
Sostenibilità e multinazionali: il caso Pirelli

Può un’azienda vecchia quasi un secolo e mezzo fa riuscire a rinnovarsi e crescere economicamente puntando sulla sostenibilità? La storia di Pirelli (fondata nel 1872) sembra fornire alcune indicazioni positive in tal senso. Pur appartenendo a un segmento di mercato che non è certo associato a quelli più comunemente riconosciuti come eco-friendly – il gruppo è tra i principali produttori mondiali di pneumatici, legati strettamente alla mobilità motorizzata su strada –, la multinazionale italiana ha approntato a partire dal 2009 una strategia di sostenibilità declinata attraverso le diverse dimensioni aziendali: economica, ambientale e sociale.
Dal 2009, anno base per gli obiettivi di sostenibilità di medio-lungo periodo che Pirelli si è posta, sono significativi i progressi compiuti, tanto che nel 2015 è raddoppiata la quota dei ricavi dei prodotti Green Performance per la produzione di pneumatici del gruppo.
Tra i risultati più significativi dell’impegno a salvaguardia e a tutela dell’ambiente vi è la riduzione dei prelievi di acqua; nell’ultimo anno l’ammontare dei prelievi è stato di poco superiore agli 11 milioni di metri cubi, con una riduzione del 42% di risorsa idrica prelevata rispetto al 2009. È incremento al contempo il tasso di recupero dei rifiuti, in una direzione che appare consolidata. Il Piano di sostenibilità di Pirelli integra infatti il piano industriale di gruppo 2013-2017 e ha una visione al 2020: per allora a livello ambientale sono attesi (sempre rispetto ai valori del 2009) una riduzione del 15% delle emissioni di CO2, un calo del consumo specifico di energia del 18%, una flessione del 58% del prelievo specifico d’acqua e un tasso di recupero dei rifiuti superiore al 95%. Una testimonianza concreta di come porsi target ambientali ambiziosi, anche (soprattutto?) per un’azienda globale non sia un freno alla crescita economica, ma un volano per uno sviluppo possibile a tutto tondo.
