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L'aumento del contenuto di zolfo nelle fumarole dei Campi Flegrei e il futuro del vulcano

Un nuovo lavoro suggerisce che la componente proveniente dalla camera magmatica sia piuttosto importante e fornisce un nuovo parametro fra quelli che possono evidenziare l’arrivo di una nuova eruzione
 |  Scienza e tecnologie

Le eruzioni vulcaniche sono in un qualche modo prevedibili. Il problema è capire quanto un vulcano che sta attraversando una fase di "unrest" (letteralmente: disordine, ma il termine descrive un vulcano che mostra segni di attività ma non eruzioni) passi all’eruzione, ed è per questo che nei vulcani vengono monitorati vari parametri: ad esempio le deformazioni della superficie terrestre (oggi semplici da ottenere grazie ai sistemi radar satellitari InSAR) e i dati geofisici (principalmente sismicità e gravimetria). Inoltre un ruolo fondamentale è svolto dal monitoraggio dei gas delle fumarole: si tratta di un settore complesso che deve tenere conto non solo della temperatura e della quantità delle emissioni, ma anche del rapporto fra le quantità dei gas emessi e dei rapporti isotopici dei singoli elementi che li compongono.

Ovviamente la caldera dei Campi Flegrei, essendo uno dei sistemi vulcanici con il migliore sistema di monitoraggio al mondo, è ben studiata dal punto di vista delle emissioni fumaroliche. In particolare la comunità scientifica si pone il problema della provenienza di queste emissioni: vengono da sotto la camera magmatica, dalla camera magmatica stessa o da sopra di essa? Un nuovo lavoro suggerisce che la componente proveniente dalla camera magmatica sia piuttosto importante e fornisce un nuovo parametro fra quelli che possono evidenziare l’arrivo di una nuova eruzione. Il lavoro comunque evidenzia che anche se la direzione attuale è quella di una eruzione, questa eventualità non è prossima. Non si può attualmente smentire questa possibilità per un futuro anche non troppo lontano, però è anche possibile che i fenomeni si esauriscano prima di arrivare a quel punto.

I COMPOSTI DI ZOLFO NEL SOTTOSUOLO DEI VULCANI. I composti dello zolfo vengono emessi in buona quantità dai magmi presenti nelle camere magmatiche poste nella crosta continentale superiore e rappresentano un indicatore potenzialmente molto utile di cosa stia succedendo sotto la superficie terrestre. Però se si studia lo zolfo dei vulcani, bisogna considerare il fatto che può provenire sia direttamente dalle camere magmatiche che da minerali che lo contengono depositati tra il magma e la superficie dalla attività vulcanica precedente. Questo succede ancora di più quando l’attività vulcanica aumenta, perché l’aumenta della temperatura delle aree dove questi composti si erano deposti favorisce la sua rimobilizzazione, aggiungendo questa componente allo zolfo emesso direttamente in quel momento dal corpo magmatico.

Lo Zolfo ha 4 isotopi stabili, di cui quasi il 95% è lo Zolfo-32, mentre per il 4,30% è Zolfo-34. Gli altri isotopi, il 33 e il 36 rappresentano meno dell’1% del totale. Il δ34S è quindi il rapporto fra gli isotopi 34 e 32. Più alto è il rapporto, maggiore è il contenuto dell’isotopo 34 e quindi lo zolfo è più “pesante”. Il δ34S è conseguenza della storia di quello zolfo.

LO ZOLFO DEI CAMPI FLEGREI. Dal 2018 nelle fumarole dei Campi Flegrei oltre ad aumentare in maniera decisa il quantitativo di zolfo, c’è stata anche una diminuzione del δ34S, cioè le emissioni contengono più Zolfo-32 e meno Zolfo-34 rispetto a quelle pre-2018. Più o meno in corrispondenza, c’è stato anche un forte aumento della sismicità. Ora, nella Scienza una contemporaneità fra due fenomeni non implica automaticamente una connessione fra essi, ma qui sicuramente la cosa diventa sospetta. Caliro et al (2025), studiando gli isotopi dello zolfo contenuti nell’H2S flegreo, individuano due sorgenti possibili per la sua origine:

  1. SCENARIO IDROTERMALE: zolfo esistente nel sottosuolo della caldera, rimobilizzato dall’aumento recente dell’attività e quindi della temperatura nella crosta sotto la superfice
  2. SCENARIO MAGMATICO: quando un magma risale (nel caso dei Campi Flegrei un trachibasalto, cioè un basalto ricco in metalli alcalini come NA e K) diminuisce la sua pressione e quindi dalla camera magmatica vengono liberati fluidi contenenti zolfo

Ai Campi Flegrei il minerale di zolfo più abbondante è la pirite. Dal punto di vista isotopico è zolfo pesante (δ34S da 3,3 a 7,4‰) e quindi se quello fumarolico provenisse dalla pirite aumenterebbe la percentuale di zolfo pesante e quindi aumenterebbe anche il δ34S. Invece, essendo successo il contrario, i ricercatori propongono che il cambiamento nel rapporto isotopico delle emissioni di zolfo dal 2018 in poi derivi soprattutto da un aumento dello zolfo proveniente dal magma sottostante, con una componente minore derivante da una sua maggiore rimobilizzazione dai minerali idrotermali depositati in precedenza.

La ovvia deduzione, allora, è che questi cambiamenti del rapporto isotopico dello zolfo possano essere spiegati soprattutto dall’entrata in gioco dal 2018 di una fonte di zolfo aggiuntiva, isotopicamente distinta da quella della pirite idrotermale. La tomografia sismica di Giacomuzzi et al (2024) è in accordo con questa considerazione, dato che ha individuato una nuova iniezione di magma nel serbatoio profondo, a partire dal 2019 (ne ho parlato qui).

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Quantità di zolfo, rapporto isotopico dello zolfo ( il δ34S ) e i terremoti della caldera flegrea. Nella crisi degli anni '80 non si è verificato il violento aumento dello zolfo come egli ultimi anni

L'aumento dello zolfo post-2018 e la contemporanea diminuzione del δ34S sono senza precedenti per velocità e ampiezza, e quindi segnano un cambiamento radicale nel comportamento della caldera (come per altro i terremoti). Addirittura il cambiamento del δ34S è superiore a quello che fu osservato durante il periodo di attività del 1982-1984, in cui la velocità di sollevamento è stata molto maggiore rispetto a quella attuale.

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Il confronto delle composizioni delle fumarole in vari vulcani dimostra che per adesso non siamo a livello di eruzione nell'immediato

LE POSSIBILITÀ ATTUALI DI ERUZIONE. Il comportamento dello zolfo ai Campi Flegrei è stato confrontato con quanto visto in altri otto apparati vulcanici. La discriminante fondamentale che ha portato a scegliere questi vulcani, così diversi fra loro per chimismo dei magmi (e quindi per tipo di attività), dimensioni e storia eruttiva come si vede dalla tabella qui a lato, è stata la disponibilità di osservazioni a lungo termine delle emissioni di gas fumarolici.

Generalizzazione il comportamento di vulcani così diversi è rischioso e quindi occorre una certa cautela, tuttavia l’analisi dei dati si è prestata a considerazioni interessanti. In particolare ha evidenziato nelle caldere dove la fase di unrest non è (ancora?) culminata in un'eruzione, una persistenza di composizioni idrate povere di zolfo (ad esempio, Yellowstone, Long Valley). Al contrario, è stata osservata una progressione verso composizioni sempre più ricche di zolfo nelle fumarole dei sistemi vulcanici in cui l'attività è aumentata fino all'eruzione (ad esempio, Sierra Negra, Planchón–Peteroa e Kuchinoerabujima). Questo comportamento generale suggerisce che l'evoluzione del contenuto di zolfo possa essere un indicatore utile per capire le possibilità di una eruzione in diversi tipi di apparati vulcanici che attraversano una fase di unrest.

Un crescente rilascio di zolfo dalle fumarole quindi è una caratteristica tipica di un vulcano quiescente che attraversa una fase di possibile graduale riattivazione.

Sottolineo il termine possibile. Quindi anche in un vulcano in fase di unrest l’aumento dello zolfo non implica automaticamente l’imminenza di un’eruzione, anche se ne aumenta la probabilitàperché il processo che porterebbe ad una eruzione potrebbe essere abortito in qualsiasi momento. Chiaramente nel grafico qui sopra di Caliri et al (2024) i pallini rossi dimostrano che la curva sta andando verso l'aumento delle probabilità di eruzione ma, appunto, il processo potrebbe interrompersi prima che l'eruzione avvenga.

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SITUAZIONE AI CAMPI FLEGREI. Pertanto qui, alla faccia dei soliti siti catastrofisti, non ci sono ancora evidenze di una prossima eruzione, anche se la direzione pare quella. Però, appunto, il processo potrebbe stopparsi. Cioè il lavoro che citano questi siti, e cioè quello appena uscito dice che ancora non ci siamo. Vediamo perché.

L’eruzione del Monte Nuovo del 1538 è stata anticipata dall'immissione di magma nella crosta superiore a partire da almeno circa 100 anni prima (potrebbero essere stati di più, ma ovviamente non c’erano sismografi, tomografie sismiche e strumenti per la misurazione dei gas. Quindi per ricostruire in dettaglio la storia della deformazione del suolo e la sismicità sono state utilizzate le fonti storiche (Guidoboni & Ciucciarelli, 2011). Queste fonti, oltre ai terremoti, hanno registrato anche delle deformazioni del terreno, ben evidenziate in quanto, essendo lungo la costa, c’è un importante parametro come il livello del mare.

Oggi non ci sono prove geodetiche o sismologiche nelle quali si nota una deformazione come quella che ha preceduto l’eruzione (deformazione del suolo asimmetrica e una sismicità immediatamente al di sopra della camera magmatica, ma solo in superficie sopra al sistema idrotermale bloccato (ne ho parlato qui). La situazione in Islanda in questi giorni è piuttosto esemplificativa e ne ho parlato in due post: a NW nella penisola di Snæfellsnes, intorno al lago di Grjótárvatn c’è una intrusione, che però è ancora a 15 km dalla superficie e fino a quando la sismicità non risalirà non ci sarà una messa in posto di magma in superficie. Invece al Bardarbunga una sismicità distribuita a varie profondità ha evidenziato la messa in posto di materiale magmatico in superficie o quasi (il dubbio è perché il vulcano è coperto da un ghiacciaio e quindi non si può vedere cosa succede)

Inoltre le fumarole flegree, come è evidenziato dal grafico presentato prima, non presentano ancora un tenore di gas di zolfo così importante quanto quello tipico della fase pre-eruttiva nei vulcani considerati.

CAMPI FLEGREI E PREVENZIONEIl problema non sarebbe nei terremoti che stanno sfiancando la popolazione, perché a parte lo stress le costruzioni dovrebbero essere in grado di sopportare lo scenario attuale di accelerazioni cosismiche modeste ed eventi di brevissima durata. Resta la pressione psicologica, e vi assicuro che avendola provata anche io, è enorme: per diversi giorni quando sono tornato a casa la minima vibrazione del traffico mi metteva in pensiero. 

Tutto questo però non cambia la questione della alta densità abitativa dell’area della caldera flegrea in funzione di una pericolosità da eruzione. Ora, il detto napoletano “Ogni scarrafone è bello ‘a mamma soja” si applica anche al luogo natìo, e ho visto gente vantarsi di essere nata in posti che a me non paiono esattamente da incorniciare. Io però capisco gli abitanti della zona flegrea se dicono di essere nati e di vivere in un posto fantastico, perché l’area flegrea lo è, senza se e senza ma. E quindi capisco benissimo il trauma che potrebbero provare andando via da lì.

Ora, è vero, come detto, che la fase di unrest attuale potrebbe anche concludersi con l’aborto del processo eruttivo (scenario che ci auguriamo tutti, a parte qualche imbecille da curva di stadio), ma è possibile che prima o poi la composizione delle fumarole vada verso valori tipici di una eruzione

In una visione ottimistica i dati dello zolfo potrebbero anticipare (e non di poco) gli altri segnali tipici dell’approssimarsi di una eruzione (mi piace pensare che l’aumento dello zolfo dal 2018 possa aver anticipato l’iniezione di magma del 2019), ma non mi pare il caso di fare finta di niente e sperare nella buona sorte. Quindi troverei necessario iniziare da subito a prendere dei provvedimenti, come il divieto di nuove costruzioni e dell’arrivo di nuovi residenti nei comuni dell’area (inclusa la parte della caldera compresa nel territorio del comune di Napoli), e iniziare anche una – peraltro dolorosa – operazione di delocalizzazione. Perché prevenire è meglio che curare.

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La tomografia sismica di Giacomuzzi et al (2024) evidenzia l'intrusione messa in posto a bassa profondità nel 2019

BIBLIOGRAFIA

Caliro et al (2025). Escalation of caldera unrest indicated by increasing emission of isotopically light sulfur. Nat. Geosci. (2025)

Giacomuzzi et al (2024). Tracking transient changes in the plumbing system at Campi Flegrei Caldera Earth Planet. Sci. Lett. 637, 118744

Guidoboni & Ciuccarelli (2011). C. The Campi Flegrei caldera: historical revision and new data on seismic crises, bradyseisms, the Monte Nuovo eruption and ensuing earthquakes (twelfth century 1582 AD). Bull. Volcanol. 73, 655–677

Aldo Piombino

Laureato in Scienze Geologiche, si interessa di vari ambiti delle Scienze della Terra. Collabora con il gruppo di Geologia applicata dell’Università di Firenze diretto dal prof. Nicola Casagli e con la Scuola di Scienze dell’università di Camerino occupandosi di monitoraggi satellitari e di divulgazione sulle problematiche dell’assetto del territorio. Ha collaborato con l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale e con l’International Institute of Humankind Studies diretto dal prof. Chiarelli. Studia anche i rapporti fra fenomeni geologici, cambiamenti climatici ed evoluzione della vita lungo la storia della Terra. Ha scritto alcuni articoli scientifici su questi argomenti e “Il meteorite e il vulcano – come si estinsero i dinosauri”, un saggio scientifico nel quale indicale cause geologiche delle numerose estinzioni di massa che hanno punteggiato la storia della vita sulla Terra. Nel 2007 crea il blog “Scienzeedintorni” È nel consiglio della associazione “Caffèscienza Firenze – Prato APS”