Dal governo 30 milioni l’anno fino al 2043 per nuovi rigassificatori. Per Ue, sigle green e comparto energia non è la scelta giusta
Il governo vuole aumentare la capacità di rigassificazione nazionale e ha deciso di stanziare 30 milioni di euro l’anno fino al 2043 per la creazione di nuovi impianti di lavorazione del gas naturale liquefatto (Gnl). E questo nonostante sia il monitoraggio sul presente che le analisi dei trend futuri indichino che a livello europeo la domanda di gas già sta diminuendo e continuerà a calare nei prossimi decenni, nonostante nell’ultimo anno soltanto l’Italia ha incrementato l’import di Gnl e nonostante da più parti si sottolinei che per un paese come il nostro la sicurezza energetica non può che passare attraverso misure per l’efficienza energetica e un’accelerazione sulle rinnovabili. Ma tant’è: ad agosto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e quello dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin hanno firmato un decreto che dà via libera alla realizzazione di nuove unità di rigassificazione «in considerazione - come si legge nel testo di un precedente decreto a cui si fa riferimento in questo nuovo provvedimento - della necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento di gas ai fini della sicurezza energetica nazionale, fermi restando i programmi di decarbonizzazione del sistema energetico nazionale».
Sui programmi di decarbonizzazione del governo non sono mancate in queste mesi critiche provenienti tanto dalle sigle ambientaliste quanto dagli operatori del settore energetico, che si trattasse del Piano nazionale integrato energia clima (Pniec), del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) o del Testo unico sulle rinnovabili. Ma anche questo ultimo decreto concordato da Mef e Mase presta il fianco alle critiche.
Il decreto stabilisce che possano presentare istanza di accesso alle risorse del fondo creato ad hoc le imprese «che svolgano il servizio di rigassificazione del Gnl mediante l’utilizzo di terminali off shore, consistenti in unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione da allacciare alla rete di trasporto esistente alla data di emanazione del decreto-legge». Un’impostazione derivante appunto da un precedente decreto, risalente al 2022, in cui si sottolineava la necessità di incrementare la capacità di rigassificazione «mediante unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione da allacciare alla rete di trasporto esistente alla data di emanazione del decreto, incluse le connesse infrastrutture» perché tali opere costituiscono «interventi strategici di pubblica utilità, indifferibili e urgenti». Da qui la creazione del fondo «pari a 30 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2043, al fine di rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nazionale e contribuire al perseguimento degli obiettivi strategici di riduzione della dipendenza dai combustibili fossili provenienti dal territorio della Federazione russa».
Peccato che già a giugno, cioè appena due mesi prima che Mef e Mase firmassero questo decreto contenente le «disposizioni attuative» del provvedimento varato dal governo Meloni all’indomani dell’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina, dalla Corte dei conti europea fosse arrivato un chiaro monito: proprio prendendo le mosse dagli effetti sul mercato dell’energia prodotto dall’offensiva russa, l’organismo comunitario aveva diffuso una serie di dati che indicavano tutti i rischi che l’Ue corre dal punto di vista di una maggiore dipendenza del gas naturale liquefatto. Il governo però non sembra voler recepire le raccomandazioni fornite dalla Corte dei conti Ue, né sul Gnl né sulle misure da adottare per ottenere una reale sicurezza energetica e il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. E ha varato questo decreto congiunto che stabilisce che «fatte salve le competenze» del Mase, il Mef «entro il 30 giugno di ciascuno degli anni dal 2025 al 2043, dispone con proprio titolo di spesa l’assegnazione delle risorse del Fondo alla Cassa», mentre per l’anno 2024 «l’assegnazione delle risorse ha luogo entro 90 giorni dalla ricezione della comunicazione della positiva decisione sulla compatibilità con il mercato interno».