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Il Wwf Italia: «Al di sotto di quanto necessario»

Emissioni delle navi, l’Organizzazione marittima internazionale sigla un accordo che delude gli ambientalisti

Si tratta del primo significativo schema globale di tariffazione della CO2: a partire dal 2028, tutte le navi del mondo dovranno iniziare a utilizzare un mix di combustibili a minore intensità di carbonio, oppure pagare per l'eccesso. Preoccupate le isole del Pacifico e critico il giudizio della Clean shipping coalition: «Non basta. Mancati gli obiettivi e traditi i vulnerabili»
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

L’Organizzazione marittima internazionale (International maritime organization, Imo) delle Nazioni Unite ha concordato una politica climatica chiave per il trasporto marittimo globale, che comprende la determinazione del prezzo delle emissioni, finalizzata al raggiungimento degli obiettivi della Strategia riveduta del 2023 (riduzione delle emissioni di almeno il 20%, con l'obiettivo di raggiungere il 30% entro il 2030, e una transizione equa verso lo zero netto entro/intorno al 2050).

L'accordo è stato approvato con voto nella plenaria odierna del Mepc (Marine Environment Protection Committee), ma alcuni dettagli devono ancora essere finalizzati. L’adozione formale è prevista per ottobre di quest’anno. Si tratta del primo significativo schema globale di tariffazione del carbonio per qualsiasi settore industriale.

I punti chiave dell’accordo siglato e anche le criticità insite in quanto deciso sono, in sintesi, i seguenti:

  • A partire dal 2028, tutte le navi del mondo dovranno iniziare a utilizzare un mix di combustibili a minore intensità di carbonio, oppure pagare per l'eccesso. Una nave che continua a utilizzare combustibili bunker convenzionali (fossili) dovrà pagare una tassa di 380 dollari per tonnellata sulle emissioni più intense e 100 dollari per tonnellata sulle emissioni rimanenti al di sopra di una soglia inferiore.
  • Secondo l'UMAS, l'accordo raggiungerà solo l'8% di riduzione assoluta delle emissioni entro il 2030, non raggiungendo gli obiettivi fissati dall'IMO nella Strategia riveduta: 20% di riduzione delle emissioni entro il 2030, con l'obiettivo del 30%.
  • Il regolamento basato sull'intensità di carbonio consentirà inizialmente il gas naturale liquido (Gnal), ma questo combustibile fossile sarà sempre più penalizzato nel corso degli anni 2030, minando l'interesse commerciale per le navi a Gnl.
  • Il compromesso dovrebbe raccogliere 30-40 miliardi di dollari entro il 2030 (10 miliardi di dollari all'anno), probabilmente da utilizzare per finanziare l'uso di energia pulita sulle navi. 
  • I Paesi hanno votato il compromesso della presidenza, dopo le obiezioni di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri Stati petroliferi sulla procedura e il disaccordo sul livello “elevato” di ambizione nelle discussioni, che hanno richiesto una votazione:
    • 63 Paesi a favore: Brasile, Cina, UE, India, Giappone, Corea, Sudafrica, Singapore, Norvegia e altri.
    • 16 Paesi contrari: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Venezuela, Russia e altri Stati petroliferi.
    • 25 Paesi si sono astenuti: Stati insulari del Pacifico (Kiribati, Figi, Repubblica delle Isole Marshall, Isole Salomone, Tonga, Tuvalu, Nauru, Palau e Vanuatu), Seychelles, Argentina e altri.
  • Tuvalu ha espresso in plenaria, a nome delle isole del Pacifico, le proprie preoccupazioni in merito ai risultati: la necessità di incentivi energetici più forti; l'esclusione delle voci del Pacifico dal processo negoziale; la promozione di una transizione giusta ed equa.

Ralph Regenvanu, Ministro dell’Adattamento al cambiamento climatico di Vanuatu, ha detto: «Facciamo chiarezza su chi ha abbandonato l'obiettivo 1,5°C. L' Arabia Saudita, gli Stati Uniti e gli alleati dei combustibili fossili hanno spinto in basso i numeri a un livello insostenibile e hanno bloccato i progressi a ogni passo. Questi Paesi - e altri - non hanno sostenuto una serie di misure che avrebbero portato l'industria del trasporto marittimo su un percorso di 1,5°C. E hanno respinto la proposta di una fonte affidabile di entrate per chi, come noi, ha un estremo bisogno di finanziamenti per far fronte agli impatti climatici».

Giudizio critico arriva dall’organizzazione Clean shipping, che parla di un accordo che «manca gli obiettivi e tradisce i vulnerabili». «Questa settimana, gli Stati membri dell'IMO hanno sprecato un'opportunità d'oro per il settore marittimo globale di mostrare al mondo come può cambiare le torde sul catastrofico riscaldamento climatico, mettendo i propri obiettivi - eliminare le emissioni di gas serra del settore senza lasciare indietro alcun paese - fuori portata», ha detto Delaine McCullough, presidente della Clean Shipping Coalition.

Anche per il Wwf Italia, l'accordo sull'efficienza delle navi è al di sotto di quanto necessario per affrontare la doppia crisi del clima e della biodiversità. «È un duro colpo per le comunità e le specie vulnerabili al clima, anche nell'Artico, che non possono sopportare ulteriori ritardi. Navi più efficienti bruciano meno carburante, producono meno rumore sottomarino e possono ridurre il rischio di attacchi alle balene. Sebbene gli obiettivi concordati questa settimana avranno un impatto positivo sulla protezione dell'ambiente marino, la realtà è che rimangono troppo modesti e il tempo sta per scadere. Il debole risultato sull'efficienza energetica mette ancora più sotto pressione le misure a medio termine dell'IMO per ottenere le riduzioni delle emissioni necessarie a raggiungere lo zero netto entro il 2050». 

Per Transport & Environment (T&E) siamo di fronte a «una vittoria per il multilateralismo ma un fallimento per il clima». Spiega l'organizzazione: «Le criticità del sistema - Il sistema di pricing - così come disegnato attualmente - presenta una grave criticità: esenterà dal pagare le penalità sul carbonio (tramite le RUs) per circa il 90% delle emissioni in eccesso del settore. Secondo l’analisi di T&E, questo sistema genererà circa 10 miliardi di dollari l’anno fino al 2035, ma la modalità e i tempi di distribuzione di tali fondi dipenderanno fortemente dalla creazione di un Net-Zero Fund a livello IMO, che probabilmente richiederà tempo prima di diventare operativo.In assenza di regole più stringenti sulla sostenibilità, biocarburanti dannosi come l’olio di palma e di soia, che causano deforestazione, rischiano di diventare l’opzione di conformità più appetibile, poiché saranno i carburanti più economici sul mercato in grado di rispettare le regole IMO. L’aumento di questi biocarburanti potrebbe, paradossalmente, causare un aumento disastroso delle emissioni se non verranno presi immediatamente provvedimenti per limitarne l’uso».

La questione è discussa da tempo. Già nel 2023 l'Imo aveva concordato la necessità di misure sia economiche (ad esempio, la fissazione del prezzo del carbonio) che tecniche (ad esempio, il Global Fuels Standard - Gfs) per rispettare l'impegno sul clima: riduzione delle emissioni del 20% entro il 2030, riduzione delle emissioni dell'80% entro il 2040 e raggiungimento dello zero entro/intorno al 2050 in modo equo.

Durante i negoziati tecnici del 31 marzo - 4 aprile, i Paesi hanno presentato un'unica politica che comprende entrambi gli elementi. Questo meccanismo è stato finalizzato al vertice Mepc 83 del 7-11 aprile e sarà adottato in ottobre. Alcuni elementi (in particolare la distribuzione delle entrate) devono ancora essere risolti.

Nello specifico, il meccanismo concordato prevede che le navi paghino delle tasse in caso di mancato rispetto di due serie di obiettivi di intensità di carbonio (un “obiettivo di base” facile da raggiungere e un “obiettivo di conformità diretta” più rigoroso) e scambino crediti per conformarsi (una tabella è disponibile su richiesta).

Ad esempio, una nave che continuasse ad utilizzare combustibili bunker convenzionali nel 2028 dovrebbe pagare 380 dollari per tonnellata per il 4% di emissioni in più rispetto all'obiettivo di base, e 100 dollari per il restante 13% (17% - 4%) di emissioni in più rispetto all'obiettivo di conformità diretta.

Una coalizione di Paesi del Pacifico, dei Caraibi, dell'America Centrale e dell'Africa sta spingendo per una copertura totale delle emissioni all'interno del quadro ora concordato, ad esempio un prelievo universale sul carbonio, con una distribuzione delle entrate all'interno e all'esterno del settore, anche per l'adattamento e la mitigazione.

A questi si sono opposti Cina, Brasile, Arabia Saudita e altri Stati petroliferi che non sono d'accordo con un prelievo forfettario. Questo gruppo di minoranza, aiutato dall'Imo e dai Paesi dell'Ue che hanno fatto marcia indietro sulla loro proposta di prelievo forfettario, ha indebolito il sostegno della maggioranza di più di 60 Paesi per un prelievo universale sulle emissioni di carbonio, che si è formato prima dei colloqui.

Redazione Greenreport

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