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Nuovi fornitori, vecchi rischi: per liberarsi dalla morsa del gas l'Italia punti sull'elettrificazione

 |  Editoriale

L’aumento dei prezzi del gas in Italia e in Europa, che questo hanno raggiunto un valore di 50 euro/MWh, prospetta l’inverno più caro di sempre per riscaldare le case delle famiglie italiane e forti contraccolpi anche sulle bollette elettriche, dove è ancora il gas a dettare il prezzo di riferimento per la maggior parte del tempo. Si tratta di un quadro rischioso, oltre che per il clima e per le tasche dei cittadini, anche sotto il profilo della sicurezza energetica del Paese, come emerge da un nuovo studio condotto per il think tank Ecco dall’European council on foreign relations (Ecfr).

Nel febbraio 2022 l’Italia importava il 34% del proprio petrolio e il 46% del proprio gas naturale da Mosca, per poi vedersi costretta a cambiare improvvisamente strategia dopo l’avvio della guerra d’invasione in Ucraina. Non potendo fare affidamento neanche sulla produzione nazionale, che ha coperto nel 2023 soltanto poco meno del 5% della domanda di gas – vista la presenza di riserve (certe e probabili) assai scarse –, l’Italia si è affidata all’import.

La fine delle forniture di gas naturale da Mosca è stata compensata, ove possibile, da maggiori volumi da gasdotto: qui l’Italia è stata favorita dalla posizione geografica al centro del Mar Mediterraneo e dalla vicinanza ai produttori del Nord Africa come Algeria e Libia, collegate dai gasdotti Transmed e Greenstream. A ciò si sono aggiunti volumi dall’Azerbaigian tramite il sistema Tap – per il quale sono state avviate le procedure per il raddoppio, le quali però non hanno raccolto interesse da parte degli operatori, e dunque si prevede una capacità aggiuntiva di soli 1,2 miliardi di metri cubi annui a partire dal 2026.

Esauriti questi fornitori, l’Italia si è dovuta rivolgere ai mercati globali di Gnl, realizzando nuovi terminal di rigassificazione: ai tre già attivi prima del conflitto, si sono aggiunti quello galleggiante di Piombino e quello previsto in attività a partire dal 2025 a Ravenna, ciascuno con una capacità di 5 miliardi di metri cubi all’anno. Tra il 2022 e 2023 abbiamo speso circa 17 miliardi di euro per le importazioni di Gnl da Usa, Algeria, Russia, Qatar e Nigeria, per volumi totali poco al di sotto dei 26 miliardi di metri cubi annui nel corso del biennio.

Ma il passaggio dal gasdotto al Gnl presenta già di per sé, a prescindere dai Paesi fornitori, una serie di sfide per la sicurezza energetica italiana, soprattutto per quanto riguarda i prezzi, la durata temporale dei contratti – nel 2023 la quota di import con contratti a lunga durata (oltre vent’anni) è stata pari al 62% del totale, contro il 21% di contratti spot, una quota però in crescita – e l’esposizione a vulnerabilità e altre frizioni del commercio marittimo, come mostrano ad esempio gli attacchi da parte dei ribelli yemeniti Houthi nello stretto di Bab-elMandeb all’estremità meridionale del Mar Rosso.

Sul fronte gas per l’Italia dunque cambiano i fornitori, ma restano i rischi. Nel Mediterraneo, la prolungata crisi politica in Libia, la fragilità del modello socioeconomico algerino e le crescenti difficoltà interne dell’Egitto gettano più di un interrogativo sull’affidabilità di questi partner energetici. Né i fornitori più lontani appaiono scevri da criticità: i contratti a lungo termine con il Qatar e la possibilità di nuove infrastrutture dall’Azerbaijan generano timori di stranded assets, mentre la presidenza Trump rende le forniture dagli Usa sempre più delicate politicamente, oltre che sul piano ambientale.

Che fare? Come spiega lo studio Ecfr, l’affidamento a fonti rinnovabili e l’elettrificazione del comparto industriale permetterebbero, in un quadro di competitività economica delle fonti sostenibili, di raggiungere maggiore stabilità, nonché di ridurre la volatilità dei prezzi legata alle importazioni di fossili, soprattutto Gnl.

Con la penetrazione graduale delle fonti rinnovabili e i processi di elettrificazione, il ruolo del gas nel panorama energetico italiano andrà a calare nel breve e nel medio periodo, seguendo le evoluzioni già in atto. Su una domanda totale di gas pari a 61,7 miliardi di metri cubi nel 2023, quasi un terzo (21,2 mld) è stato destinato alla generazione elettrica, con un valore però in calo del 18,5% su base annua, mentre 11,8 miliardi di metri cubi sono stati consumati dal comparto industriale, anche esso in calo (-5%). L’elettrificazione è dunque una delle dinamiche che determinerà una riduzione graduale della domanda di gas per effetto dello spostamento dei consumi verso un vettore elettrico prodotto progressivamente sempre più da fonti rinnovabili; inoltre l’elettrificazione industriale, se accompagnata dalle opportune politiche e dallo sviluppo di un’infrastruttura elettrica di produzione rinnovabile economicamente efficiente, permetterà di mantenere la competitività industriale italiana.

Infine, il progressivo aumento dell’elettrificazione – in parallelo al proseguimento delle politiche di efficientamento (residenziale e industriale) per contenere l’aumento della domanda, offre all’Italia un’opportunità per impostare nuovi rapporti con i Paesi del Mediterraneo: diversi progetti per interconnessioni energetiche tra le due sponde del Mediterraneo sono in fase di costruzione (Elmed, Gregy, Greats sea interconnector) o di studio (Algeria-Sardegna), costituendo la base per reimpostare le relazioni energetiche, ma anche geoeconomiche, tra l’Europa e la regione.

Certo, neanche il passaggio all’elettrificazione e dunque alle fonti rinnovabili è esente da rischi, sotto il profilo geopolitico e della dipendenza dall’estero: basti pensare al sostanziale monopolio della Cina nella produzione globale di pannelli fotovoltaici (oltre l’80%) e alle quote elevate nella capacità manifatturiera di turbine eoliche o elettrolizzatori.

Ma questa condizione di esposizione – che può essere in parte contenuta tramite scelte di politica industriale a supporto della transizione ecologica – risulta comunque diversa e meno grave dell’attuale dipendenza fisica dal gas naturale estero come fonte energetica. Anche in uno scenario (attualmente poco probabile) in cui la Cina bloccasse la vendita di pannelli solari all’Ue, il fotovoltaico già installato continuerebbe a produrre e i pannelli accumulati in magazzino dovrebbero coprire quasi due anni di installazioni ai ritmi attuali. Un simile contesto sarebbe ben diverso da quello di un fornitore di gas che interrompe le forniture – come avvenuto da parte russa, con la conseguente crisi energetica di cui ancora oggi paghiamo il prezzo.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.