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Il dato calcolato da Fondazione Cima

Poche nevicate in avvio d’inverno: -63% di equivalente idrico nivale

A novembre temperature generalmente inferiori alla media dell’ultimo decennio, ma c’è stata scarsità di precipitazioni su quasi tutto il territorio italiano e specialmente sulle Alpi
 |  Acqua

Dicembre segna il ritorno dell’appuntamento mensile con il monitoraggio della risorsa idrica nivale di Fondazione Cima. E anche se le montagne hanno finalmente accolto le prime nevicate, ci viene comunicato, la stagione inizia con un deficit di equivalente idrico nivale che si assesta a –63%.

Dopo settimane di attesa, le prime nevicate hanno infatti iniziato a farsi vedere, portando sollievo in alcune regioni e lasciandone invece altre in deficit. Monitorare i dati della neve durante l’inverno è cruciale per una stima delle risorse idriche che saranno disponibili nei mesi primaverili ed estivi.

E il primo bilancio della stagione 2024/25 realizzato dalla Fondazione Cima offre uno spunto interessante per capire come le condizioni climatiche influenzino l’accumulo di neve nelle nostre montagne all’inizio della stagione. 

L’accumulo di neve al suolo è il risultato di un equilibrio complesso tra temperature e precipitazioni. Novembre 2024 ha registrato temperature generalmente inferiori alla media dell’ultimo decennio, un dato che ha creato condizioni teoricamente favorevoli all’accumulo nevoso. Tuttavia, il mese è stato caratterizzato anche da una marcata scarsità di precipitazioni su quasi tutto il territorio italiano, elemento che ha ritardato l’avvio della stagione nevosa, specialmente sulle Alpi. 

«Questo è un chiaro esempio di ciò che ci aspettiamo dall’impatto del cambiamento climatico, che rende gli inverni più miti e, spesso, più secchi e/o più imprevedibili», spiega Francesco Avanzi, ricercatore di Fondazione Cima. «Novembre è solitamente uno dei mesi più piovosi dell’anno nel nostro clima Mediterraneo – temperato. Quest’anno, le basse precipitazioni hanno chiaramente limitato l’accumulo di neve a inizio stagione, ma teoricamente c’è ancora tempo per recuperare».

I dati mostrano molto bene queste dinamiche. La carenza di precipitazioni ha colpito in particolare le Alpi, dove la stagione della neve non era praticamente iniziata fino alla scorsa settimana. Il risultato? Un deficit idrico nevoso ancora marcato, con il bacino del Po che vede un deficit attuale del –67%. 

Il monitoraggio della neve in Italia non è mai uniforme, e questo primo aggiornamento lo conferma. Le Alpi, che rappresentano il cuore delle risorse idriche nivali del nostro Paese, si trovano in difficoltà. Nei bacini del Po e dell’Adige, le nevicate di fine novembre hanno migliorato leggermente la situazione, ma non abbastanza per compensare il ritardo accumulato nelle settimane precedenti. Diverso il quadro negli Appennini, dove la neve è arrivata in abbondanza da fine novembre. Sul bacino del Tevere, ad esempio, i livelli di neve sono in linea con la media stagionale, mentre nell’Appennino Tosco-Emiliano e in Sicilia si registrano addirittura condizioni sopra la media.

Questi risultati sottolineano l’eterogeneità del nostro territorio e l’importanza di un monitoraggio che tenga conto delle specificità locali. Come sottolinea Avanzi: «Le Alpi restano il principale serbatoio di risorse idriche nivali del Paese, ma il ruolo degli Appennini non va sottovalutato, specialmente in stagioni caratterizzate da forti discontinuità climatiche».

C’è però da dire che l’inizio della stagione non sempre è indicativo di cosa succederà nei prossimi mesi. Per comprendere il possibile sviluppo della stagione nevosa, è fondamentale quindi analizzare le proiezioni a medio e lungo termine, pur tenendo conto delle loro molte incertezze intrinseche.

Le previsioni del modello Ecmwf per il trimestre gennaio-marzo 2025 indicano un’anomalia positiva nelle temperature, con valori sopra la media climatica su gran parte dell’Europa, e in particolare sull’arco alpino centrale. Questo potrebbe ridurre l’accumulo nevoso e accelerare i processi di fusione precoce, soprattutto nei mesi di fine stagione. Tuttavia, è importante sottolineare che la variabilità atmosferica può determinare eventi significativi di neve anche in presenza di temperature mediamente più alte lungo un trimestre.

Parallelamente, le proiezioni sulle precipitazioni suggeriscono condizioni prossime alla climatologia storica, un dato incoraggiante per il potenziale accumulo nevoso. Sempre partendo dal presupposto che si tratta di previsioni molto incerte, questo equilibrio tra temperature sopra la media e precipitazioni nella norma apre scenari diversi a seconda delle tempistiche e dell’intensità degli eventi meteorologici. Ad esempio, sottolineano i ricercatori di Fondazione Cima, precipitazioni abbondanti durante episodi di raffreddamento temporaneo potrebbero portare a un recupero significativo delle risorse nivali, specialmente nelle Alpi. Anche in questo scenario, il tema sarà la capacità della neve di rimanere accumulata in montagna, invece di fondersi precocemente durante le ormai frequenti ondate di calore invernali.

Conclude quindi Avanzi: «Le previsioni stagionali ci danno un’indicazione generale, ma la realtà può riservare sorprese repentine. Monitorare i dati in modo continuativo è essenziale per comprendere come si evolverà la stagione. Il prossimo appuntamento è per gennaio, quando nuovi dati ci racconteranno il prossimo capitolo di questa lunga maratona invernale».

Redazione Greenreport

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