
10 organizzazioni bacchettano il governo: «Impensabile usare i fondi per il clima per far fronte ai dazi»

Le continue giravolte di Donald Trump sui dazi, ora congelati per 90 giorni, rendono impossibile qualunque previsione, ma una cosa è certa: utilizzare fondi del Pnrr per aiutare le imprese a resistere all’impatto di quanto deciso Oltreoceano continuando però ad acquistare combustibili fossili dagli Usa, dirottare fondi del Fondo sociale per il clima su altre voci e rivedere le somme da destinare alla transizione verde, ecco, tutta questa impostazione sarebbe sbagliata. E considerando che è proprio in questa direzione che sono andate le prime dichiarazioni della premier Giorgia Meloni dopo l’annuncio delle nuove tariffe doganali da parte di Trump, la cosa ha suscitato una viva reazione da parte di diverse organizzazioni impegnate nella lotta alla crisi climatica e nella lotta alle disuguaglianze sociali.
Se il Governo ha annunciato lo stanziamento di fondi per attenuare l’impatto dei dazi americani sulle imprese italiane, secondo WWF, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club, Transport&Environment, Mira Network, Clean Cities, Cgil, Forum diseguaglianze e diversità è però assolutamente da escludere che parte dei soldi possano essere reperiti usando tutto il plafond a disposizione, peraltro nell’arco di sei anni, del Social Climate Fund, un fondo che ancora non è disponibile e che verrà finanziato per lo più dai proventi della vendita delle quote di emissioni derivanti dalla combustione di carburanti negli edifici, nel trasporto su strada e in altri settori, il cosiddetto ETS2, e che ha lo scopo di minimizzare l’impatto della transizione verde sulle fasce più povere e vulnerabili della popolazione.
Usare quei fondi per fini diversi non è possibile, fanno notare le associazioni che hanno sottoscritto una nota congiunta, tanto più che modalità e destinazioni devono essere preventivamente concordate con la Commissione europea attraverso un Piano da presentare entro giugno di quest’anno. Del tutto fuori luogo, scrivono poi, impiegarli per far fronte a un’emergenza, quindi per interventi immediati. «Insomma – si legge nella nota diffusa dalle associazioni – al ministero dell’Economia e delle finanzeforse non sanno cosa è il Social Climate Fund o fingono di non saperlo. Visto che avevano inserito il Fondo Sociale per il Clima anche nel Decreto Bollette, pur non potendolo usare nemmeno per quello scopo. Insomma, sempre gli stessi soldi (il totale è sempre 7 miliardi) che in realtà non possono usare. Pare quasi che al Mef siano più preoccupati di impedire le misure per garantire la transizione verde anche ai più vulnerabili che di reperire fondi effettivamente esistenti e disponibili».
Il Fondo Sociale per il Clima ha lo scopo di sostenere una transizione equa verso la neutralità climatica, contribuendo ad alleviare gli impatti sociali ed economici dell'ETS2 ed è destinato ai gruppi vulnerabili, come le famiglie in condizioni di povertà energetica o di trasporto, perché siano direttamente sostenuti e non lasciati indietro nella transizione verde.
Gli Stati della Ue possono utilizzare il Fondo per sostenere misure strutturali e investimenti nell'efficienza energetica e nella ristrutturazione di edifici, nel riscaldamento e raffreddamento puliti e nell'integrazione delle energie rinnovabili, nonché in soluzioni di mobilità a zero e basse emissioni. Tali scopi, a parere delle organizzazioni, devono essere tenuti in conto anche nelle misure di sostegno al reddito (sempre dei più poveri) che non possono superare comunque il 37,5% dell’ammontare disponibile.
WWF, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club, Transport&Environment, Mira Network, Forum Diseguaglianze e Diversità, Cgil, Clean Cities invitano il Governo a considerare che la transizione verde offre soluzioni strutturali per affrontare le crisi in atto, non solo quella climatica, ma per esempio anche quella energetica. Sarebbe dunque miope e ideologico (questo sì) continuare a cercare di minarla, facendo anche gli interessi di chi vuole che l’Italia continui a dipendere dai combustibili fossili. E comunque, è improponibile e poco dignitoso continuare a cercare di usare soldi che a quanto ci consta, e secondo le regole che hanno accettato, non si possono usare per far fronte ad altre emergenze. Forse si dovrebbe guardare ad altre spese da eliminare, per esempio quelle destinate a infrastrutture inutili.
Ci sono poi diverse altre questioni a cui fare attenzione. Matteo Leonardi, Cofondatore e Direttore Esecutivo di ECCO, il think tank italiano per il clima fa notare: «La prima risposta dell’Italia ai dazi imposti da Trump arriva da risorse europee: Pnrr e fondi di coesione. Tali fondi devono essere spesi in modo efficace per rendere il nostro sistema produttivo competitivo e sicuro. Questo, nel lungo periodo, è possibile solo nell’ottica di un progressivo abbandono delle dipendenze energetiche fossili dell’Europa e dell’Italia. L’utilizzo dei fondi europei del Pnrr e del Green deal per aiuti alle imprese non è però giustificato se l’Europa prometterà di importare più gas americano nella trattativa sui dazi. Questi fondi sono destinati proprio all’emancipazione dell’Europa dalle dipendenze energetiche e specificatamente dal gas, il cui costo ha trainato l’inflazione e il debito pubblico degli ultimi anni»
Secondo Meloni, la crisi innescata dai dazi può essere un'occasione per rendere il sistema economico nazionale più produttivo e competitivo. Il report Draghi, così come la grande parte dei documenti di indirizzo su industria e competitività dell’Unione, pubblicati all’avvio di quest’ultimo mandato, sottolineano come la competitività dell’industria sia a rischio. In questo senso, Bruxelles, attraverso l’Affordable Energy Action Plan sottolinea che «la dipendenza dell'Europa dalle importazioni di combustibili fossili provoca volatilità dei prezzi dell'energia e l'aumento dei costi di approvvigionamento, e allo stesso tempo rende l'Ue più vulnerabile alle pressioni esterne e all'incertezza del mercato globale».
Chiara Di Mambro, direttrice strategia Italia e Europa di ECCO, sottolinea: «Il Fondo sociale per il clima, uno degli elementi fondanti del Green deal che il Governo ha annunciato di voler rivedere in maniera sostanziale, ha una funzione precisa nella protezione e redistribuzione temporanea dei maggiori costi che derivano dall’affrancarsi dalle fonti fossili per le famiglie e le microimprese più vulnerabili. Una questione che necessariamente deve accompagnarsi a politiche decise verso l’autonomia completa dell’approvvigionamento energetico, che come anche sottolineato da Draghi nell’audizione in Senato del 18 marzo non potrà venire dal gas».
