Asteroide Trump II: allacciamoci le cinture, si rientra nell'età dell'oro nero. Il futuro è il passato e The Commander in chief promette il Vecchio Mondo a petrolio, gas e carbone. Addio all’Accordo sul clima e al Green deal
L’Inauguration del secondo tempo di Donald Trump 47esimo Presidente Usa “salvato da Dio per rendere di nuovo grandi gli Usa” è ufficialmente iniziato con il rientro nel suo Vecchio Mondo. Nei venti minuti di discorso-comizio di insediamento alla Casa Bianca, tra annunci di varie futuribili conquiste - dal Golfo del Messico che diventerà Golfo d’America al Canale di Panama fino alla futuribile conquista di Marte - e di deportazioni di massa con rimpatri forzati di 14 milioni di “migranti illegali”, il Commander in chief dell’esercito dei negazionisti climatici ha promesso che colpirà duro sulle politiche ambientali, molto di più che nel suo primo devastante mandato 2017-21.
Da Capitol Hill ha rabbiosamente annunciato che “con me finisce il Green new deal…La crisi dell’inflazione è stata causata da una spesa eccessiva e dall’aumento dei prezzi dell’energia, per questo oggi dichiaro un’emergenza energetica e noi trivelleremo, baby, trivelleremo”. Molto più dell’era Biden, che pure ha visto gli Usa sfondare ogni record di trivellazioni continuando a succhiare petrolio e gas anche più dell’Arabia o della Russia. Ma l’asteroide Trump ha una sua traiettoria ben precisa: quel "Drill, drill, drill!" e quel “Frack, frack, frack!”, “perforare e fratturare” suona alle orecchie dei business man delle Company trivellatrici che lo stanno ascoltando come la promessa elettorale del “Make America Great Again” già concretizzata. È il gran giorno del “drill, baby, drill…faremo abbassare i prezzi, riempiremo di nuovo le nostre riserve strategiche ed esporteremo energia americana in tutto il mondo…saremo di nuovo una nazione ricca, l'oro liquido sotto i nostri piedi aiuterà ad applicare le mie azioni…Oggi metteremo fine al Green new deal e revocheremo l'obbligo delle auto elettriche e salveremo la nostra industria automobilistica mantenendo il mio sacro impegno con i grandi lavoratori del settore automobilistico, potremo comprare l'auto che vogliamo". Trump ha anche annullato il “mandato” sui veicoli elettrici della presidenza Biden, con un brivido sulla schiena del neo-ministro Musk all’efficienza per la sua Tesla, e l’apertura di un bel mercato per i cinesi super-produttori di auto elettriche.
Ma il presidente al bis risponde ai suoi istinti e ai suoi interessi, che a sua volta rispondono alla pancia dell’elettorato che lo ha riportato a Washington. Riparte col piede sull’acceleratore ignorando del tutto l’Europa, mai così disunita e distante in un insediamento presidenziale senza leader del vecchio Continente – soprattutto senza i parenti più stretti come gli inglesi – e con la sola Meloni pronta ovviamente a capitalizzare per l’Italia la linea diretta con Trump, una circostanza sulla quale nessuno avrebbe mai scommesso un cent. Un inizio non scontato, accompagnato dalla minacciosa richiesta agli europei di farsi carico da subito della difesa militare, oggi super-dipendente dall’alleato Usa.
Circondato sul carro dei vincitori da tutti i giganti globali Big Tech del consenso social, dai padroni di piattaforme digitali del calibro di Elon Musk oggi nel suo governo, Tim Cook di Apple, Jeff Bezos di Amazon, Marc Zuckerberg di Meta, Sundar Pichai di Google, dalle quali passano informazioni, difesa, innovazione, per rendere plasticamente anche l’idea del nuovo ruolo degli Usa nel mondo.
Non una citazione sul kolossal dei tre mega-incendi nella California dream - Palisades, Hollywood Hills e Eaton - che hanno trasformato in cenere oltre 10.000 edifici e decine di migliaia di acri di terreno, lasciando 25 morti e 26 dispersi, centinaia di feriti e 20 milioni di persone colpite dal rogo più violento e costoso della storia american,a con le grandi compagnie assicurative in fuga dalla copertura delle catastrofi meteo-climatiche e che avevano peraltro già cancellato 72 mila polizze prima degli incendi, e sul lastrico non certo i grandi divi hollywoodiani ma i piccoli povericristi che hanno perso letteralmente tutto.
Del resto, in un post su Truth social, il tycoon aveva indicato la causa accusando il governatore democratico della California, Gavin Newsom, di aver privato la regione di Los Angeles dell'acqua necessaria a spegnere gli incendi per proteggere "un pesce sostanzialmente inutile", il pesce che in Italia chiamiamo “latterino” che vive nel delta del fiume Sacramento-San Joaquin, in un'ampia zona umida nella California settentrionale. L’innocuo pesciolino è l’incubo di Trump da almeno una decina d'anni poiché, sostiene, è la causa che impedirebbe di risolvere i complessi problemi idrici della California per le normative che lo salvano dall'estinzione.
Trump fa finta di non sentire e non vedere il “Big One” climatico, gli SOS degli annus horribilis alle spalle con straripanti escalation di eventi catastrofali che terrorizzano e devastano esattamente come fanno le guerre, ma della vulnerabilità americana e globale agli effetti del cambiamento climatico si disinteressa platealmente. L’autobiografia del presidente racconta del resto un contesto che considera “balle spaziali” il rischio del superamento della temibile soglia di 1,5°C in più di temperatura sui livelli 1850-1900, che tutti gli esperti indicavano come il limite da non superare a fine secolo, come si legge in ogni documento conclusivo delle ultime 10 Conferenze delle Parti dell’Onu dopo l’Accordo sul clima di Parigi nel 2015, e che invece è stato raggiunto nel 2024: oggi il mondo viaggia verso un range dai 2,5°C ai 2,9°C in più al 2100. Ma Trump fa Trump e mai come oggi è il riconosciuto leader del mondo negazionista.
“L’uomo scelto da dio”, nella sua prima ora da 47esimo presidente Usa, proprio durante il suo discorso inaugurale, è uscito ufficialmente dall’Accordo sul clima di Parigi, indifferente alle ondate di calore mai subite dal Pianeta dalla comparsa degli esseri umani dovute all’immissioni di quote di CO2 in atmosfera, con l’escalation di catastrofiche alluvioni o siccità e incendi, di ghiacciai che fondono e isole e coste che rischiano di essere sommerse. Per Trump è tutto un “Who care friend”, un chissenefrega amico!, e già nel primo mandato aveva chiarito che se il futuro fosse questo vuol dire che “avremo più villette con vista sull’oceano”.
Da ieri siamo al secondo abbandono degli Usa delle azioni per la riduzione delle emissioni di gas serra, un nuovo strappo clamoroso col resto del mondo che vuole comunque provare a ridurle e ad adattarsi. La sua prima uscita dall'accordo del 4 novembre 2020 portò alla stagnazione delle relazioni e delle decisioni globali, riprese con Joe Biden e dal suo “ordine esecutivo” del 21 gennaio 2021. Ma oggi Trump ha promesso di più ai suoi fans, vuole mani libere nel settore trivellazioni a tutto Oil & Gas, fa carta straccia dell’Inflation Reduction Act che finora ha consentito all’amministrazione Usa investimenti complessivi pubblici e privati da circa 450 miliardi di dollari nel settore energetico. Anche per Bloomberg NEF sarebbe un autogol, con il calo del 17% di nuovi impianti di energia rinnovabile nel decennio 2025-2035, l'eolico offshore a meno 45%, regalando business di nuove energie soprattutto ai cinesi e a chi ci punta nel mondo. Complessivamente, calcolano i centri di ricerca indipendenti, aumenteranno almeno di 4 miliardi di tonnellate le emissioni di CO2 entro il 2030: un disastro con quantità annuali di carbonio pari a quelle di Giappone e Unione europea messe insieme.
Con il forfait di uno dei maggiori inquinatori del globo, la debacle climatica continuerà. L’isolamento degli Usa dalla diplomazia climatica li porta fuori dagli accordi sul “phasing out” dai combustibili fossili, fa rischiare nuovi flop alle Conferenze delle Parti – la prossima nell’Amazzonia brasiliana – e paralizza la rete diplomatica climatica incaricata di sciogliere nodi aggrovigliatissimi, di sbloccare la “finanza climatica”, di organizzare le presentazioni e i depositi entro il prossimo febbraio dei Piani nazionali di adattamento e di azione climatica da oggi al 2035, di indicare come reagire all’esodo dei profughi del clima dai paesi in via di sviluppo, come gestire la “transition away” dai combustibili fossili triplicando la potenza energetica da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica entro metà secolo con la crescita costante dei “global player” nelle tecnologie green.
Ma anche in questo caso, il dramma vero siamo noi europei. L’Europa sarebbe chiamata oggi a rispondere, persino a spiazzare il presidente Usa, insomma ad uno scatto in più sulle questioni climatiche e dello sviluppo per tutelare territori e economie da rischi da brivido. Se il lato peggiore dell'America ritorna e mina ogni accordo per raffreddare la febbre sempre più alta del pianeta, l’Europa ha l’obbligo di rafforzare le leve possibili per la riduzione delle emissioni killer, creando economie e lavoro. Tanto più che Trump annuncia anche guerre commerciali con dazi tra 10% e 20% su tutto ciò che entra in America anche dall’Europa e dall’Italia, al 60% dalla Cina e al 25% dal Messico e Canada, ovviamente ridimensionando gli effetti-boomerang sugli Usa.
L’unico spiraglio del discorso trumpista è nell’annuncio che “grazie alla nostra potenza, fermeremo tutte le guerre e porteremo un nuovo spirito di unità a un mondo che è arrabbiato, violento e totalmente imprevedibile”. Speriamo. Ma nel frattempo costruirà “l’esercito più forte che abbiate mai visto…perseguiremo il nostro destino nelle stelle, lanciando astronauti americani per piantare la bandiera a stelle e strisce sul pianeta Marte”. Elon Musk da ceo di Space X in quel passaggio mostrava il pollice in su da “colonizzatore”. Ma in fondo Marte non è il Pianeta Rosso?