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Dal Cane a sei zampe arrivano più emissioni che dall’Italia intera

Eni fuori strada per la decarbonizzazione, ReCommon: «Fino a +17% di petrolio e gas al 2030»

Nessuna delle 8 grandi compagnie petrolifere analizzate è in linea con gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi
 |  Nuove energie

Il nuovo rapporto “Big oil reality check” è stato pubblicato oggi dall’organizzazione Oil change international, che ha preso le misure sui piani per il clima di Chevron, ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, BP, Eni, Equinor e ConocoPhillips, in base a 10 criteri che rappresentano il minimo indispensabile per allinearsi all'Accordo di Parigi sul clima contenendo il riscaldamento globale entro i +1,5°C rispetto all'era preindustriale.

Secondo l’analisi nessuna di queste compagnie è allineata. In più, sei delle delle otto società analizzate – tra cui l’italiana Eni – hanno l'obiettivo esplicito di aumentare la produzione di petrolio e gas.

«Un piano di transizione dai combustibili fossili che limiti l'aumento della temperatura globale a 1,5ºC richiede la fine dell'espansione di petrolio e gas e l'inizio di una riduzione della produzione fossile ora, non domani. L'Eni è chiaramente fuori strada, con un piano di aumento della produzione di petrolio e gas fino al 17% entro il 2030», commenta Antonio Tricarico, Campaigner finanza pubblica e multinazionali di ReCommon.

Basti osservare che secondo l’ultimo bilancio di sostenibilità pubblicato da Eni (dati 2022), considerato l’intero ciclo di vita, le emissioni nette fino allo Scope 3 del Cane a sei zampe ammontano a 419 mln di ton di CO2eq l’anno, più di tutte le emissioni imputabili all’Italia, che ammontano (dati Ispra 2022) 413 mln di CO2 (che calano a 392 considerando anche l’apporto Lulucf, ovvero uso del suolo, cambiamenti di uso del suolo e silvicoltura).

Anche quelle aziende (BP e Shell) che non hanno piani espliciti per aumentare la produzione totale stanno presentando nuovi progetti di combustibili fossili per l'approvazione, mentre adottano una strategia diversa: vendono asset inquinanti ad altre aziende che quasi certamente continueranno a bruciare fossili.

La vendita di asset inquinanti può far sembrare che BP e Shell stiano andando in una direzione migliore, ma a meno che i giacimenti di petrolio e gas non vengano ritirati, la realtà è che questa strategia protegge i loro profitti mentre l'inquinamento climatico continua.

«Nessuna delle aziende analizzate è in linea con l'Accordo di Parigi. Questa è già una notizia che dovrebbe preoccupare azionisti, management e governi, ma invece non sta ricevendo la giusta attenzione. Eni nei prossimi anni ha in programma addirittura di aumentare la propria produzione di idrocarburi, rimandando il taglio delle emissioni al futuro e sfruttando tecnologie estremamente costose e incerte, come la CCS, e sistemi di compensazione. Queste scelte dell’azienda non mettono solo a rischio gli obiettivi climatici, ma la tenuta del business nel medio periodo, gettando le basi per una potenziale crisi che toccherà i lavoratori e gli azionisti e, in primis, lo stato italiano. Per evitare questo scenario occorre gestire la transizione da subito, spostando in maniera decisa gli investimenti verso le rinnovabili, decarbonizzando il proprio portafoglio di attività, cosa che però al momento non si vede nei piani di investimento dell’azienda», conclude Luca Iacoboni, Responsabile relazioni esterne e strategie per la decarbonizzazione di ECCO, il think tank italiano per il clima.

Redazione Greenreport

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