nell’acqua, fiumi come palcoscenici di regate e gare di tuffi e di nuoto, mostrano l’allegria sulle spiaggette in riva destra del Tevere sui Prati di Castello e a Trastevere o alla spiaggia della Renella a valle di Ponte Sisto. Anche nel resto dell’Italia urbana fluviale, chi non poteva permettersi la villeggiatura al mare aveva a due passi il suo fiume sulle cui rive, dagli anni Trenta dell’Ottocento, sorsero stabilimenti balneari, lidi per ogni ceto sociale rimasti in funzione fino a metà Novecento. Tuffarsi, però, poteva essere anche molto pericoloso e non solo perché nelle acque si smaltivano rifiuti di ogni genere, ma nei bassi fondali potevano esserci cocci e vetri rotti, e correnti e gorghi erano vere trappole.

Erano molto popolari i Bagni con capanni di legno sistemati come palafitte nel fiume preso la riva dove l’acqua era poco profonda, e tanti imparavano a nuotare nelle anse come piscine fluviali a volte con cornici di galleggianti che delimitavano porzioni di fiume.

Il più famoso bagno sul Tevere lo inventò Luigi Rodolfo Benedetti, il “fiumarolo dei fiumaroli” detto Gigi er Ciriola per la sua attività di pesca di anguille – le ciriole appunto – che ebbe l’idea di riciclare il suo rimorchiatore a pale come stabilimento fluviale galleggiante, e di costruire capanne di cannuccia sulla sponda. Erano gli anni Quaranta del Novecento, e da allora e fino agli inizi degli anni Sessanta “Er Ciriola” fu una celebrità, e il suo Galleggiante un’attrazione ancorché snobbato come luogo di divertimento per “poveracci”. Ma si prese una bella rivincita quando Dino Risi lo utilizzò come set di “Poveri ma belli” nel 1956. Altri stabilimenti balneari restano nella memoria della Capitale, come la Spiaggia Polverini che per un secolo ha offerto un posto al sole e per un tuffo, l’Isola dello Zibibbo su piattaforma galleggiante, i più lussuosi Bagni della Rari Nantes o della Romana Nuotatori, predecessori dei circoli Canottieri Aniene e Tevere Remo.

Il Tevere peraltro oggi è un fiume sempre più vivo, e se scorresse non per 405 km raccogliendo in 4 Regioni (Romagna-Toscana-Umbria e alto Lazio) acque di 42 affluenti spesso scarsamente depurate, ma per i soli 55 km di attraversamento di Roma  da Castel Giubileo alla foce di Ostia sarebbe il fiume più pulito d’Europa. È stata chiusa definitivamente dai depuratori costruiti da Acea, con un lavoro iniziato con l’amministrazione di Francesco Rutelli sindaco, la stagione nella quale Tevere e l’affluente romano Aniene fungevano da collettori fognari della Capitale e dei Comuni dell’area metropolitana. Un lavoro costante e colossale ha trasferito flussi di scarichi di circa 4 milioni di persone che si riversavano nelle acque del Tevere e poi nel mare in 25.200 chilometri di rete fognaria trasportati nei 2 grandi impianti di depurazione e in 170 impianti minori nell’area metropolitana. Trattano oggi oltre 500 milioni di metri cubi di acque reflue all’anno, calcolando anche l’acqua piovana che confluisce nel sistema fognario. Depurazione, controlli ambientali e fitodepurazione rendono il Tevere più pulito e più sicuro. E alla foce di Ostia dove spesso si ritrovano anche i delfini. La maggiore qualità è dimostrata dalla vita biologica nel fiume e intorno al fiume, da ecosistemi preziosi come piccole oasi e fasce di naturalità lungo le sponde.

Anche sulle rive del Po erano decine gli stabilimenti balneari e le spiagge attrezzate. Da Moncalieri a Bertolla c’erano i lidi dei torinesi che “andavano al mare” ma in realtà si fermavano in riva al grande fiume. I primi bagni natanti di Torino debuttarono accanto ai Molini della Rocca, a valle dell’attuale ponte Umberto I, ai Murazzi e sotto il Monte dei Cappuccini, e furono gli ultimi a scomparire. Rievoca il cronista Luigi Rocca, anno 1876: “Tre stabilimenti di bagni stanno ora sul fiume. Uno più modesto e frequentato assai, specialmente per le donne poco lungi dai Molini della Rocca [...] un altro per gli uomini e l’altro elegantissimo presso la gradinata che scende sulla riva del fiume, in capo alla via dell’Ospedale”.

Ogni piena era però un rischio. Lo stabilimento balneare fluviale di Guglielmo Biestra, costruito nel 1851, fu distrutto dalle acque del Po che spazzarono la riva sinistra nell’area del Giardino della Pallamaglio. Ma il Regolamento comunale del 1855 stabilì che dovessero essere “recintati con frasche e palafitte e teli”, per garantire la privacy, e la moda dell’epoca offriva mutandoni fino al ginocchio e bagni separati per uomini e donne, con chiusura tassativa alle dieci di sera e divieto di tuffo nelle ore notturne e la domenica “nelle ore dei divini uffizi”.

Andavano tutti al fiume anche a Firenze. Lungo l’Arno cittadino, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, c’erano le “Marine”, veri stabilimenti balneari. Il più popolare era il “Bagno pubblico Valcaloggia” a Porta al Prato, accanto ai mulini, con spogliatoio, guardaroba a pagamento, diviso in due tratti, uno per gli uomini e l’altro per le donne.

Ricorda lo scrittore Giuseppe Conti nel suo “Firenze Vecchia” del 1899: “Il cancello era coperto da una lamiera, per impedire la malvagia curiosità dell’altro sesso. Ma la impediva fino a un certo punto; perché coloro che sapevan nuotar bene, si buttavan sott’acqua e riuscivan fuori passando di sotto il cancello nel bagno delle donne. Le quali urlavano come calandre, vedendo quegli sfacciati...”.

Nella zona di San Niccolò c’erano due Bagni “superior”: il primo era la “Buca del Cento”, di proprietà del commerciante di reti da pesca Giovan Battista Bianchi detto il Rosso, che per “decenza” lo aveva circondato di tendoni e per un quattrino forniva l’asciugamano; il secondo era l’aristocratico “Fischiaio”, all’inizio del lungarno Serristori. Un “quattrino” per entrare, e un “soldo” per l’asciugamano. Non aveva però barriere tra maschi e femmine ed era frequentato da “fior di persone”, con servizio di bagni caldi con acqua di fiume riscaldata in tinozze. C’era anche il bagno per il “popolino” alle Molina di San Niccolò, frequentato, scrive Conti “se non dalla peggior feccia di Firenze, come quello della Vagaloggia, ma poco ci correva”. Tuffarsi in quel punto era però molto rischioso a causa della profondità e delle correnti. Un altro era presso la Zecca Vecchia, piastrellato con mattoncini rossi e per questo chiamato “Bagno dei Matton Rossi”. A questi il Comune ne aggiunse altri nel 1913, al Pignone, alla Nave e a Santa Rosa, misti per uomini e donne, e allo scalo Piagen- tina e a San Niccolò per soli uomini. Furono realizzati in legno, su una leggera platea in muratura. Gli ingressi erano graziosi, con ringhiere e decorazioni riprese poi dai primi successivi stabilimenti balneari della Versilia. La delibera comunale ordinava che fossero tenuti con la massima pulizia e decenza e che la biancheria venisse lavata ogni volta che fosse usata in modo che l’igiene pubblica fosse sotto ogni aspetto tutelata.

Dal 1904, poi, funzionava lo stabilimento balneare della Rari Nantes Florentia sul lungarno Ferrucci, con tanto di cabine, docce, salvagenti e bagnini. Alla Rari si imparava a nuotare, a fare attività sportiva e agonistica sul fiume nella storica porzione trasformata in piscina delimitata da galleggianti. Con la piena del 1966, e i nuovi regolamenti urbani, i bagni e lo sport in acqua furono vietati. Ma oggi, lungo l’Arno che scorre a Firenze, sarebbe il caso di non lasciare più solo il Presidente della Toscana, Eugenio Giani nel suo tuffo di ogni inizio d’anno nel dantesco fiumicel sotto gli Uffizi, e di superare l’ultimo scoglio. L'Arno oggi è uno di quei fiumi ripuliti da scarichi fognari comunali, che se ha problemi qua e là lungo il corso per scarichi abusivi agricoli o industriali e di incivili, scorre con acque imparagonabili per qualità al fiume putrido di un tempo. Ed è possibile e realistico ricreare aree balneabili protette.

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Le spiaggette dei piccoli corsi d’acqua. Ma con precauzioni

E oggi? È importante conoscere le insidie dei fiumi e fare molta attenzione ai divieti di balneabilità e alle previsioni meteo, perché è rapidissimo il cambio di condizione che potrebbe far aumentare portate e velocità delle correnti e gorghi. Le anse di montagna poi sono le

meno sorvegliate e quindi mai allontanarsi dalla riva o dalle anse più tranquille. Sulle sponde, poi, non c’è soffice sabbia ma massi e sassi anche molto lisci o aguzzi, quindi camminare con cautela e con calzature adatte. Occorre fare molta attenzione anche ai tuffi, valutare le altezze e la profondità dell’acqua. Per kayak, canyoning, rafting, aquatrekking, è necessario avvalersi sempre della guida di persone esperte e certificate, ed è bene informarsi prima.

Detto questo, anche tanti nostri piccoli corsi d’acqua sono emozioni continue per la quantità di piscine naturali, anse, conche, pozze, salti, prati, lastroni di pietra dove stendersi al sole, con rive facilmente accessibili. Da Nord a Sud sarebbero teoricamente migliaia le spiaggette fluviali. Ci sono quelle lungo il torrente Fer in Val d’Aosta, dove si avventurava per rinfrescarsi anche il giovane Camillo Benso Conte di Cavour, cultore di bagni nelle acque limpide e fredde che ai riflessi del sole creano giochi di luce. Sulle sponde del Ticino nell’Oasi naturalistica dell’Alto milanese c’è il mare di Turbigo con spiaggette di ciottoli bianchi e acque limpidissime; sull’Adda c’è il Medolago Beach a due passi da Milano al Serio, e a due passi da Bergamo c’è la Coston Beach al ponte del Costone di Casnigo; ci sono le Buche di Nese di Alzano Lombardo nei laghetti del fiume Nesa; alla Busa de Giareta di Carmignano di Brenta c’è un’oasi sul fiume cristallino; c’è la spiaggia naturale fluviale di Ponte di Casona sul Panàro. È lungo e incredibilmente affascinante anche l’elenco dei luoghi fluviali meno glamour ma che meritano un’escursione e un bagno, come quelli della Toscana sul Santerno, tra Firenzuola e Castel Del Rio, dove dopo una cascata scenografica c’è una piscina naturale deliziosa in mezzo ai monti; o tra Pomarance e Volterra sul Cecina al Masso delle Fanciulle nella Riserva naturale della Foresta di Berignone con una cascatella e la sua pozza che riflette i colori della natura; alle anse del fiume marchigiano Auro; alle piscine naturali dell’Umbria con roccioni lisci sui quali prendere il sole sotto le Mole di Narni; alle cascatelle dell’oasi Capelli di Venere a Casaletto Spartano nel Cilento, dove sottili getti d’acqua nascono dal rio Bussentino; in Sardegna sul Rio Pitrisconi dove i salti formano formidabili piscine naturali.

Insomma, altro che la Senna a Parigi! Ci sarebbero tutte le condizioni per ribaltare definitivamente la percezione del fiume-cloaca. Se solo lo volessimo.

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Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.