L’autonomia differenziata contronatura. L’ambiente fatto a pezzi con rischi di mani libere nel Paese-record di consumo di suolo, bocciato anche dalla Ue
Mettiamola così. Come se non bastasse il caso Sicilia che mette in mostra tutti i guai del federalismo applicato nella prima regione a statuto speciale che oggi fa preferire a molti siciliani la retromarcia per il ritorno a più Stato e meno separatismo e indipendentismo e competenze esclusive, a raffreddare gli entusiasmi da curva sud sull’autonomia differenziata ci ha pensato l’altro ieri la Commissione europea nello Staff working document che accompagna le raccomandazioni per l’Italia, e che il 19 giugno ha portato all’avvio della procedura d’infrazione per deficit eccessivo.
Una sonora bocciatura, spiegando che “l’attribuzione di competenze aggiuntive alle regioni italiane comporta rischi per la coesione e per le finanze pubbliche”. Si elencano le perplessità sulla riforma che “non fornisce alcun quadro comune di riferimento per valutare le richieste di competenze aggiuntive da parte delle regioni. Inoltre, poiché i Lep (Livelli essenziali di prestazioni) garantiscono solo livelli minimi di servizi e non riguardano tutti i settori, vi sono rischi di ulteriore aumento delle disuguaglianze regionali. L’attribuzione di poteri aggiuntivi alle regioni in modo differenziato aumenterebbe anche la complessità istituzionale, con il rischio di maggiori costi sia per le finanze pubbliche che per il settore privato”.
Ed era il giorno in cui il provvedimento è diventato legge con la firma del presidente Mattarella, apposta dopo aver accertato “nessuna manifesta incostituzionalità”. Al momento, quindi, si avviano norme solo procedurali per richieste e intese con le Regioni, da approvare con nuove leggi.
Detto questo, c’è un vulnus quasi ignorato, e di cui pochissimo si parla nello spezzatino regionale preparato dal ministro leghista Calderoli, che meriterebbe invece una particolare attenzione: la devoluzione alle Regioni anche della vastissima materia ambientale, un vero caso di autolesionismo nazionale.
Ambiente non è l’ospedale o la scuola o il campo sportivo o la strada o una rete idrica da costruire con planimetrie alla mano e materiali, tracciati e volumetrie certe e autorizzate. Ci vuole poco a capire che la Natura, per sua natura, è un valore in sé, un ecosistema nazionale unico e indivisibile, è il nostro ciclo vitale senza confini che dalla sabbia delle spiagge alle foreste sulle alture avvolge e interagisce con il tutto.
Come si fa rinchiudere dentro recinti amministrativi regionali elementi come le acque superficiali di un fiume che attraversa diverse regioni – non a caso le 23 Autorità di bacino nazionali più quelle regionali sono giustamente diventate 7 Autorità di distretto comprendendo aree molto vaste –, o le acque sotterranee con percorsi anche insondabili. Oppure tracciare una linea di confine del patrimonio forestale e boschivo, del bel paesaggio, della biodiversità, degli areali degli animali.
Con troppa faciloneria, e anche una certa dose di incultura ambientale, invece si procede contronatura con “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario” predisponendo devoluzioni regionali prive di logica ecosistemica, che significheranno gestioni frammentate e “alla giornata”.
Ma quel che più stupisce è che la riforma naviga senza nemmeno il supporto di robuste e impeccabili analisi scientifiche e tecniche e valutazioni su benefici e costi di questa operazione che somiglia tanto a un “Fate del vostro pezzetto di ambiente un po’ come vi pare”.
Anche se la riforma ha ricevuto i sì del Senato e il via libera di Montecitorio, il tempo ci sarebbe per una riflessione attenta in vista dei negoziati regioni-governo-Parlamento per l’attribuzione di poteri e prerogative. Devono ancora essere definiti i “Livelli essenziali delle prestazioni”, i cosiddetti “Lep”, ovvero i servizi minimi che lo Stato dovrà garantire alle nuove “20 repubbliche indipendenti”, insieme al gettito minimo adeguato di risorse finanziarie sulle 23 materie devolute - dall’ambiente alla sanità, dall’istruzione all’energia, dai trasporti alla cultura.
Entro i prossimi 24 mesi, il governo dovrebbe quindi varare i decreti legislativi con livelli e importi dei Lep, già cedendo alle regioni materie come i rapporti internazionali e con l’Ue, commercio con l’estero, sistema tributario, enti di credito fondiario e agrario e l’altro grande rischioso azzardo dello spacchettamento della Protezione civile.
L’insostenibile leggerezza con la quale è stato gestito il varo dell’autonomia finanziaria contrasta poi con la competenza dello Stato definita dall’articolo 117 della Costituzione che recita: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie […] tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”. È la nostra Costituzione che richiama le sue tutele “nell'interesse delle future generazioni” tra i compiti prioritari dello Stato. E la Natura non è un servizio tra i tanti.
Come la mettiamo quindi con la riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione che ha posto la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi tra i principi fondamentali della Carta costituzionale? Era appena l’8 febbraio del 2022 quando il Parlamento introdusse finalmente nuove e chiare tutele per l’ambiente e gli animali.
L’articolo 9 oggi recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Al contempo, nell’articolo 41 si legge: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute, all’ambiente”.
Princìpi fondamentali e fondativi che indicano l’ambiente come ecosistema e biodiversità, riconoscendoli come beni indivisibili e di tutti, risorse fondamentali per la vita, sancendo la sua tutela diretta come un dovere di tutti. Parole essenziali e impegnative.
Nella grande crepa che si apre si sprofonda poi con la tutela degli ecosistemi garantita dai “Livelli essenziali delle prestazioni”, all’articolo 3, comma 3. L’ambiguità delle “prestazioni” in materia di ecosistemi naturali è parecchio ambigua ed evoca cattivi pensieri. Trasformiamo in merci suoli, paesaggi e arenili? Definiamo un valore e poi via alla tombatura di un corso d’acqua o addio alla permeabilità di un terreno da edificare? Che sono? Indicatori, livelli di protezione, valutazioni di utilizzi, soglie limite? I Lep non lascerebbero mano libera in ogni Regione, ognuna delle quali potrà legiferare e autorizzare usi e abusi senza più l’argine dello Stato? E i Le da chi saranno definiti? Conferenza delle Regioni, consigli regionali in piena autonomia e a maggioranza, dal governo, dal parlamento? Ogni Regione definirà per sé come tutelare i suoi beni più preziosi, potrebbe abbassare o innalzare i limiti della presenza di sostanze chimiche nell’ambiente, legiferare su un’area parco nazionale confinante con altre Regioni.
I limiti amministrativi applicati agli habitat naturali sono un assurdo anacronistico. Il rischio è limitare le tutele e aumentare gli ostacoli, con effetti devastanti sull’ambiente, e anche sulle riparazioni: in caso di frana o alluvione o incendio vedremo conflitti a non finire tra Regioni per esborsi finanziari.
La nuova legislazione italiana ambientale divisa in 20 legislazioni regionali differenti vedrà conflitti a non finire non avendo più regole nazionali con vincoli ambientali.
La riforma in materia ambientale contrasta poi con il bisogno di politiche nazionali coordinate su scala europea nella catastrofica fase climatica. Siamo il Paese leader per consumo di suolo naturale, con un’avanzata inarrestabile di cemento & asfalto censita dall'Ispra al ritmo di 2,4 mq al secondo, che nel 2023 ha visto cementificare altri 77 kmq di terreni vergini, oltre il 10% in più sul 2022.
Non ripetiamo l’errore madornale dei decreti Bassanini che, con il D.Lgs. n. 112 del 31 marzo 1998 – “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59” – cancellò tout court il “Servizio idrografico e mareografico dello Stato”, il nostro gioiello scientifico che il mondo ci invidiava e che monitorava costantemente acque dolci superficiali e sotterranee e acque marine con report periodici, visione d’insieme e interventi.
I suoi compiti furono spacchettati e devoluti senza criterio alle regioni con Dpcm del 24/07/2002, con la perdita di una visione nazionale sulle acque e di operatività che stiamo pagando oggi con una frammentazione di competenze ministeriali e regionali anacronistica, nonostante il grande recupero di efficienza del sistema Ispra-Snpa.
Non facciamoci del male facendo vincere gli animal spirits, l’allergia alla questione ambientale e sacche di negazionismo climatico, nonostante l’evidenza di una emergenza che oggi imporrebbe all’Italia piuttosto azioni nazionali concrete, immediate e coordinate e spendendo al meglio i fondi dei piani europei, dal Green deal all’importantissima “Nature restoration law”, con lo scongelamento immediato del Piano nazionale di adattamento climatico.