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Siamo il Paese delle frane e delle alluvioni, ma se il clima è cambiato la politica deve cambiare. È l’ora di un patto tra governo e opposizione

 |  Editoriale

Tra la Val d’Aosta e il Piemonte il loop dei disastri annunciati rimanda immagini di strade franate, paesi allagati e devastati, abitanti e turisti in fuga nel terrore puro, famiglie isolate, maxi-evacuazioni con elicotteri, sofferenze indicibili, territori travolti da fiumi e torrenti in piena con portate inimmaginabili, piogge precipitate al suolo in poche ore con quantità che cadono anche in un anno intero. È l’effetto clima. È l’atmosfera sempre più calda, con l’aumento delle quantità di vapor d’acqua che vengono scaricate a terra con tutta l’energia accumulata. Nei bassi strati dell’atmosfera agisce da innesco il riscaldamento globale che iper-riscalda il nostro Mediterraneo, e che a sua volta sta immettendo come non mai tanta umidità e calore che, a contatto con masse d'aria fredde atmosferiche, sviluppano imponenti celle temporalesche che diventano cicloni, uragani, nubifrabi, grandinate e tempeste di vento.

I soliti danni, da troppo tempo, che oggi ci fanno sentire tutti valdostani e piemontesi. Noi italiani siamo primi in solidarietà concreta, da record nei soccorsi del sistema di Protezione civile. Ma siamo anche primi nella rimozione delle cause dei disastri, tra gli ultimi in opere e interventi di prevenzione. Ma non è paradossale che con tutta l’informazione che ci avvolge, con l’intelligenza artificiale che ci seduce con l’accesso ad una mole di informazioni impensabile per le generazioni precedenti, l’impatto sulla coscienza dei rischi che corriamo e sulla necessità della loro riduzione sia così impalpabile? Continuiamo ad affidarci ai colpi di fortuna, ai miracoli dei santi protettori invocati nelle ore della disperazione a partire da San Giovanni Nepomuceno contro le alluvioni, a ricadere rassegnati nel fatalismo nell'attesa passiva della prossima frana da esorcizzare ancora con scongiuri, rituali, toccatine di ferro, cornetti di corallo? Possibile che in un Paese come il nostro, così sovraesposto ai disastri climatici, non cambi radicalmente e alla svelta il suo approccio catastrofico alle catastrofi annunciate? Dopo aver contato circa 17.000 frane e circa 5.000 alluvioni negli ultimi 70 anni, con oltre 6mila morti, oltre 1 milione di sfollati, quasi 4 miliardi di danni in media pagati ogni anno dal dopoguerra – con il quasi raddoppio negli ultimi 20 anni – per risarcimenti e riparazioni, è così difficile capire che il tempo è tutto per mettere in salvo vite umane, territori, abitazioni e infrastrutture?

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Cari politici, lo dovete alle vittime e al dolore una reazione. Difendersi si può e difendersi si deve. Lo abbiamo dimostrato con Italiasicura, la Struttura di missione per il contrasto al dissesto idrogeologico istituita nel 2014 a Palazzo Chigi e operante coi governi Renzi e Gentiloni con un piano a lungo termine di opere urgenti (circa 11.000 previste nell’unica pianificazione che c’è, in tutte le Regioni, con un investimento previsto intorno ai 30 miliardi di euro spalmato in 10 anni, con 8,3 miliardi ritagliati e poi dispersi nel Pnrr).

Quante Cogne ci sono Italia? Uno sterminato elenco di “nodi idraulici” che diventano disastri annunciati. Calcola l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che le aree a rischio frane, alluvioni o erosione costiera sono presenti in 7.423 Comuni italiani, il 93,9% –  praticamente tutti –, con 1,3 milioni di abitanti a rischio elevato di frane più 6,8 milioni di italiani a rischio elevato di alluvioni. Una diffusione capillare dovuta alle caratteristiche peculiari della nostra penisola, col 75% di territori montano-collinari, a fattori di innesco come l’abbondanza di piogge e di corsi d’acqua torrentizi, ad una rischiosità naturale anche sismica e vulcanica. Oggi va aperto il cantiere più urgente, è l’ora di cambiare tutto prima che sia troppo tardi. Se ci accontentiamo di essere solo i più bravi soccorritori della migliore Protezione civile, restando schiappe in prevenzione e auto-protezione, conteremo solo danni come oggi, nel mosaico di deliziosi paesi nella Valle di Cogne travolti dall'ondata di piena della Dora Baltea, a Montjovetson e Issogne, Bard, Donnas e Champdepraz, Cervinia e nelle vallate alpine del torinese come la Valle Orco, e Chialamberto e Mathi e Montanaro sotto le esondazioni del torrente Stura di Lanzo, e Oulx in Valle Susa, con Usseglio, Valle Viù, Valnontey.

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E allora, se non ora, quando? All’Italia geneticamente vulnerabile e strutturalmente indifesa serve un Big Bang di prevenzione operativo. Il Governo e le opposizioni hanno oggi il dovere di reagire, senza perdere tempo. In un Paese serio, e noi lo siamo nonostante tutto, la presidente del Consiglio convocherebbe oggi tutti i capigruppo proponendo un patto politico, un accordo tra partiti, una tregua tra coalizioni e gruppi rappresentati in Parlamento, con garante il Presidente della Repubblica. Per fare cosa? Per occuparsi della sicurezza degli italiani, della difesa di paesi e città con uno scatto di responsabilità oltre le beghe dello scontro e della polemica politica quotidiana. Cari partiti, fate la cosa più giusta per gli italiani: riaprite una struttura modello Italiasicura, chiamatela come volete ma fate infilare gli stivaloni di gomma ai più preparati tecnici della pubblica amministrazione, ce ne sono in quantità e pronti e motivati, di aziende pubbliche e società con competenze su problemi complessi ma gestibili. Bisogna tutti rimboccarsi le maniche, basta cavalcare le emergenze con le solite promesse. Recuperate alle svelta risorse certe e spendibili. Se serve, a Palazzo Chigi c’è ancora l’unico piano decennale con 10.200 opere e interventi, fatelo aggiornare. Salvare vite umane è un dovere, e significa anche salvare i bilanci dello Stato: le sole ultime 4 grandi alluvioni negli ultimi 2 anni, dalle Marche a Ischia e dalla Romagna alla Toscana, costeranno 15 miliardi e sono costate 48 morti e decine di migliaia di sfollati e abitazioni e aree produttive distrutte. Rimettere in piedi una struttura tecnica del governo, da replicare per 20 in ogni Regione, per gestire l’impresa nella massima velocità e trasparenza, senza fermarsi mai.

Solo questo è uno Stato che difende gli italiani! Che non si arrende mai! Che combatte. Per questo vale la pena unirsi. Come non ricordare le parole del fondatore del sistema di Protezione civile, l’indimenticabile Giuseppe Zamberletti: «Scegliamo di proteggere i vivi “prima” che i disastri si verifichino, piuttosto che intervenire solo “dopo” a contare i morti… il nostro Paese fatica molto a uscire da una convivenza coi rischi dettata più dalla fiducia nello stellone italico che da una sana cultura della prevenzione che dovrebbe caratterizzare un Paese moderno e sviluppato». Fareste bene, caro governo e care opposizioni, a condividere uno spazio di collaborazione fuori dalla competizione quotidiana. Abbiate questo coraggio.

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Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.