Skip to main content

Taglio dei gas serra e riscaldamento globale: le promesse dei governi si sciolgono come neve al sole, oltre alla CO2 scarichiamo nell’atmosfera tanta aria fritta e intanto continuiamo a toccare nuovi record di temperatura media terrestre

 |  Editoriale

All’inizio, nel 2010, quelli del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) avevano deciso di realizzare il primo “Emissions Gap Report” (Egr) con l’intento di analizzare il divario tra le misure necessarie per abbassare il livello delle emissioni di gas serra, le politiche effettivamente adottate dagli Stati membri e l’obiettivo di lungo termine della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc). Il documento veniva fatto circolare per lo più tra gli addetti ai lavori, atterrava sulle scrivanie di capi di Stato e di governo, ministri e relativi staff tecnici. 

Qualche anno dopo, man mano che il gap di cui sopra diventava sempre più evidente, i vertici dell’Unep hanno iniziato a spingere su una comunicazione più allargata. Ma la presentazione del documento, che intanto era diventato uno dei più importanti testi di riferimento per i negoziati sul clima, rimaneva sobria, di taglio si potrebbe dire accademico, con copertine che riportavano semplicemente il titolo “Emissions Gap Report” più l’indicazione del relativo anno di riferimento. E sono andati avanti così, al massimo iniziando a mettere un po’ di colore nel 2016, poi ad arricchire un po’ la grafica un paio di anni dopo, a realizzare copertine sempre più movimentate tra il 2019 e il 2020. Intanto, passata una decade dal primo numero, quel divario tra cosa fosse necessario fare e cosa venisse effettivamente fatto non è che desse gran segni di cedimento, mentre invece prendevano forza gli allarmi sui rischi legati al riscaldamento globale. 

Nel 2021 la svolta. Non sulla riduzione di quel gap, ma sulla comunicazione. Quelli dell’Unep iniziano a realizzare copertine in cui viene dato più spazio alla creatività, dal titolo accattivante, come «The heat is on», il riscaldamento è acceso, con l’immagine di un attrezzo metà termometro e metà ciminiera, e il sottotitolo «un mondo di promesse climatiche non ancora mantenute». L’anno successivo è la volta di «The closing window», perché effettivamente dai dati analizzati e comunicati dagli scienziati del Programma Onu per l’ambiente emergeva la necessità di accelerare le misure di decarbonizzazione, perché la finestra per «evitare il disastro climatico» si stava chiudendo. Ma nel 2023 ecco copertina e titolo dedicati al «Broken record», il disco rotto, perché, era la sintesi del report, «le temperature raggiungono nuovi massimi, ma il mondo non riesce a ridurre le emissioni (di nuovo)».

Ed eccoci al nuovo rapporto delle Nazioni unite, «No more hot air… please!», con pupazzo di neve sciolto al sole, perché «con un enorme divario tra retorica e realtà, i Paesi redigono nuovi impegni per il clima». Ma intanto le promesse fatte in questi anni, a giudicare dal contenuto delle dense 78 pagine del documento, si sono sciolte proprio come neve al sole.

Lungo i sei capitoli del report emerge che c’è molta distanza tra il livello delle emissioni globali di gas climalteranti e gli attuali piani di riduzione dei Paesi membri. Questa griglia di valutazione legata alle politiche nazionali, i cosiddetti Nationally determined contributions (Ndc), serve proprio per capire se l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C o ben al di sotto di 2°C (Accordi di Parigi) è ancora perseguibile e soprattutto come fare per colmare il divario. Ebbene, l’immagine del disco rotto, purtroppo, è tutt’ora valida: gli ultimi risultati analizzati dal gruppo di scienziati che portano avanti il Programma Onu sull’ambiente mostrano infatti che le emissioni di gas serra continuano ad andare nella direzione sbagliata, rendendo l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C ancora più difficile. 

Dal rapporto, che giunge tra l’altro a poche settimane dalla Cop29 di Baku e a pochi mesi dalla scadenza del febbraio 2025 entro la quale i Paesi dovranno aggiornare i loro Ndc, emergono tanti, troppi dati allarmanti. A cominciare dal fatto che stiamo andando incontro a un riscaldamento catastrofico: anche se tutti gli attuali Ndc venissero attuati, il mondo è destinato a un riscaldamento di 2,6°C entro la fine del secolo. Senza ulteriori interventi, ovvero a politiche invariate rispetto ad oggi, le temperature potrebbero salire a 3,1°C, con impatti devastanti su economie, ecosistemi e società.

Da questo si capisce come l’azione per il clima debba fare un salto di qualità per essere all’altezza del problema: per rispettare l’obiettivo di 1,5°C, rispetto ai livelli del 2019 le emissioni globali devono diminuire del 42% entro il 2030 e del 57% entro il 2035. Per i 2°C, le riduzioni devono essere del 28% entro il 2030 e del 37% entro il 2035.

Non mancano le luci, nel report, ma le ombre le coprono. Le energie rinnovabili, per dire, stanno già contribuendo a cambiare la situazione, ma si può e si deve fare molto di più: l’energia solare ed eolica potrebbe rappresentare il 27% delle riduzioni delle emissioni entro il 2030 e il 38% entro il 2035, offrendo un contributo determinante.

Nel report dell’Onu viene anche evidenziato che non spingere sulla decarbonizzazione comporta pesanti costi finanziari per le casse nazionali: il raggiungimento di emissioni nette zero entro la metà del secolo richiederà un investimento aggiuntivo di 0,9-2,1 trilioni di dollari all’anno fino al 2050, ma i costi dell’inazione saranno molto più alti a causa di condizioni meteorologiche estreme, mancati raccolti e altri disastri. 

Si legge nel documento: «Il tempo della crisi climatica è arrivato. Con l’intensificarsi a livello globale di incendi, ondate di calore, tempeste e siccità, le nazioni stanno preparando nuovi contributi determinati (Ndc) da presentare all’inizio del prossimo anno, in vista della Cop 30 in Brasile. Le nazioni devono accelerare l’azione ora, mostrare un massiccio aumento delle ambizioni nelle nuove promesse e poi realizzare urgentemente le politiche necessarie. Se non lo faranno, l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di contenere il riscaldamento globale a 1,5°C sarà morto nel giro di pochi anni e quello di contenerlo entro i 2°C prenderà il suo posto nel reparto di terapia intensiva».

Con l’aumento delle emissioni di gas serra a un nuovo massimo di 57,1 gigatoni di anidride carbonica equivalente nel 2023, viene evidenziato nel documento, i tagli richiesti rispetto ad oggi sono maggiori di quanto previsto in passato.

Dice in un videomessaggio di commento al report il Segretario generale delle Nazioni unite, António Guterres, che «stiamo tremolando su una stretta corda planetaria», che non abbiamo più molto tempo a disposizione per applicare le misure necessarie e che «le economie più grandi – i membri del G20, responsabili di circa l'80% di tutte le emissioni – devono guidare questo processo».

Scrive nell’introduzione del rapporto il direttore esecutivo del Programma Onu per l’ambiente, Inger Andersen, «no more hot air, please». Un riferimento alle temperature, ma non solo. Il “basta aria calda” inglese è un po’ il nostro “basta aria fritta”. Basta chiacchiere. 

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.