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Non sempre piccolo è bello: l’eolico di grande taglia è più sostenibile. In Italia può ridare centralità a Mezzogiorno e aree interne, accelerando la decarbonizzazione grazie alla fonte energetica più leggera che abbiamo
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Un luogo comune considera come un “danno ambientale”, un “appesantimento”, l’eolico di grande taglia, torri alte più di 150 metri con la punta delle pale che arriva a 230 metri e oltre. Ma è vero l’opposto, essendo l’eolico la fonte energetica più leggera che l’umanità abbia oggi a disposizione. Ad alimentare questo luogo comune è la disinformazione propalata dagli interessi fossili o da quelli nucleari, in breve la propaganda nucleofossile, unita nel diffondere l’eolicofobia.
I motivi tecnici del perché l’eolico di grande taglia è ambientalmente preferibile sono tre:
1) Economie di scala d’impianto: a parità di potenza installata sono necessarie meno turbine, quindi meno connessioni nel parco eolico, e ogni turbina ha una minore incidenza di materiali per unità di potenza.
2) Maggiore produzione unitaria: le grandi turbine eoliche producono più elettricità a parità di potenza per due motivi:
- A maggiore altezza dal suolo corrisponde maggiore ventosità, e la produttività è una funzione cubica della ventosità; quindi, anche piccole differenze sul valore di ventosità media portano a vantaggi significativi.
- Con altezze maggiori, oltre al beneficio della maggiore ventosità, è possibile ottimizzare la turbina per le condizioni di ventosità tipiche italiane, e questo comporta una maggiore lunghezza delle pale a parità di potenza.
3) La maggiore produttività per unità di potenza non è solo un vantaggio ambientale rispetto ai materiali per unità di elettricità prodotta. Gli impianti ad alta produttività portano vantaggi all’intero sistema elettrico: aumentando la produttività dell’eolico (il numero di ore annue di servizio) diminuiscono le esigenze di accumulo sulla rete elettrica. Infatti, se si ha un sistema elettrico basato sulle fonti rinnovabili più performanti (che sono l’eolico di grande taglia e il solare a terra) le esigenze di accumulo per fornire un servizio continuo si riducono drasticamente, di circa la metà, rispetto a rinnovabili a basse prestazioni come, per esempio, i pannelli solari sui tetti (pur utili in una certa misura, quando configurati rispetto all’autoconsumo). Dimezzare gli accumuli è un obiettivo ambientalmente, oltre che economicamente, significativo.
Prime quantificazioni…
Per esempio, consideriamo i bilanci di massa di due turbine eoliche, una di taglia 2 MW, la taglia prevalente un decennio fa, e l’altra di taglia circa doppia, 4,2 MW, tipica delle installazioni odierne per l’eolico su terraferma.
Una premessa per visualizzare a cosa corrisponde una turbina eolica con una potenza di 4,2 MW. Per la potenza nominale, corrisponde a mille e quattrocento impianti solari domestici da 3 kW l’uno. Per la produttività, l’energia erogata nell’anno, un Watt eolico produce da due a tre volte in più rispetto al Watt del solare sui tetti, quindi quella turbina eolica equivale tra i 2800 e i 4200 tetti solari (ma oltre alle equivalenze energetiche ci sono da considerare anche le complementarietà temporali tra solare ed eolico, per cui queste due fonti sono sinergiche, si veda questo post).
La turbina “piccola” ha l’altezza da terra del mozzo di 80 metri e un diametro del rotore di 80 metri, mentre la “grande” raggiunge su queste caratteristiche 155 e 150 metri, rispettivamente. La turbina “piccola” ha una massa di 719 tonnellate per MW (inclusa la fondazione che rappresenta l’80% di questo bilancio), mentre la turbina “grande” ha una massa di 672 tonnellate per MW (il 76% per la fondazione).
LCA della turbina Vestas V80-2.0 MW, link
LCA della turbina Vestas V150-4.2 MW, link
Per unità di potenza la turbina “grande” ottiene già un risparmio di materiali del 7% nonostante il quasi raddoppio dell’altezza del mozzo e del diametro del rotore! Ma, soprattutto, la turbina “grande” fa parte di una gamma di turbine che permettono una fine ottimizzazione rispetto alle condizioni di ventosità del sito ottenendo un notevole incremento della produttività annuale. Nelle figure seguenti sono riportate due simulazioni in uno stesso sito delle due turbine (da Renewables.ninja).
La turbina “piccola” ottiene un fattore di capacità medio annuo di solo il 25% (valore tipico delle installazioni di uno o due decenni fa), mentre la “grande” raggiunge il 43%.
Quindi, effettuando il bilancio di massa per unità di elettricità prodotta, si ottiene circa un dimezzamento dell’intensità di materiali grazie alla turbina “grande”.
Questo bilancio, come menzionato precedentemente, è relativo soltanto all’elettricità prodotta dal parco eolico. Integrando rispetto all’intero sistema elettrico, per via della migliore utilizzazione della trasmissione e della diminuita necessità di accumulo della grande turbina, si possono quantificare ulteriori miglioramenti (si veda questo post).
…e prime contestualizzazioni
La propaganda nucleofossile, oltre a oscurare questi fatti, colpisce l’opinione pubblica con toni fuorvianti per mancanza di contestualizzazione. Per esempio, le succitate tonnellate di materiali richieste da queste grandi turbine eoliche vengono menzionate con toni scandalistici, come se si trattasse di chissà quale “appesantimento” della generazione di elettricità, quando è vero il contrario: l’eolico, soprattutto quello delle grandi turbine, è tra le fonti di energia più leggere che ci siano, non solo in termini di emissioni in atmosfera, ma anche rispetto ai materiali movimentati.
Ritorniamo all’esempio della turbina “grande” che richiede 672 tonnellate per MW. Questi materiali rapportati alla produzione attesa in un periodo di 20 anni equivalgono a 9 grammi per kWh prodotto. Se quell’elettricità fosse prodotta dal carbone del Sulcis (Sardegna) richiederebbe, senza considerare la centrale termoelettrica ma solo il combustibile, ben 380 grammi per kWh. C’è pertanto una differenza di un fattore 42 a vantaggio dell’eolico in base a questo semplice confronto. Se quindi pensate che l’eolico sia “colossale”, provate a immaginare l’insieme dei materiali dell’eolico, fondazione compresa, moltiplicati per 42 volte ma non come pale eoliche tra campi e pascoli, ma come carbonili con le loro polveri anche pre-combustione, l’inquinamento di mercurio nei mari, nonché il danno climatico.
Un kWh prodotto con carbone aggiunge in atmosfera più di 1000 grammi di anidride carbonica (più altri gas serra che aggravano questo già alto valore). Ma l’anidride carbonica è un gas invisibile, non appare nel “paesaggio”, se non per gli effetti nei secoli a venire della desertificazione e tropicalizzazione che interesseranno anche il Belpaese.
Gli innumerati cultori dell’estetica senza etica credono che le visibili turbine eoliche siano “colossali”, ma non le invisibili masse di gas serra, un centinaio di volte maggiori rispetto a quelle delle turbine (fondazioni incluse).
In realtà l’eolico è ancora migliore di quanto fin qui discusso per due argomenti discussi nel seguito: possibilità di riciclaggio e bilancio completo sul ciclo dei materiali.
Prospettiva eolico circolare
Le stime prima riportate sono conservative perché la turbina può avere una vita utile anche di 35 anni (e non solo 20 come cautelativamente considerato), è già oggi è riciclabile all’85% mentre il carbone una volta bruciato non solo è perso per sempre, ma aggrava il deragliamento climatico per i secoli successivi. Inoltre, con la maturazione del settore dell’eolico, sarà possibile rendere circolare questa fonte energetica, con fondazioni per più cicli d’utilizzo, e riciclo e riuso dei materiali.
Il riutilizzo delle fondazioni è ancora non applicabile perché i ri-potenziamenti dei parchi eolici esistenti prevedono la sostituzione delle turbine tipicamente da 2 MW, precedentemente indicate come “piccole”, con quelle “grandi” da 4-5 MW, e quindi con caratteristiche strutturali diverse che implicano diverse fondazioni. Ma, almeno per l’eolico a terra, le caratteristiche dimensionali delle nuove turbine da 4-5 MW, altezza e diametro, sono tali che non si prevedono in futuro delle ulteriori variazioni significative. Ne consegue che per le turbine che tra 20-30 anni rinnoveranno i parchi realizzati oggi, il riutilizzo delle fondazioni sarà una possibilità. Ciò ridurrà ulteriormente sia i costi dell’elettricità prodotta nella seconda vita dell’impianto eolico che il suo, già eccellente, impatto ambientale.
Fardello minerario
I più curiosi si chiederanno quale sia l’impatto minerario complessivo delle fonti energetiche, a monte e a valle degli impianti. L’acciaio delle turbine eoliche richiede del ferro e del carbone. A loro volta questi materiali richiedono attività estrattive che movimentano masse maggiori rispetto al materiale estratto, al variare del materiale e delle sue concentrazioni nei giacimenti.
Per esempio, una tonnellata di ferro richiede che in miniera si movimentino 8 tonnellate di rocce. Alcuni materiali hanno rapporti ancora maggiori tra massa movimentata in miniera e massa utile di materiale. Se si è interessati al fardello minerario complessivo bisogna quindi sommare tutti i materiali finali moltiplicandoli per i loro fattori specifici di massa estratta.
Questo indicatore, anch’esso parziale e non esaustivo, fornisce comunque una misura più realistica dell’ordine di grandezza dell’impatto minerario di una fonte energetica. Questi calcoli sono complicati, e nello spazio di un articolo divulgativo non si può che riportare stime già elaborate in letteratura. Il grafico seguente illustra delle stime dell'indicatore TMR (total material requirement) per unità di elettricità prodotta da varie fonti energetiche, fossili, fissile, e rinnovabili.
Tratto da Nakagawa et al. (2022), freccia rossa aggiunta (link). Si osserva che questo articolo del 2022 ha come focus il ciclo nucleare, e per il fotovoltaico riportato in questo grafico utilizza valori di studi di quando quella tecnologia era agli albori, e quindi il valore riportato del fotovoltaico in questo grafico non è più rappresentativo del solare attuale. Il valore del TMR dell’eolico è nell’ordine di grandezza delle stime coerenti con la tecnologia attuali
Il TMR del carbone è di circa 1400 grammi per kWh prodotto. Come vedete, dai circa 400 grammi per kWh del combustibile si è passati a un valore d’impatto minerario maggiore di tre volte e mezzo. Idem per l’eolico, ma, partendo da valori bassissimi, questa fonte rimane sull’ordine delle decine di grammi per kWh. Pertanto, anche considerando le attività estrattive, l’eolico si conferma più leggero di decine di volte rispetto al carbone.
E allora le pale in discarica!
Altro classico esempio di manipolazione è il mostrare con titoloni allarmistici fotografie di pale eoliche dismesse in discarica. L’eolico attualmente produce rifiuti non riciclabili? Sì, ma in quantità piccolissime, che sono anche oggetto di continue ricerche per la loro minimizzazione.
Dai bilanci di massa della turbina su indicata, deriviamo che i rifiuti ammontano a 87 tonnellate per turbina da 4,2 MW (questo valore non è limitato alle sole pale ma include anche altre componenti non riciclabili, le sole pale sono circa il 40% di questo valore). Con le ipotesi conservative di cui sopra, durata di 20 anni e produttività media, ciò equivale a 0,35 grammi di rifiuti non riciclabili per kWh (0,15 grammi/kWh per le sole pale).
Per il carbone, anche limitandosi alle sole ceneri che una centrale produce, ceneri di una pericolosità ben maggiore delle inerti pale eoliche in vetroresina, il rifiuto di questa fonte fossile è almeno un centinaio di volte maggiore di quello dell’eolico (la stima esatta dipende dal tipo di carbone, la cui percentuale di ceneri può variare in un intervallo ampio, dal 5 al 45%, e dalle tecnologie di combustione e depurazione fumi della centrale).
Gli effetti di un incidente di sversamento di ceneri da carbone negli USA, fonte
Per ulteriormente contestualizzare il flusso di rifiuti dell’eolico, confrontiamolo con l’ipotesi di diffusione massima di questa fonte rispetto a un flusso di rifiuti incontrato da ognuno di noi nella quotidianità, la frazione non riciclabile dei rifiuti solidi urbani (RSU).
Gli italiani causano 494 kg a persona di RSU per anno. La regione dove si ha la maggiore percentuale di raccolta differenziata (76%) è il Veneto. Supponiamo che in futuro tutti gli italiani differenzino come i veneti, e questo comporterebbe un flusso annuo di rifiuti RSU non riciclabili di 118,6 kg a persona. Ipotizziamo che l’eolico si espanda fino a produrre 300 TWh/anno, pari cioè all’attuale consumo elettrico italiano, ovvero circa 5080 kWh per persona e per anno (una espansione di 12,8 volte rispetto ai valori attuali). Con gli attuali tassi di non riciclabilità dell’eolico, questa produzione eolica implicherebbe un flusso annuo di rifiuti pari 1,78 kg a persona, ovvero l’1,5% della frazione non riciclabile degli RSU nonostante l’espansione di un fattore di circa 13 volte e senza considerare miglioramenti futuri.
E allora le terre rare!
I disinformatori nucleofossili quando messi alle strette sulla leggerezza del ciclo eolico sviano la conversazione menzionando le “terre rare”, riferendosi per l’eolico al neodimio e al disprosio che servirebbero per i magneti permanenti del generatore. Riprendiamo il bilancio dei materiali della turbina “grande”. Senza sorpresa, per chi conosce l’argomento, vi leggiamo che quella turbina “non contiene neodimio e disprosio”.
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Infatti, non tutte le turbine eoliche utilizzano questi elementi. I generatori a magneti permanenti sono d’uso conveniente (attenzione, conveniente, non necessario) per l’eolico in mare, perché semplificano la manutenzione che in mare è più onerosa. La domanda da porsi è quindi se quella parte di eolico che trova più conveniente l’utilizzo del neodimio e del disprosio rappresenti un ostacolo insormontabile rispetto alle risorse di questi elementi nella crosta terrestre.
La risposta è no, perché di questi elementi ce n’è in abbondanza rispetto alle proiezioni della domanda eolica. Ciò non significa che non si potrebbero avere in futuro delle diminuzioni nella disponibilità di queste risorse, per i tempi necessariamente lunghi che si hanno nell’iniziare nuove attività estrattive. Ma nel caso dovessero presentarsi temporanei colli di bottiglia nell’approvvigionamento, il settore eolico potrebbe fare leva su altre tecnologie che eliminano questi elementi, come sta già succedendo per il cobalto utilizzato nelle batterie delle auto elettriche (le batterie lithium-iron-phosphate, LFP, non contengono cobalto).
Chi si preoccupa degli impatti delle attività estrattive dovrebbe semmai riservare maggiore attenzione ad altri settori intrinsecamente più dissipativi. Le turbine eoliche in mare al 2050 saranno nel mondo al più qualche centinaia di migliaia. Ognuna di esse, se continueranno a utilizzare neodimio, conterrà 1,5 tonnellate di questo elemento (nel caso di turbine da 10 MW). Per 6000 GW di eolico offshore sarebbe necessario 0,9 Mt di Neodimio, il 5% delle riserve (1,2% della risorsa).
Al contrario, nell’elettronica di consumo, a cominciare dai telefonini da cui i detrattori dell’eolico scrivono sui social, al 2050 saranno centinaia di miliardi i dispositivi prodotti, ognuno con minuscole quantità di neodimio, tutt’altro che di facile recupero rispetto all’uso concentrato dell’eolico di grande taglia! Se per ipotesi il neodimio dovesse divenire scarso, sarebbe comunque più razionale impiegarlo in grandi turbine eoliche dalla vita lunga e di facile riciclabilità piuttosto che dissiparlo in una miriade di apparecchi dalla vita breve.
Eolico volàno delle aree interne d’Italia
I progressi della tecnologia dell’eolico hanno completamente cambiato il quadro delle possibilità per le fonti rinnovabili. Oggi l’eolico è competitivo non solo nelle regioni ad alta ventosità ma anche in quelle a ventosità medie (quelle a ventosità bassa, per esempio la pianura padana, rimangono fuori portata per l’eolico).
La mappa seguente visualizza la distribuzione geografica di circa 26mila localizzazioni di turbine eoliche a terra per una potenza complessiva di 100 GW. Quelle indicate non sono tutte le localizzazioni possibili (che sarebbero sei volte di più) ma solo quelle che contribuiscono al minore costo di generazione fino alla potenza di 100 GW (elaborazione dal database dello studio di Ryberg et al. (2019)).
Potenziale eolico a terra in paesi europei, evidenziato in giallo il potenziale italiano, da Ryberg et al (2019)
Come appare a prima vista dalla mappa precedente, il potenziale eolico economico è disponibile nel Mezzogiorno e nelle aree interne d’Italia.
La classificazione ISTAT dei comuni italiani è in sei categorie indicate con le lettere dalla A alla F. I comuni di tipo A sono detti centrali, e il grado di perifericità aumenta con l’ordine alfabetico delle lettere. Le aree dei comuni di tipo D, E, ed F, sono definite aree interne.
La seguente figura riporta degli incroci tra il dataset delle localizzazioni eoliche di Ryberg et al. (2019) limitato al lotto più economico pari a 100 GW, le classificazioni dei livelli territoriali (Nomenclature of territorial units for statistics, NUTS, ovvero regioni, province), e il dataset ISTAT della classificazione dei comuni italiani per grado di perifericità (lettere A-F).
La ripartizione delle potenze per tipo di area indica che circa quattro quinti del migliore eolico italiano è localizzabile in aree interne con un investimento di 89 miliardi di euro. Analoga ripartizione 80:20 si ha sulla ripartizione tra Mezzogiorno e resto d’Italia. Se si associano i due criteri, aree interne del Centro-Nord e Mezzogiorno, ben il 93% del migliore eolico italiano ricade in questo insieme di territori caratterizzati da criticità socio-economica e fenomeni di decrescita demografica. Va precisato che, sebbene quantitativamente minore, il potenziale eolico a terra a basso costo del Centro-Nord Italia è di elevata qualità per il maggiore fattore di capacità. Tale aspetto rende strategica questa quota pur minore di eolico anche per la vicinanza ai centri di consumo, e per la diversificazione su area vasta rispetto all’eolico del Mezzogiorno.
Inoltre, l’investimento nell’eolico può essere un moltiplicatore negli stessi territori per gli investimenti in solare, idroelettrico a pompaggio, elettrolizzatori, metanizzatori e sistemi ausiliari.
Considerando che l’eolico è negativamente correlato alla disponibilità della fonte solare (c’è più vento d’inverno che d’estate, più di notte che di giorno), sarà possibile combinare solare ed eolico in modo tale da soddisfare persino un carico costante per il 100% del tempo con accumuli dal costo contenuto (e con tecnologie già esistenti).
Elaborazioni TERNA, fonte
A puro titolo esemplificativo, l’investimento totale in generazione e accumuli è pari a 2,6 volte quello del solo eolico (si fa notare che questo fattore può variare in base alle specificità geografiche).
Se al 2050, in un’Italia completamente decarbonizzata, fossero installati sia nelle aree interne del centro-Nord che nel Mezzogiorno 46 distretti rinnovabili, ognuno con una capacità di generazione simile a quella di un nuovo reattore nucleare, l’investimento complessivo di questa offerta rinnovabile sarebbe pari a circa 248 miliardi di euro (5,4 mld€ per distretto rinnovabile). Investimenti competitivi, non assistenzialistici (altro che PNNR, per alcune critiche a quel programma si veda qui).
Appendice: è solo l’inizio
Questa competitività dell’eolico migliorerà sempre di più grazie a innovazioni che fanno leva sulla diminuzione della potenza specifica per area del rotore (questo porta a pale più lunghe).
I lettori più attenti avranno notato che nell’immagine di copertina di questo post ci sono due turbine della stessa potenza di 3 MW, ma una, quella indicata come “innovation turbine”, ha una maggiore altezza della torre e del diametro del rotore.
Questa turbina ha un vantaggio nelle condizioni di bassa ventosità e uno svantaggio con venti forti, quando la potenza erogata deve essere smorzata prima rispetto ad una turbina convenzionale. Ma nuove analisi mostrano come i vantaggi siano superiori agli svantaggi, soprattutto in un’ottica di sistema, tenendo conto dell’effetto sulla rete elettrica. Per uno studio recente sulle turbine per bassa ventosità nel nord-Europa si veda questo articolo.
Curva di potenza di una turbina innovativa per bassa ventosità (colore arancione) confrontata con turbina convenzionale (in blue). Tratto da NREL (2023)
Un altro esempio illuminante è la figura seguente che riporta l’espansione del potenziale eolico negli USA grazie a queste innovazioni. Anche aree di quel paese precedentemente non considerate come candidabili per installazioni eoliche adesso presentano potenziali enormi.
Potenziali eolici USA aggiornati con le turbine ottimizzate per le aree a media ventosità, link
Queste possibilità spaventano i difensori dello status quo fossile e fissile che vedono come il fumo negli occhi l’eolico di grande taglia, che, assieme al solare a terra, è un pilastro della decarbonizzazione veloce. Non sorprende allora che notevoli sforzi di propaganda siano dispiegati per convincere l’opinione pubblica che l’eolico sia “impattante”. Il mondo al contrario della propaganda nucleofossile.
Appendice 2: Anche il piccolo eolico può essere bello
Le lezioni principali di questi ultimi due decenni di portentoso sviluppo dell’eolico sono state l’importanza delle economie di scala di singola turbina (le turbine “grandi”), la produzione modulare, e la progettazione specifica per i diversi regimi di vento (la tendenza alle minori potenze specifiche). Questi due ultimi sviluppi sono traslabili anche sulle taglie piccole, che, sebbene a costi unitari maggiori, possono essere necessarie in contesti in cui una turbina da 4 MW risulta eccessiva, per esempio nell’elettrificazione rurale in siti lontani dalle reti elettriche. Altra nicchia d’uso è l’aumento di capacità per quegli utenti che sono su rami remoti della rete elettrica dove il potenziamento della linea risulterebbe più costoso della generazione distribuita in autoconsumo.
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