Gaza e le altre: ricostruire le città devastate dalle guerre, non solo con i mattoni
Al 12esimo World Urban Forum (WYF12) di UN-Habitat che si conclude oggi al Cairo, in Egitto, i delegati hanno discusso di una complicata questione di sviluppo urbano: cosa è necessario per salvaguardare i residenti e garantire loro l'accesso ad alloggi e servizi di base quando scoppia una guerra in una città affollata e con infrastrutture essenziali?
Al centro della discissione è stata la situazione di Gaza che ha subito e sta subendo una devastazione che non ha pari nemmeno per le città bombardate durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo 13 mesi di intensi bombardamenti, il tessuto urbano e la vita urbana della Striscia di Gaza sono in rovina e la guerra sta ora colpendo la Cisgiordania, il Libano e la Siria.
L’evento “Spotlight on the Urban Crises: Gaza” ospitato dal WUF12 ha evidenziato che »La guerra in corso ha portato alla distruzione diffusa delle infrastrutture, in particolare di alloggi e servizi essenziali. La perdita di case ha lasciato migliaia di famiglie sfollate, aggravando la già grave crisi umanitaria. Questa devastazione ha creato un'urgente necessità di una strategia di recupero urbano completa che affronti la ricostruzione di case e quartieri e il recupero sociale ed economico delle comunità. Mentre molti sforzi si sono concentrati sulle risposte di emergenza, il recupero urbano a lungo termine rimane poco esplorato. Il recupero urbano a Gaza richiede un approccio che integri sia la ricostruzione fisica sia la ricostruzione sociale ed economica delle comunità. E’ chiaro che i cittadini di Gaza vorranno tornare nei loro quartieri il prima possibile. Data la complessità del panorama politico, sociale e ambientale, la ricostruzione di Gaza non può essere vista solo come una questione tecnica; richiede una comprensione più profonda del tessuto sociale e della resilienza delle comunità palestinesi. La perdita delle case ha avuto profonde implicazioni per le famiglie, portando a una maggiore vulnerabilità, alla perdita di coesione sociale e alla rottura dei mezzi di sostentamento. Per molti palestinesi, le case rappresentano più di un semplice posto in cui vivere: sono centrali per la loro identità, il loro senso di appartenenza e la loro stabilità economica. Sarà fondamentale andare oltre la ricostruzione fisica e concentrarsi su approcci guidati dalla comunità«.
La direttrice esecutiva di UN-Habitat, Anacláudia Rossbach, ha detto che «Quando parliamo di costruire e ricostruire, non parliamo solo di alloggi; parliamo di sostegno sociale e di collaborazione con le comunità per vedere un possibile futuro».
Un concetto ribadito da molti partecipanti, a cominciare dal ministro per la governance locale dello Stato di Palestina Sami Hijjawi che ha detto a UN News: «La ricostruzione può essere realizzata solo attraverso sforzi congiunti, in modo organizzato e strutturato. In questo modo possiamo trarre vantaggio dalle esperienze precedenti e non ripetere gli errori commessi nei periodi precedenti. Quando si affronta la questione di dare rifugio alle persone e di ricostruire le infrastrutture, è fondamentale che queste siano ospitate il più vicino possibile alle loro città d'origine. Nonostante le circostanze difficili a Gaza, gli sforzi di sviluppo e urbanizzazione continuano. Stiamo ancora lavorando, pianificando, programmando e fornendo servizi alla nostra gente, entro i budget disponibili».
I partecipanti al meeting hanno condiviso numerose idee ed esperienze sulle risposte ad altre crisi urbane, tra cui quella provocata dalla guerra infinita in Somalia e Zahra Abdi Mohamed, direttrice per la riduzione della povertà e per le soluzioni durevoli del ministero federale della pianificazione della Somalia, ha fatto l’esempio del Semantic Project: «Integra questioni relative a edilizia abitativa, terra e proprietà con l'accesso ai mezzi di sostentamento e ai servizi sociali. E stiamo cercando di garantire che quando agli sfollati interni viene fornito supporto, questo sia olistico e integrato. Bisogna passare da un approccio puramente umanitario a un approccio di sviluppo. Sono molto importanti i servizi di sviluppo integrati per gli sfollati interni, i rifugiati e i rimpatriati. Per far sì che la gente ritorni, è necessario sviluppare le regioni rurali».
Per Jenia Gubkina, un'architetta ucraina intervenuta a un dialogo correlato sulla perdita delle case, «La chiave è fermare la distruzione delle case prima che avvenga. Siamo di fronte a una crisi enorme, non solo di ricostruzioni e di costruzione di nuovi tipi di architettura, ma prima di tutto di distruzione. Se non viene chiarito che le case non devono essere distrutte, ricostruiremo, gli aggressori arriveranno e decostruiranno, rendendo questa una situazione difficile e frustrante per il mondo intero».
Nel mondo ci sono 117 milioni di sfollati e le città stanno diventando sempre più sia rifugi per le popolazioni sfollate sia degli hotspot di crisi globali. Quindi, la risposta alle crisi urbane deve essere ripensata immediatamente.
E’ partendo da questa consapevolezza che Sameh Wahba, direttore regionale sviluppo sostenibile della Banca Mondiale per l’Europa e l’Asia centrale, ha dichiarato a UN News che «Lo sfollamento è un fenomeno urbano, perché la maggior parte delle persone sfollate a causa di calamità naturali e conflitti cercano rifugio nelle città. La soluzione a questo problema è fornire soluzioni integrate per i rifugiati, gli sfollati interni, gli sfollati forzati e le comunità che li ospitano. La seconda cosa è considerare soluzioni basate sulle persone... e sul luogo. Quando pensi a soluzioni basate sulle persone, che si tratti di trasferimenti di denaro o buoni per la casa per consentire l'accesso all'alloggio, si tratta di aiutarli ad accedere al lavoro».