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Guerra e clima. Top secret le emissioni di gas serra dai 56 conflitti armati nel mondo, cancellati dagli Accordi sul clima. Eppure dall’Ucraina al Medio Oriente oltre ai massacri ci sono anche i danni all’atmosfera

 |  Editoriale

Do you remember la macabra scena cult di Apocalypse Now? Il cinico tenente colonnello William Kilgore che fiuta il Napalm e fa: “Mi piace l’odore del Napalm di mattina. Una volta una collina la bombardammo per dodici ore e, finita l’azione, andai lì sopra. Non ci trovammo più nessuno, neanche un lurido cadavere di Viet. Ma quell’odore… si sentiva quell’odore di benzina. Tutta la collina odorava di vittoria”. Chissà quanti cloni di Kilgore annusano oggi l’odore di morte nell’orrore quotidiano di guerre senza limiti né un “cessate il fuoco” con devastazioni inenarrabili con linee rosse spostate sempre più avanti. Si combatte e si ammazza nella totale escalation con sempre nuovi nuove armi e nuovi esplosivi per distruzioni di massa e soprattutto stragi di popolazioni inermi. Ma c’è anche il danno collaterale e quasi mai considerato dello stupro dell’ambiente e dell’atmosfera per picchi di emissioni che inquinano e spingono sempre più in alto il termometro del riscaldamento globale, alimentando caos e catastrofi. Dagli arsenali militari partono grappoli di missili balistici lanciati verso obiettivi “Short Range Ballistic” sotto i mille chilometri o “Medium” tra i mille e i 3 mila oppure “Intermediate” dai 3 ai 5,5 mila chilometri o gli intercontinentali oltre i 5,5 mila lanciati da terra o da sottomarini d gli ipersonici di ultima generazione a velocità 5 volte superiore a quella del suono o anche i droni armati. Un mondo malinconico e rassegnato guarda attonito dalla tivù la spirale di guerre senza limiti, l'uso selvaggio di bombardamenti a tappeto con bombe e mine che trasformano campi e città nel grigio fumo e seccano e avvelenano terreni per decenni.

Non c’è morale, piuttosto continue sfide a chi semina più morte e distruzioni nei peggiori teatri di guerre come quella iniziata il 24 febbraio 2022 giorno nero dell’invasione della Russia in Ucraina o dal massacro del 7 ottobre in Israele. Siamo intrappolati in un buco nero con costi umani e di ecosistema incalcolabili. Ma nessuno riesce a chiudere i fronti e il Pianeta è circondato da 56 conflitti che non riescono a fare pace, il numero più alto di guerre in corso dalla fine della seconda guerra mondiale.

Quante emissioni di gas serra emettono invasioni, guerre e conflitti armati? Nessuno lo sa. Sono escluse dagli Accordi sul clima

Nessuno sa e non sono indicate negli accordi sul clima nelle Conferenze delle Parti dell’Onu le quantità di emissioni militari killer in atmosfera. I trattati internazionali a partire dal Protocollo di Kyoto del 1997 escludono esplicitamente le emissioni militari dalle contabilità ufficiali delle emissioni di gas serra. Lo fanno su richiesta corale per ragioni di sicurezza nazionale. Nemmeno le successive 28 Conferenze delle Parti delle Nazioni Unite hanno chiesto ai Paesi di determinarle, e in nome della sicurezza si oscura la trasparenza. Ai margini delle Cop, le Ong e le organizzazioni ambientaliste chiedono la loro inclusione nei conteggi ufficiali e nei target di riduzione ma inutilmente. Dal Protocollo di Kyoto del 1997 all’ultimo vertice mondiale della Cop 28 di Dubai, i gas serra militari sono stati esclusi dai vincoli di comunicazione degli Stati e dai trattati e dagli accordi sul clima. Non sono entrate nelle dinamiche dell’accordo di Parigi 2015, e le Conferenze delle Parti delle Nazioni Uniti lasciano liberi gli Stati di contabilizzare le proprie emissioni militari in esercitazioni o in guerra. Fecero un tentativo nella Cop 27 di Sharm el-Sheikh, nel 2022, e aprirono un tavolo collaterale ma fu subito chiuso per scarso interesse o per alti interessi da tutelare come segreti di Stato.

Eppure ogni bombardamento, ogni uso di armi incendiarie, ogni suolo inquinato da sostanze tossiche - metalli pesanti, idrocarburi, solventi organici, fenoli sintetici, cianuro, arsenico... – ogni incendio e deforestazione hanno impatti sul clima. Ogni distruzione di aree industriali, di infrastrutture, di parti di città, per non dire del terrore che corre lungo la schiena quando si minacciano attacchi a centrali nucleari, rilascia sostanze inquinanti e pericolose e sono emissioni dirette in atmosfera. Edifici, fabbriche, ponti e altre infrastrutture distrutte rilasciano il carbonio immagazzinato.

I dati sulle emissioni militari non sono spesso calcolati e quando lo sono non vengono divulgati per motivi di sicurezza nazionale. Nemmeno i consumi di carburante di mezzi e automezzi militari di cielo, di terra e di mare che si traducono in altre massicce dosi di emissioni di CO2, come quelle calcolate da team di ricercatori olandesi nei soli primi 7 mesi di guerra in Ucraina con 100 milioni di tonnellate di CO2 equivalente emesse. Tuttavia, ci sono eccezioni sorprendenti. Se nel 2019, uno studio della prestigiosa Università di Durham nel Regno Unito ha stimato che le forze armate statunitensi emettevano più gas serra di paesi come Svezia o Portogallo, con emissioni annuali da oltre 59 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, oggi il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ammette di essere uno dei maggiori consumatori di combustibili fossili al mondo e che contribuisce alle emissioni di gas serra. Lo stesso Ministero della Difesa del Regno Unito pubblica un report annuale sull’impatto ambientale delle forze armate con dati sulle emissioni di gas serra che indica nel 2020 emissioni totali dichiarate pari a 3 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Sappiamo che sono state attivate misure per ridurle attraverso l’uso di energia da fonti rinnovabili nelle basi militari e nell’efficienza nei trasporti. Paesi Nato come Francia e Germania oggi cominciano a considerare le emissioni militari nei loro piani di decarbonizzazione.

Al momento restano sotto-quantificate le emissioni militari nei rapporti nazionali sui cambiamenti climatici. Anche se stime a livello globale indicano tra 1,6 e 3,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, ovvero tra il 3,3% e il 7% delle emissioni globali, paragonabili a settori come quelli delle costruzioni e dell'industria. Il settore militare emerge in media come responsabile del 5,5% delle emissioni globali di gas serra dai dati elaborati nel 2022 da “Scientists for global responsability”. Il rapporto “Less War, Les Warming: a Reparative Approach to US and Uk Military Ecological Damages”, pubblicato dal think tank Common Wealth e Climate and Community Project, indica costi sociali per le emissioni pari a 106 miliardi di dollari per le forze armate americane e a 5 miliardi per quelle inglesi per "risarcimenti climatici" verso i paesi a basso reddito e più colpiti dal cambiamento climatico. Il costo sociale e degli impatti sulla salute, del resto, è enorme se pensiamo al Bikini Atoll nelle Isole Marshall sede di test nucleari degli anni '40 e '50 o all'Iraq teatro della guerra del Golfo dove l'uso di uranio impoverito causa malattie e malformazioni alla nascita.

Su “Le Scienze” Elisa Palazzi che insegna fisica del clima all’Università di Torino, da uno studio dell’anno militare 2019 rileva l’impronta di carbonio dell’apparato militare italiano tra 1,5 e i 2,5 milioni di tonnellate all’anno, come quelle di una città come Torino. 

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E i residui tossici inquinano anche l’acqua e le catene alimentari. Percolando dal suolo raggiungono rapidamente falde, fiumi e laghi e uccidono animali

Quando si bombardano dighe rendendo inutilizzabili milioni di ettari agricoli, quando esplodono fabbriche che contaminano le acque con sostanze tossiche, quando si deviano fiumi per allagare aree civili, quando si azzera la disponibilità di acqua minando le stazioni di pompaggio che sono tra i primi target di incursori, le ripercussioni sono enormi. Come gli incendi provocati dai bombardamenti che distruggono vegetazione e habitat rifugio per un gran numero di specie. L’elenco delle perdite è lunghissimo e terribile.

A Gaza dove dopo l'orrenda strage di Hamas contro Israele le distruzioni israeliane sono totali con circa 40 mila morti, uno studio pubblicato su “Social science research network” stima una quantità di emissioni di gas climalteranti pari a 281mila tonnellate di CO2, superiori alle quantità rilasciate in atmosfera in un anno da 20 Paesi. Prima dell’invasione dell’Ucraina, nella guerra nel Donbass dal 2014 furono distrutte fabbriche e miniere con fuoriuscite tossiche e inquinamento dell'ambiente e alle acque sotterranee. E oggi gli intensi bombardamenti hanno causato vastissimi incendi di foreste e habitat di 6.808 aree naturali protette con circa il 35% della biodiversità continentale Europea. Sono oltre 280.000 gli ettari di foreste incenerite con milioni di animali morti e specie ridotte nel numero per inquinamento o perdita di areali come l'orso bruno euroasiatico, la lince euroasiatica, il bisonte europeo, numerose specie di uccelli. Si calcolano circa 50.000 cetacei morti per il passaggio delle navi militari e per i bombardamenti in mare e lungo le coste dove esplosioni e rumore li disorientano decretandone la morte. In Ucraina molti terreni saranno inutilizzabili a lungo per ordigni inesplosi o presenza di sostanze tossiche a partire dal fosforo bianco.

Ricordiamo i pozzi petroliferi incendiati nella prima guerra del Golfo 1990-1991? Per i climatologi aumentarono del 4% le emissioni globali di CO2 da combustibili fossili in quell'anno. Ben 700 milioni di litri di petrolio sono stati riversati nel Golfo Persico e circa 300 km di costa del Kuwait e dell’Arabia Saudita furono coperti di greggio, con inquinamento di zone umide e paludi e morie di milioni di animali. Gli iracheni sabotarono circa 600 pozzi di petrolio incendiandoli e questi hanno rilasciato nell’atmosfera circa mezzo miliardo di tonnellate di anidride carbonica inquinando l’aria fino in India. E durante le tempeste di sabbia le particelle black carbon si sono depositate persino sui ghiacciai tibetani accelerando la loro fusione.

La seconda guerra in Iraq con i bombardamenti del 2003 distrusse i sistemi idrici e igienico-sanitari di molti centri abitati con milioni di tonnellate di liquami scaricati nei fiumi o dispersi nell’ambiente. In quella guerra, come nel conflitto nei Balcani, furono utilizzate munizioni all’uranio impoverito che perforavano blindature poiché nel punto di impatto raggiunge temperature di oltre 4mila gradi e, come spiega Matteo Guidotti chimico del Cnr, “generano nano e microparticelle di ossido di uranio, un metallo pesante che, se inalato, passa le barriere degli alveoli polmonari e le membrane intestinali, andando a contaminare l’intero corpo. È da questo che sono nati i famosi casi della ‘sindrome della guerra del Golfo’, una malattia cronica che ha colpito prima di tutto i combattenti”.

La guerra in Vietnam 1961-1975 ha incenerito circa 325.000 ettari di superfici, in particolare foreste di mangrovie con immensa biodiversità, con quasi 2 milioni di ettari del Vietnam del Sud trattati con Napalm e altre sostanze altamente tossiche che hanno raso al suolo intere foreste pluviali. Uno dei massimi studiosi di impatti come Matteo Guidotti dell'Istituto di scienze e tecnologie molecolari del Cnr, calcola per il solo Vietnam 380.000 tonnellate di bombe al Napalm lanciate, con ogni bomba che in media ha incenerito 2.000 metri quadrati di verde, oltre all’uso dell'”Agente arancio” con altre bombe che bruciano vegetazione con composti diserbanti e defoglianti e diossina sparsi per 72 milioni di litri. E sono circa mezzo milione i bambini di allora che hanno sviluppato malattie genetiche, malformazioni e problemi oncologici.

Ha buone ragioni il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a pronunciare oggi parole di fuoco: “Le conseguenze della guerra russa in Ucraina non solo rischiano di distruggere i mercati alimentari ed energetici globali, ma potrebbero anche minare l’agenda climatica globale. Se i paesi risponderanno all'aggressione della Russia aumentando il proprio uso di combustibili fossili, il conflitto rischia di allontanarci dal raggiungimento degli obiettivi globali sul clima.” Così è stato e così è. Perché anche la crisi energetica seguita all’invasione dell’Ucraina con il boicottaggio del gas russo ha visto aumentare a dismisura l’uso dei combustibili fossili dalle fonti più inquinanti e climalteranti. La guerra ha anche questo lato oscuro dell’impatto devastante sul clima.

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Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.