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Autolesionismo a stelle e strisce: i nuovi dazi promessi da Trump faranno più male all'economia Usa che a quella Ue. E aumentando l'export di Gnl, oltre al clima, rischiano i consumatori statunitensi

 |  Editoriale

Sin dal suo ritorno come 47esimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump è tornato subito ad agitare lo spauracchio dei dazi commerciali, non diversamente da quanto accaduto durante il suo primo mandato presidenziale. Nel frattempo lo scacchiere internazionale è però inevitabilmente mutato, e anche l’arma dei dazi rischia di essere soprattutto un paradossale contraccolpo per l’economia statunitense.

Per capire quale sarebbe l’impatto di dazi aggiuntivi per il 10% su tutte le importazioni in Usa, e del 60% su quelle in arrivo dalla Cina, l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) – con un’analisi a cura dei ricercatori Matteo Villa e Giovanni Maria Della Gatta – suddivide lo scenario Paese per Paese.

La premessa è che la bilancia commerciale Usa è oggi in profondo rosso, per oltre 1.100 miliardi di dollari l’anno, di cui 290 in favore della Cina e 230 dei Paesi Ue: nel Vecchio continente è la Germania il Paese che vanta l’avanzo commerciale maggiore verso gli Usa (80 miliardi di euro all’anno), con alle spalle Irlanda (73 mld) e Italia (43 mld), mentre a distanza segue la Francia (19 mld).

«In questa classifica, pur piuttosto lontana dalla prima posizione tedesca in valore assoluto, l’Italia è terza con un surplus commerciale di 43 miliardi di euro. Ciò espone il nostro Paese a un doppio rischio – spiegano i ricercatori Ispi – Da un lato, ciò non potrà che attirare l’attenzione della Casa bianca. Inoltre, se si guarda al peso delle nostre esportazioni verso gli Stati Uniti sul Pil è possibile stimare che un dazio aggiuntivo del 10% verso tutto il mondo, e uno del 60% sulla Cina, avrebbero sull’Italia un effetto di contrazione economica molto simile a quello che avrebbero sulla Germania. Certo, a perderci di più sarebbe non solo la Cina (destinataria appunto del dazio del 60%), ma anche gli stessi Stati Uniti, con una perdita di crescita nel breve periodo vicina allo 0,8% del Pil», che si riduce a -0,5% del Pil nel lungo termine.

A confronto l’Italia perderebbe meno dello 0,2% del Pil sul breve periodo a causa dei nuovi dazi statunitensi e poco più dello 0,2% nel lungo termine; per la Ue nel suo complesso i danni sarebbero ancora minori. In sintesi, dopo la Cina il Paese più colpito dai dazi trumpiani sarebbero proprio gli Usa.

Per quanto riguarda invece più strettamente il comparto energetico, Trump ha già dichiarato esplicitamente la volontà di incrementare l’export di Gnl in Europa, cogliendo peraltro una prima apertura su questo fronte dalla Commissione Ue, il che potrebbe portare a un ulteriore incremento dei già ingenti flussi in arrivo.

«Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, le importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) americano da parte dei paesi Ue sono quasi triplicate in volume – evidenziano nel merito i ricercatori Ispi – portando gli Usa a diventare i primi fornitori di gas per il continente europeo. Siccome, nel frattempo, il prezzo del gas naturale è anche aumentato, ciò significa che negli ultimi tre anni l’Ue ha acquistato Gnl statunitense per 89 miliardi di euro, un valore circa 8 volte superiore rispetto agli 11 miliardi dei tre anni pre-invasione. Insomma, almeno sul Gnl sembra esserci convergenza tra Europa e Trump; anzi, come già sottolineato dalla presidente della Commissione europea von der Leyen il gas potrebbe diventare lo strumento per “addolcire” il neopresidente».

Questo vale soprattutto per l’Italia, dato che nel 2023 il nostro Paese ha importato 5,3 miliardi di metri cubi di Gnl dagli Stati Uniti, portando gli Usa a diventare il secondo fornitore di Gnl appena dietro al Qatar (6,7 miliardi). Ma anche in questo caso potrebbero esserci risvolti imprevisti da The Donald per l’economia statunitense.

Non è una novità che il Gnl in arrivo dagli Usa sia particolarmente inquinante, in quanto legato allo sfruttamento dello shale gas, tant’è che si stima abbia un’impronta carbonica tripla rispetto a quella del carbone. Meno scontati sono gli effetti economici di un incremento nell’export di Gnl: secondo un recentissimo report prodotto dallo stesso dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, aumentare l’export di Gnl sarebbe un boomerang per la stessa economia statunitense – con un rialzo del 30% i prezzi all’ingrosso del gas naturale negli Stati Uniti, con costi medi di 100 dollari all’anno per le famiglie, e un impatto ancora più elevato per quelle a basso reddito. Inoltre da qui al 2050 i costi energetici complessivi per il settore industriale aumenterebbero di 125 miliardi di dollari, portando a potenziali ulteriori aumenti dei prezzi per un'ampia gamma di beni di consumo per i cittadini Usa. L’ennesima conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di come soluzioni semplicistiche a problemi complessi siano sempre una cattiva idea.

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Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.