Check up dei rifiuti dopo il report Ispra. Cosa è cambiato? Cosa potrà cambiare?
Il primo dato del nuovo rapporto Ispra sembra buono: la produzione di rifiuti speciali nel 2022 diminuisce rispetto al 2021, passando da 164,9 milioni di tonnellate a 161,4. Una differenza di 3,5 milioni di tonnellate (il totale dei rifiuti urbani di Lazio e Marche), pari al 2,1%,
Una riduzione non piccola, specie se confrontata con il dato macroeconomico che vede il Pil italiano crescere, sempre nel 2022 sul 2021, del 4%, coda del rimbalzo post Covid, in un anno caratterizzato dalla crisi energetica e la guerra in Ucraina. Ancora presto per fare valutazioni su possibili disaccoppiamenti, la serie storia di lungo periodo indica ancora una produzione in crescita dei rifiuti speciali a fronte di un Pil sostanzialmente stabile dal 2010.
Cosa è cambiato nell’ultimo anno analizzato ?
Alcuni flussi di rifiuti sono aumentati, come quelli da costruzione e demolizione, passati da 78.2 a 80, probabile effetto degli stimoli economici (superbonus) a questo settore in quell’anno. Quasi 2 milioni di tonnellate in più.
Si riduce invece il secondo gruppo di rifiuti per importanza quantitativa, quelli prodotti dagli impianti di gestione dei rifiuti (inclusi gli urbani) che passano da 43.1 milioni di tonnellate a 42, poco più di 1 milione di tonnellate.
Crolla la produzione di rifiuti prodotti dai processi termici e della metallurgia che passano da 10,3 milioni di tonnellate a 8, un quinto in meno, dato probabilmente connesso con gli effetti della crisi energetica. Si riducono leggermente i flussi di rifiuti di tutti i principali comparti industriali italiani: legno e carta, pelli e abbigliamento, chimica inorganica e organica, imballaggi. Se dai rifiuti volessimo capire qualcosa sull’economia, diremmo che nel 2022 ha tirato l’edilizia, mentre l’industria e l’energia ne hanno risentito.
Questa asimmetria dei dati si riflette anche sugli andamenti regionali. Alcune regioni vedono un aumento della produzione (Lazio, Campania, Piemonte, Marche, Calabria) mentre le altre registrano una diminuzione, in alcuni casi importante (Lombardia, Veneto, Puglia).
I dati sulla gestione dei rifiuti speciali non dicono molto di nuovo rispetto al 2021. Anche questi si riducono come i rifiuti prodotti (da 178,1 milioni di tonnellate a 176,6). Si consolida l’avvio a recupero di materia che passa dal 72% al 72,2%, si riduce la discarica (da 10,2 a 8,9 milioni di tonnellate), stabile l’incenerimento e recupero di energia (2,9 milioni di tonnellate) e le altre forme di smaltimento (da 17,9 a 17,4 milioni di tonnellate), aumentano le messe in riserva di materiali destinati a recupero (da 17,6 a 18,8 milioni di tonnellate), indicatore di una certa criticità nei mercati di sbocco, specie per gli inerti. L’Italia si conferma quindi un Paese di riciclo e recupero, con tassi di discarica bassi ed in riduzione (dal 5,7 % al 5%). Se si applicasse ai dati 2022 i criteri di calcolo Eurostat sulla gestione dei rifiuti (considerando cioè solo gli output finali e non i trattamenti intermedi) l’Italia avrebbe un tasso di riciclo totale (speciali più urbani) dell’84%.
Qualche dato interessante arriva invece dall’export di rifiuti speciali che nel 2022 aumenta e passa da 3,9 a 4,8 milioni di tonnellate (+24% rispetto al 2021), 900.000 tonnellate in più. Esportiamo molti rifiuti pericolosi, passati da 1,3 milioni di tonnellate a 1,5 (+ 200.000), indice di una mancanza di impianti in Italia per questo tipo di rifiuto. Esportiamo prevalentemente in Europa, poco in Turchia e India, quasi niente in Cina. Si potrebbe riflettere su quali impianti e trattamenti potremmo fare in Italia, evitando l’export, considerato che i prezzi i Austria, Germania, Francia, Danimarca e Spagna non dovrebbero essere tanto inferiori a quelli che potremmo fare noi: il problema infatti è la mancanza di impianti. Dato confermato dall’evidenza che esportano le regioni italiane ricche (Lombardia, Veneto, Friuli, Piemonte, Emilia) e non quelle meno industrializzate.
Il quantitativo maggiormente esportato (64,3% del totale dei rifiuti non pericolosi), pari a circa 2,2 milioni di tonnellate, è costituito dai rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti. In particolare 675 mila tonnellate sono i famosi codici 19.12.12 (+237 mila tonnellate rispetto al 2021), indice delle difficoltà italiane degli impianti intermedi di conferire a impianti finali.
Insomma, siamo pieni di trattamenti intermedi, produciamo un sacco di rifiuti da rifiuti (la seconda voce) e in parte li esportiamo.
Esportiamo per avviare a recupero di materia (2,5 milioni di tonnellate), 75% del totale export, fatto da plastica, gomma e metalli. Ma esportiamo anche per avviare a recupero di energia: 775.000 tonnellate pari al 22,8% dell’export. Un valore confrontabile con un grande impianto di incenerimento. Il 19% dei rifiuti pericolosi esportanti è incenerito (278.000 tonnellate).
Uno spunto possibile di politica industriale: abbiamo ampi margini per fare impianti per rifiuti pericolosi, aumentare il riciclo interno e costruire impianti di recupero energetico, ridurre l’export e trattenere valore in Italia, ridurre la movimentazione e gli inquinamenti connessi. L’export in crescita è il conto che paghiamo alla sindrome Nimby.