Possiamo girarla come ci pare, ma l’onda negazionista rischia di sommergere il Green Deal e ridurre le chance del Green Deal rafforzato col rilancio delle misure ambientali e della lotta climatica.
Il cuore politico dell’Europa è in fibrillazione per l’inattesa avanzata dell’ultradestra. Già, come accade sempre più spesso, nessuno li aveva visti arrivare così travolgenti soprattutto in Francia e in Germania, due paesi finora trainanti un’idea di Europa. Con queste dimensioni e con questi sconquassi elettorali in gran parte dei 27 Stati membri, rendono molto più complicate nuove politiche green.
Certo, le tendenze non sono univoche. Certo, regge la vecchia maggioranza Ursula, e i Popolari si ripresentano come argine e garanzia del vecchio accordo con i socialisti – e il risultato straordinario in Italia del Pd rilancia i democratici, che entrano nell’Europarlamento con maggior forza, e la sorpresa elettorale dell’alleanza Verdi-Sinistra contribuirà ad arginare chi soffia sul putinismo e sulla grande questione migratoria e attacca le soluzioni green inventando la bufala della decrescita infelice – ma per affrontare le transizioni occorreranno idee e percorsi chiari e soprattutto popolari.
I danni della scarsa comunicazione e dell’enorme sottovalutazione ha permesso di trasformare non solo in Paesi come l’Italia il roosveltiano Green Deal europeo nella rovinosa ricaduta nelle peggiori austerity da fiscal compact, quelle che azzerano economie e occupazione.
Anche la grande frenata alla lotta climatica ha contribuito al boom di Afd in Germania, dell'Fpoe in Austria, del Ressemblement National in Francia e al nuovo successo della Meloni.
Allora, come la mettiamo? Restiamo in balia delle battaglie sovraniste che rendono determinanti più che i moderati e conservatori, destre e ultradestra arrembanti e con programmi elettorali parecchio climalteranti per le loro posizioni a difesa delle old economy più inquinanti e con forti allergie alla parola “green”?
Il fronte del Green Deal li lascia avanzare un po’ ovunque, dalla Germania dove addirittura l’Afd ha sorpassato i socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz e dove sono crollate anche le storiche roccaforti dei Verdi, e la coalizione al governo è finita ai minimi storici, alla Francia dove è terremoto con scosse dall’estrema destra con Rassemblement National che ha conquistato un elettore su tre e ha fatto il record con dieci punti in più su cinque anni fa, spingendo Macron al tutto per tutto con il ritorno al voto per il Parlamento il 30 giugno e il 7 luglio. L’Austria segue il copione.
Nell’Europarlamento 2024 cosa faranno dei piani green non è chiaro. Una nuova maggioranza Ursula o Roberta nel senso di Metsola, dovrà reggersi anche sui pilastri centristi usciti con le ossa rotte e persino con i non allineati, e chissà probabilmente aggregare anche la destra di Giorgia. Ma tutti uniti per fare cosa? Per quali politiche di sostenibilità?
La spinta elettorale da destra, in tutte le sue versioni nazionaliste, dopo il clamoroso passaggio dalle retrovie all’incasso elettorale ha come mood le sovranità nazionali, l’esasperazione delle paure irrazionali, la moltiplicazione delle sindromi Nimby applicate contro chi vuole arginare i gas serra trovando terreni fertili sull’altro schieramento, torsioni populiste e demagogiche che non costruiscono soluzioni. Inutile illudersi, i No Green Deal hanno praterie davanti a loro, umori on line, lobby, media, storiche tradizioni di negazionismo climatico antiscientifico e l’antieuropeismo.
Per questo, è l’ora di riaprire il cantiere del Green Deal europeo e nazionale, e Greenreport aprirà nel suo campo un confronto ampio sui perché bisogna reagire senza perdersi e senza perdere tempo. Lottare per decelerare la velocità del riscaldamento globale è la priorità.
La crisi climatica non smette di ricordarci che i nostri destini sono interconnessi alla capacità di riduzione dei gas serra, all’innesco di economie a energia rinnovabile, agli investimenti nella protezione dell'ambiente e di noi stessi e delle nostre città e quindi del nostro futuro.
La speranza è l’ultima a morire, come si dice, e si aprono 5 anni di grandi sfide ambientali, energetiche, economiche e mai come oggi bisogna far capire che ambiente è creare lavoro, è far girare l’economia nella giusta direzione con tecnologie, processi, filiere produttive con meno consumi di energia e materia e meno inquinamenti e maggiore efficienza.
È la green economy la leva per la competitività italiana. La transizione energetica ed ecologica conviene a tutti, per non lasciare l’esclusiva agli Stati Uniti o alla Cina. E l’Europa nonostante tutto ha buone carte da lanciare sul tavolo.