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Ma che caldo che fa? C’erano una volta il clima mediterraneo e l’Anticiclone delle Azzorre, il colonnello Bernacca e il calendario di Frate Indovino. Oggi c’è il sottovalutato effetto crisi climatica

 |  Editoriale

Anche quest’estate italiana sarà la più calda di sempre in una penisola da settimane meteorologicamente divisa a metà. Laggiù al centrosud c’è il rovente Paese dei Tropici dove staziona stabilmente la canicola che sfiora i 40 gradi. E lassù al nord c’è l’Italia dei nuvoloni sparsi che scaricano nubifragi e grandinate con alluvioni e frane. Di fronte a questi rischiosi estremi climatici che ci colpiscono come non mai e colpiranno in futuro, ci comportiamo come se vivessimo nello screenshot dell’Italia virtuale del secolo scorso, prigionieri nel fermo immagine novecentesco quando le sequenze di alte temperature con siccità e di alluvioni con tipologia Firenze 1966 avevano “tempi di ritorno” con un paio di eventi all’incirca ogni 15 anni. Dal Duemila, invece, l’Italia frantuma ogni record, con 10 gravi siccità e una media di fenomeni meteo estremi in aumento vertiginoso – nel solo 2023 sono stati 378 calcola Legambiente, con un +22% sul 2022, tra alluvioni, frane, mareggiate, grandinate e temperature eccezionali – confermati dai monitoraggi dell’Ispra che rilevano il 2023 come decimo anno consecutivo di aumenti di temperatura rispetto alla media con ottobre a +3,27 °C, un valore climatologico spiazzante e il più alto della serie mensile dal 1961! E stanno rilevando un 2024 che sfonderà altri record.

Che il caldo faccia brutti scherzi lo indica la serie di banalità liquidatorie dei rischi da riscaldamento globale accelerati dalle attività climalteranti umani e anche sul Green deal, ripetute ieri dai banchi delle destre negazioniste all’avvio della X legislatura europea nell’emiciclo di Strasburgo che ha eletto Roberta Métsola presidente dell’Europarlamento. Boutade come “terrorismo meteorologico”, “allarmismo climatico ingiustificato”, “previsioni meteo fuorvianti”, servono solo a continuare a minimizzare e ritardare misure sulle quali si accumulano ritardi da almeno vent’anni. Non siamo nemmeno nel 2002 quando Silvio Berlusconi, da presidente del Consiglio al vertice Nato-Russia di Pratica di Mare, poteva ancora provare a tranquillizzare gli italiani spiegando  che: “Il nostro Paese comincerà a intiepidirsi in un lasso di tempo pari a quello che ci divide addirittura dalla morte di Caio Giulio Cesare, circa duemila anni; quel che è certo è che credo sia inutile agitarsi troppo perché un po' di tempo ce l'abbiamo”. Oggi non frenare “l'intiepidimento” vuol dire consegnare aree urbane e settori produttivi e il futuro delle nuove generazioni allo sconquasso delle catastrofi.

Mettiamola però in positivo. Il tempo per correre ai ripari c'è, e non scade oggi. Evitiamo pure l’allarmismo perché bastano gli allarmi in corso – la siccità estrema in Sicilia con l’aggravante di reti e infrastrutture idriche in uno stato vergognoso, inesistenti o rabberciate –, a farci capire che non possiamo continuare a vivere come se fossimo nel secolo scorso.

In quel tempo andato della seconda metà del Novecento, le previsioni del tempo per i nostri nonni e per i nostri padri erano affidate all’immancabile “Calendario di Frate Indovino”, l’almanacco dell’Italia contadina distribuito in ogni abitazione e casolare da parrocchie e associazioni agricole, che dal dopoguerra iniziava a indicare a generazioni di agricoltori previsioni meteo addirittura annuali, con fasi lunari e tempi di semina e raccolti e la regolarità nell’andamento atmosferico che garantiva certezze nei turni irrigui. Dalla fine degli anni Sessanta, con l’arrivo dello “scatolone” televisivo, iniziarono le innovative “previsioni del tempo” trasmesse dall’unico canale tv Rai dalla popolarissima rubrica “Che tempo fa”. In 5 minuti prima del telegiornale delle ore 20, il colonnello dell’Aeronautica Edmondo Bernacca annunciava, ogni sera, la “previsione del tempo” per il domani. Era il primo meteorologo della tivù, quando ancora la meteorologia era un ramo oscuro della “scienza militare”, gestita non a caso dal ministero della Difesa dall’ufficio “Sezione Presagi”.

Agli italiani, il colonnello indicava con semplicità le sue “carte del tempo”, con quadri precisi dell’evoluzione climatica. Azzeccava  ogni previsione aiutato dal mitologico “Anticiclone delle Azzorre”, il fenomenale e puntualissimo “soccorritore” del tempo sulla nostra penisola che, tra la terza e la quarta settimana di giugno, quando l’alta pressione iniziava a scaldarla, si spostava dalle Azzorre e dall'oceano Atlantico settentrionale e si piazzava stabilmente sull’Italia, contrastando e annullando il rovente “Anticiclone africano”. Rendeva le nostre estati decisamente le più gradevoli e invidiate del mondo, accompagnate da venti rinfrescanti e da temperature massime poco oltre i 30°C al nord e a volte qualcosina in più al sud, nelle canoniche due settimane più calde dell’anno, tra l’ultima di luglio e la prima di agosto.

L’estate italiana aveva gradi di temperatura accettabili, e ufficialmente si concludeva a fine agosto con qualche temporale, ma a settembre iniziava il secondo tempo estivo con valori tra i 24 e i 28C°. Non c’erano internet e nemmeno i social, l’alfabetizzazione era in corso e le mappe meteorologiche atmosferiche erano “top secret”, ma gli italiani erano rassicurati dal puntualissimo ritorno dell’Anticiclone delle Azzorre.

Un altro impareggiabile ruolo di regolatore climatico dell’atmosfera lo aveva, e continua in parte ad averlo, il Mediterraneo che addolciva il clima sull’Italia rendendolo il più invidiabile del mondo con temperatura media superficiale intorno ai 12 gradi, regalando estati calde ma ben ventilate, e inverni freddi e piovosi ma con temperature accettabili e confortevoli. L’inverno mediterraneo, scriveva Fernand Braudel in Memorie del Mediterraneo “ha la sua dolcezza; nelle pianure più basse nevica raramente; a volte si hanno giornate serene e soleggiate senza che per forza soffi il mistral o la bora; il mare stesso offre una calma inattesa, e le barche a remi possono avventurarsi al largo per breve tempo; in fondo, questa stagione delle tempeste è anche il tempo delle piogge benefiche. I contadini di Aristofane possono rallegrarsi, chiacchierare, bere, stare in ozio mentre Zeus, con grandi rovesci d’acqua, feconda la terra”.

Il bacino marino faceva da confine climatico tra le aree tropicali e quelle delle medie latitudini, attenuando le escursioni termiche con la sua azione termoregolatrice. I climatologi, non a caso, indicano il clima mediterraneo come “temperato”, il più gradevole e fino al secolo scorso anche il più prevedibile, grazie alle sue acque meno fredde di altri mari che riuscivano a trattenere calore estivo rilasciandolo nel periodo invernale. Questo immenso privilegio è stato però messo in discussione dal cambiamento climatico accelerato dalle emissioni di CO2 di origine antropica, che ha modificato le traiettorie dell’Anticiclone africano e impedisce all’Anticiclone delle Azzorre di penetrare e stabilizzarsi sul Mediterraneo in questi mesi estivi.

Queste modifiche, e il progressivo riscaldamento delle acque del “Nostro Mare” hanno reso il Mediterraneo uno dei laboratori di effetti del riscaldamento globale, dove le bolle calde di umidità che salgono dal mare scontrandosi nella bassa atmosfera con le correnti più fresche producono contrasti termici  che a loro volta alimentano eventi meteo violentissimi, in particolare sulla nostra penisola, per la sua posizione geografica e le sue caratteristiche orografiche. La nuova configurazione atmosferica con la nuova configurazione climatica coi livelli elevati di emissioni di gas serra, fa sì che il molto atteso Anticiclone delle Azzorre resti sempre più sull’Atlantico e l’alta pressione non eserciti più il suo effetto-cuscinetto sulla nostra penisola, tenendo il clima in equilibrio e mitigando sia le basse pressioni del Nord Europa sia quelle troppo calde dell’Africa. La nostra estate è radicalmente cambiata e l’aria calda africana dell’Anticiclone chiamato “Caronte” trova ampi spazi di penetrazione con il suo carico di calore dal Sahara e l’elevato tasso di umidità recuperato nell’attraversamento del Mediterraneo, scaricando tempeste con temporali violentissimi.

Le nostre temperature oltre i 10° sopra la media, le nostre città da bollino rosso per picchi intorno o oltre i 40 gradi e non solo al Sud, che Copernicus Climate Change Service dell’Ue segnala ormai da anni, indicano platealmente che quella del Mediterraneo è l’area dove il riscaldamento climatico sta correndo a velocità del 20% superiore alla media globale, e l’Italia è uno dei punti di maggior fragilità climatica del globo. Il mare stabilizzatore del clima sta invertendo la sua funzione in “propulsore” di catastrofi.

I problemi da affrontare con politiche di difesa e adattamento sono urgenze ed emergenze vere. E anche sotto i 40 gradi conviene farci un pensierino e darsi una mossa.

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.