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Angeli del fango. In queste ore, 58 anni fa, l’Arno travolgeva Firenze. La “tempesta perfetta” colpiva 1.119 Comuni e si abbatteva su una Italia senza difese idrauliche né Protezione civile. E arrivò l’onda della “meglio gioventù”

 |  Editoriale

Se ci sono eventi nella storia di una comunità che restano impressi come spartiacque tra un prima e un dopo, l'alluvione di Firenze del 1966 è stato certamente uno di questi. E se chiediamo ancora oggi cosa si ricorda di più di quella tragedia, la risposta è sempre la stessa: gli angeli del fango, quelle ragazze e quei ragazzi protagonisti di un’impresa di solidarietà internazionale spontanea senza precedenti.

A coniare quel nome diventato brand mondiale di solidarietà concreta che muove giovani e giovanissimi verso i colpiti da ogni catastrofe, fu Giovanni Grazzini, gran giornalista e scrittore fiorentino che 58 anni fa, sul Corriere della Sera, in una Firenze sott’acqua e nel fango dove c’era anche chi guardava con una certa diffidenza l’arrivo delle avanguardie dei “capelloni”, i ragazzi della beat generation con barbe contestatrici e insieme ai badili le chitarre in spalla, di ragazze per la prima volta libere protagoniste immerse una tragedia epocale che non avrebbero mai più dimenticato. C’era chi storceva il naso di fronte a quell’inizio dell’avventura della meglio gioventù che preparava l’”assalto al cielo” delle proteste studentesche del Sessantotto, e molti di loro da politici o sindacalisti, o esperti furono protagonisti di altre battaglie civili e della nascita delle grandi associazioni del volontariato attivo e poi del sistema della Protezione Civile. Erano, per il perbenismo di quel tempo, felicemente fuori da ogni rigido schema sociale, non catalogabili in una qualche categoria sociologica, e dalla sua città colpita al cuore e stravolta dal suo fiume Giovanni Grazzini, ammonì quei suoi concittadini che mal li sopportavano sul quotidiano scrivendo: “Catoncelli debitamente ipocriti, professionisti di cipiglio, ruderi di cartapecora…D’ora in avanti, che nessuno si permetta più di insultarli: sono stati degli angeli, gli angeli del fango”.

In queste ore, 58 anni fa, un impressionante fiume d’acqua travolgeva a 70 km orari Firenze rovesciando tonnellate di fango, melma e detriti nella culla del Rinascimento. Iniziava l’emergenza per i fiorentini destinati a restare isolati per 4 giorni in una Italia indifesa

Dalla notte del 4 novembre di 58 anni fa una impressionante massa d’acqua travolgeva a 70 km orari oltre 3.000 ettari nella città di Firenze, l’area più estesa mai colpita dalle alluvioni storiche dell’Arno rovesciando tonnellate di fango, melma e detriti, sfondando porte di abitazioni, chiese, musei. Iniziava l’emergenza per i fiorentini destinati a restare isolati per 4 giorni con 35 morti, 70.000 famiglie alluvionate, 6.000 negozi devastati, 20.000 automobili sott’acqua e nel fango, migliaia di officine, fabbriche, laboratori, tipografie, botteghe artigianali e cantine allagate. Mancava tutto: elettricità, acqua, gas, riscaldamento, medicine per chi aveva pazienti a casa, mezzi di comunicazione. La rete dell’acquedotto e delle fognature era stata distrutta, così come le condutture del gas, i cavi dell’elettricità e del telefono.

Firenze era l’epicentro di quella che i meteorologi definirono allora come “la tempesta perfetta”, un evento meteo a larga scala che si scatenò con violenza sul bacino dell’Arno e colpì anche le regioni del nord-est con 1.119 comuni in 34 province da Udine a Brescia, da Padova a Trento e a Venezia dove l’acqua alta toccò la punta massima di tutti i tempi: 1 metro e 94 centimetri.

Il meteo-cataclisma epocale si abbatteva su una Italia senza difese idrauliche, del tutto priva di strutture operative di soccorso - non esisteva ancora il sistema di Protezione Civile - con gli enti scientifici non in grado di prevederne l’evoluzione e con il governo nell’assoluta incapacità di gestire l'emergenza. Lo stesso Prefetto della Firenze alluvionata, Manfredi De Bernart, che aveva alle spalle l’alluvione del Polesine, elencherà in un rigoroso rapporto al Ministero dell’Interno le cause strutturali dell’alluvione: “…il disboscamento da lunghi anni; la mancata o non appropriata coltivazione di numerosi terreni a monte di Firenze; la insufficiente difesa delle arginature; il continuo restringimento dell’alveo dell’Arno a favore di borgate o campi coltivati; l’utilizzazione delle golene esistenti lungo il corso dell’Arno nella città di Firenze con la creazione di manufatti anche di notevole portata; il mancato o limitato –per mancanza di finanziamenti – ripulimento degli argini e dragaggio del fiume lungo il suo corso in città; l’escavazione, da più anni, lungo il corso dell’Arno, a monte di Firenze, di ghiaia e di rena, in forma disordinata e controproducente dal punto di vista tecnico per il formarsi di nuove anse modificatrici delle correnti; il mancato funzionamento di una fognatura, realizzata, a suo tempo, con antiquati sistemi nei rioni più antichi (San Frediano, Santa Croce…)”. 

Ma nell’Italia del 1966 mancavano le carte geologiche e anche i geologi. Attilio Moretti, allora direttore del Servizio Geologico Nazionale, nel dopo alluvione denunciò: “Ho un organico anacronistico, appena 34 geologi di cui solo 7 addetti alla geologia applicata in tutto il territorio nazionale, e questo credo spieghi tante cose”.

Mancava poco allo sbarco sulla luna e anche i sistemi di allerta erano ancora di stampo medievale, limitati alle campane suonate a distesa, al passaparola e per i comuni più previdenti all’altoparlante montato sul cofano delle auto. Lungo l'Arno poi erano stati appena installati 13 pluviometri, presentati pomposamente alla stampa come “Cervelli elettronici, meraviglie del progresso e della tecnologia”. Ma un grande giornalista, Indro Montanelli, nel corso di una sua inchiesta televisiva per la Rai sull’alluvione li definì molto realisticamente “tredici marchingegni artigianali, aggeggi da ridere”, “orologi della pioggia gestiti da contadini che per 9 mila lire al mese avevano il compito di lasciare zappe e sementi e trasferire i dati a Firenze o Pisa”. Quei contadini-custodi dovevano trascrivere le misure raggiunte dall’acqua e poi consegnare due volte la settimana i dati dei livelli del fiume ai distretti militari di Pisa o Firenze.

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I primi soccorritori della Firenze allagata arrivano con l’onda giovanile della prima grande spontanea mobilitazione internazionale. Erano gli angeli, gli angeli del fango

I primi soccorritori della Firenze allagata che sarebbe rimasta senza soccorsi di Stato per 4 lunghi giorni, furono ragazzi e ragazze dell’onda giovanile della prima grande mobilitazione internazionale che spinse tanti a mettersi spontaneamente in marcia verso la città toscana. La solidarietà spontanea ebbe il suo debutto proprio in Italia, nelle vie della Firenze devastata dall’Arno.

Non esistevano ancora le grandi organizzazioni del volontariato organizzato e nemmeno la Protezione Civile, e Firenze fu il primo test della mobilitazione volontaria di un esercito senz’armi e senza divise e pronto per altre imprese e per altre emergenze. Non spalarono solo fango e non salvarono solo milioni di testi e opere d’arte. Furono testimonial di una indimenticabile pagina di storia e passione civile.

Dalle prime ore del pomeriggio del 4 novembre, con il mondo sotto choc per le prime immagini in bianco e nero riprese dall’alto dall’elicottero decollato dalla base di Camp Darby tra Pisa e Livorno e rilanciate dalle televisioni americane e poi ovunque nel mondo, iniziò il passaparola per fare qualcosa per salvare Firenze. I giornali del 5 novembre avevano in prima pagina la notizia dell’alluvione, e il telegiornale Rai della sera iniziò i suoi reportage. Da quel momento, tanti giovani si misero in viaggio. Iniziò una mobilitazione diffusa e spontanea tra scuole e luoghi di lavoro e istituzioni con destinazione la città d’arte nel fango.

I primi volontari riuscirono ad arrivare già all’alba del 5 novembre da diverse città italiane. Poi, nei giorni seguenti, da soli o in gruppi e organizzati alla meglio con zaini in spalla, secchi e badili e anche qualche chitarra, con piccole scorte di medicinali e viveri, tanti trascorsero nel fango giornate, insoliti weekend o intere settimane per aiutare i fiorentini e portare in salvo un patrimonio immenso di cultura e storia. Cercavano amici, colleghi di università, conoscenti, parenti. Molti raggiungevano come prima tappa Palazzo Vecchio che li smistava tra musei, biblioteche, chiese, botteghe e abitazioni. Sapevano cosa fare: rimboccarsi le maniche e aiutare i fiorentini, pulire e spalare melma e fango. La città alluvionata si era auto-organizzata in attesa dei soccorsi di Stato che sarebbero arrivati solo dopo 4 giorni di isolamento. Nascevano i comitati spontanei di quartiere per affrontare la prima emergenza con centri di soccorso e recupero di generi alimentari e medicinali e vestiti aperti nelle Case del Popolo, nelle parrocchie, nelle sezioni di partiti e sindacati.

In quello scenario di emergenza totale, la città iniziò improvvisamente a riempirsi di giovani, studenti, operai, infermieri e medici, insegnanti, impiegati. Scendevano alla stazione di Santa Maria Novella, appena riaperta, o da automobili riempite all’inverosimile per essere autosufficienti, dai primi pullman organizzati dai comuni delle regioni vicine e in particolare Bologna e Roma. Molti avevano capelli lunghi e barbe contestatrici, portavano badili, stivali, scorte di medicinali, viveri, materiali di primo soccorso. Parlavano dialetti italiani, inglese, francese, spagnolo, tedesco, arabo.

C’erano ragazze come la canadese Marika Spence Sales-Ricciardelli, aveva 19 anni ed era iscritta alla facoltà di lingue dell'Università Mc Gill di Montreal: “La notizia dell'alluvione giunse in Canada e ci colpì tutti - raccontò in uno dei tre raduni internazionali organizzati nel 1996, nel 2006 e nel 2016 nel Salone dei Cinquecento - Firenze doveva essere salvata, così la mia università fece una sottoscrizione e un appello al quale io aderii. Partimmo in quindici e ci mandarono alla Biblioteca Nazionale dove rimanemmo per tre mesi. Ricordo un gran freddo”. Da Vienna giunsero Helmut e Susanne Kortan, docenti all’Accademia di Belle Arti che per dieci anni seguirono poi anche alcuni lavori di restauro. "Con i miei venti studenti lavoravamo sulle opere alluvionate, soprattutto sui dipinti del Vasari e sui libri – raccontava Susanne - I dipinti avevano bolle d'aria che si erano formate con l'umidità e il lavoro era molto delicato. Fu una esperienza molto formativa e di grande solidarietà".  Riccardo Romeo Jasinski poi ufficiale della Croce Rossa racconta: “Avevo 14 anni e il nostro piccolo aiuto veniva accolto con gioia, pulimmo appartamenti, cantine e negozi. Ritengo che la nascita del volontariato di protezione civile sia avvenuta in modo spontaneo proprio a Firenze nel ‘66 e poi in tanti altri momenti di dolore”. Salvatore Franchino partì invece da Senise, Potenza, dove faceva il falegname.: “Avevo 25 anni e per una settimana portai cibo a persone bloccate in casa. Dopo mi mandarono alla chiesa di Santa Croce dove partecipai al recupero del crocifisso del Cimabue”. Mario Pantano arrivò con un folto gruppo di universitari bolognesi: “Organizzammo un'imponente catena di soccorritori con 30 pullman che fecero a lungo la spola tra Bologna e Firenze. Era un momento drammatico, ma Firenze da salvare galvanizzò noi studenti, e aiutammo la popolazione più colpita collaborando con due grandi sindaci, Piero Bargellini e il nostro Guido Fanti”. Il peruviano Rodrigo Hidalgo rispose invece all’Sos dei radioamatori fiorentini: “Dopo l’appello partii subito e arrivai a Firenze dove ho dato una mano e vedevo una grande amicizia fra giovani rappresentanti di tutti i popoli del mondo, una cosa bellissima”.  E da Londra arrivò Susan Glasspool, appena laureata in pittura: “Non parlavo italiano. Mi dissero che c’era bisogno di vuotare le cantine e dopo qualche giorno mi mandarono agli Uffizi dove conobbi mio marito, e sono rimasta a vivere qui”.

Lavoravano facendosi largo nell’acqua mista a nafta, tra deiezioni fognarie, suppellettili ridotte in poltiglia, cibo marcito, carcasse di mucche e maiali e altri animali che facevano rischiare epidemie e infezioni. Restavano per ore, anche sedici al giorno, al freddo, alla luce delle candele con badili, secchi e scope. Spostavano carcasse di automobili sballottate, consegnavano su imbarcazioni improvvisate buste di latte e bottiglie di acqua nelle zone ancora allagate, sollevavano con cura antichissimi documenti passandoli di mano in mano per salvarli dalla distruzione, ripulivano cantine, appartamenti, scantinati, officine, librerie, botteghe. Davano braccia per aiutare anziani malati e trasferirli negli ospedali, per spalare il fango dalle strade.

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La città li accoglieva come poteva.  E nella stazione di Santa Maria Novella, su un binario morto 6 carrozze furono trasformate all'istante nell’“hotel su rotaie”, attrezzate come dormitorio

La città li accoglieva come poteva.  E nella stazione di Santa Maria Novella, su un binario morto 6 carrozze furono trasformate all'istante nell’“hotel su rotaie”. Non c'era strada alluvionata, piazza, museo, chiesa, biblioteca dalle quali non uscivano infangati stanchi ma sorridenti squadre dei giovani volontari e tra questi tanti fiorentini e toscani.

Fecero il miracolo alla Biblioteca Nazionale, formando lunghe catene umane e portando in salvo libri, spesso soltanto fogli, preziosissimi materiali storici. Il passaparola fece accorrere centinaia di giovani alla Biblioteca Nazionale per salvare oltre un milione e trecentomila “pezzi” tra libri antichi, raccolte di carte geografiche, di giornali, riviste e manifesti, carte geografiche e topografiche, schede e miscellanee, opere moderne. Ragazze e ragazzi formarono lunghe catene umane. Al freddo e con gli stivali nell’acqua, alla luce di candele e a rischio di polmoniti nei sotterranei allagati prelevavano con delicatezza, come consigliavano gli esperti, i testi ridotti ad ammassi fangosi, diventati pesantissimi e scivolosi blocchi inzuppati, e una volta sollevati li passavano di mano in mano per trasferirli all’aperto in un’epica corsa contro il tempo.

Affiancavano così i coetanei fiorentini, gli studenti universitari, il personale degli ospedali. E poi arrivarono i coetanei di leva, soldati di un esercito che dopo diversi giorni trasferì finalmente uomini e mezzi per combattere la guerra contro il fango schierando a turno reparti con  complessivi 60 mila soldati di leva, gli “angeli in divisa” distribuiti tra Firenze e le altre zone alluvionate dei dintorni con circa 3 mila mezzi, 508 natanti, 5 velivoli e 53 elicotteri. L’Aeronautica impegnò il 15esimo stormo di Ciampino e il 31esimo elicotteri di Pratica di mare con 65 piloti che hanno compiuto 1599 missioni eroiche e quasi impossibili in mezzo alla tempesta salvando 2.465 persone riparate sui tetti. 

Quando le prime foto degli angeli del fango fecero il giro del mondo, dalla sede dell’Onu di New York, il vicepresidente Gabriel d'Arboussier colse l’importanza di quella solidarietà spontanea e lodò "gli uomini di Firenze, d'Italia, d'Europa, d'America, d'Asia, d'Africa che fronteggiano la sciagura in uno slancio di solidarietà per salvare la città toscana, dove riposano tanti geni che hanno illuminato la vita dell'umanità". Ted Kennedy, che giunse a Firenze in quei giorni, scrisse: “Era come se sapessero che l'alluvione di Firenze stava mettendo a rischio la loro anima”. 

Gli “angeli” di allora e quelli di oggi sono il nostro avamposto morale, è l'Italia più bella che si mobilita senza pensare ad altro, sapendo che l'onorificenza massima per loro sarà magari solo un grazie di cuore. È l'anticorpo, l'antidoto alla lamentela e alla rassegnazione, e fortunatamente il nostro è un Paese con un esercito di volontari organizzati in circa 2.500 gruppi locali complessivamente con oltre 1.300.000 volontari, con 60.000 pronti partire nell'arco di pochi minuti in caso di emergenza, e altri 300.000 a scattare subito dopo. Un patrimonio di energie positive.

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A 58 anni da quei giorni di emergenza, la Regione Toscana lancia l’Archivio internazionale della memoria degli angeli del fango”

Va salvato e tutelato ogni ricordo di quella mobilitazione e anche delle successive. Vanno conservati i loro nomi, raccolte e digitalizzate tutte le testimonianze - autobiografie, racconti, diari, memorie private, immagini e video - di quanti da ogni parte d’Italia e del mondo compresi radioamatori, vigili del fuoco, militari di leva, forze dell’ordine, operai di aziende, fiorentini hanno portato soccorsi. L’Archivio metterà poi a disposizione di chiunque voglia approfondire quella testimonianza che oggi rivive nei nuovi “angeli del fango”, giovani e giovanissimi che si mobilitano dopo le più terribili catastrofi. Sarà indicato un sito e un indirizzo web al quale sarà possibile inviare testimonianze. I materiali saranno scannerizzati, catalogati, conservati con processi di digitalizzazione.

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Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.