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Iea, la geotermia può soddisfare 140 volte tanto il nostro fabbisogno di elettricità

Birol: «La crescita della geotermia potrebbe generare investimenti per un valore di 1 trilione di dollari entro il 2035»
 |  Nuove energie

Nell’Era dell’elettricità che si sta aprendo non c’è spazio per i combustibili fossili ma, come mostra il nuovo rapporto pubblicato oggi dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), c’è una fonte rinnovabile che ha tutte le carte in regola per risorgere dalle ceneri di gas e petrolio: la geotermia.

«Le nuove tecnologie stanno aprendo nuovi orizzonti per l'energia geotermica in tutto il mondo, offrendo la possibilità di soddisfare una parte significativa della domanda mondiale di elettricità in rapida crescita, in modo sicuro e pulito», spiega il direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol.

Si tratta di una storia che inizia nel 1904 in Italia come ricorda la stessa Iea, quando nel 1904 a Larderello in Toscana vennero accese le prime 5 lampadine grazie al calore rinnovabile custodito nel sottosuolo. Oggi quella tradizione è portata avanti dall’attuale gestore delle centrali geotermoelettriche toscane, Enel green power, e potrebbe presto trovare nuovo slancio con l’atteso rinnovo delle concessioni minerarie che sta trattando la Regione Toscana. Ma dal 1904 a oggi la geotermia ne ha già fatta di strada.

Attualmente è coltivata in circa 30 Paesi, e anziché alimentare 5 lampadine ha generato nel 2023 poco meno di 100 TWh di elettricità; grazie alle tecnologie nate in Italia sono Usa, Indonesia, Turchia, Filippine e Nuova Zelanda a produrre oggi i due terzi dell’elettricità geotermica, seguiti a distanza da Islanda, Italia, Kenya, Messico e Giappone (che insieme cubano un altro 25%). In totale, il cuore caldo della Terra dà lavoro a 140mila persone. E molte altre potrebbero aggiungersi in futuro, fino a 1 mln di posti di lavoro al 2030.

Oggi, la geotermia soddisfa circa l'1% della domanda globale di elettricità, ma per la Iea il dato potrebbe salire al 15% entro il 2050 – con 800 GW installati a livello globale – se i costi dei progetti geotermici continueranno a scendere: il primo passo per farlo è mettere in campo normative chiare e di lungo termine. In tal caso sarebbe realistico tagliare i costi dell’80% al 2035, arrivando a circa 50 dollari per MWh: significherebbe rendere la geotermia la fonte più economica di elettricità dispacciabile e a basse emissioni, in diretta concorrenza con idroelettrico e nucleare, rendendola «altamente competitiva» rispetto all’accoppiata di batterie con fotovoltaico ed eolico. Ma al contrario di vento e sole, il cuore della Terra non smette mai di cedere calore; non a caso già tre anni fa Legambiente sottolineava l’insensatezza per un Paese come il nostro, che ha dato i natali alle tecnologie geotermiche, di pensare a un ritorno del costoso e rischioso nucleare.

Cos’è dunque che frena la crescita di questa fonte rinnovabile? «Le autorizzazioni e la burocrazia amministrativa si stanno rivelando un ostacolo importante per i progetti geotermici, che possono richiedere fino a un decennio per essere pienamente operativi», spiega la Iea. Il rapporto suggerisce dunque ai governi di semplificare e accelerare i processi amministrativi, mettendo anche in campo regimi autorizzativi dedicati alla geotermia. La Iea sottolinea inoltre che l’80% degli investimenti richiesti è legato a competenze trasferibili dal mondo del gas e del petrolio – si pensi alle trivellazioni per pozzi geotermici –, offrendo all’industria di settore una chance di convertirsi all’energia pulita e abbassare il rischio minerario.

«La geotermia – sottolinea nel merito Birol – è un'importante opportunità per attingere alla tecnologia e alle competenze dell'industria petrolifera e del gas. La nostra analisi mostra che la crescita della geotermia potrebbe generare investimenti per un valore di 1 trilione di dollari entro il 2035», arrivando a 2,5 trilioni al 2050.

Per arrivare a simili scenari la risorsa non manca, ma serve ancora dare gambe alle tecnologie necessarie, un fronte su cui anche l’Italia è già attiva, partecipando a progetti di ricerca come Compass o DeepU. Secondo la Iea, il potenziale tecnico per i sistemi geotermici di prossima generazione potrebbe soddisfare 140 volte tanto la domanda globale di elettricità, anche grazie alla possibilità di accedere a profondità sempre maggiori: oltre i 3 km sottosuolo, quasi tutti i Paesi del mondo potrebbero installare centrali geotermoelettriche. Sotto 8 km, si parla di una capacità potenziale da 600 TW. Ma oltre all’elettricità, la geotermia può fornire – in modo più facile e accessibile – anche calore: andando a caccia di temperature superiori a 90°C entro i 3 km il potenziale è di 320 TW, che decuplica in caso di temperature più basse.

Per l’Italia scenari simili non sono una novità: ipotizzando che l’Italia riesca a valorizzare anche solo il 2% del potenziale presente in tutto il territorio italiano nei primi 5 km di profondità (pari a 2.900 TWh, ovvero il quintuplo dell’intero fabbisogno energetico nazionale), la geotermia potrebbe contribuire al 10% della produzione elettrica prevista al 2050. Quel che manca è la politica industriale. La geotermia può contribuire in modo determinante all’indipendenza energetica del Paese, ma sta alle istituzioni nazionali incoraggiare (o meno) questo sviluppo.

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Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.