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Il governo non ha rispettato gli impegni previsti dalla Red III sulle rinnovabili, ecco perché la Commissione Ue ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia

 |  Editoriale

Dopo la bocciatura delle imprese italiane del settore energia, sulle rinnovabili il governo Meloni ha incassato anche una lettera di richiamo formale da parte della Commissione europea. Nella missiva arrivata da Bruxelles si punta il dito sul fatto che l’Italia non ha recepito completamente nel diritto nazionale le disposizioni della direttiva riveduta - la cosiddetta Red III approvata nel novembre 2023 - relative alla semplificazione e all’accelerazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti di energia da fonti rinnovabili (Fer).

La Commissione europea ha deciso di avviare una procedura d’infrazione nei nostri confronti perché avremmo dovuto accogliere entro il 1° luglio scorso nel nostro ordinamento quanto previsto nel 2023 a livello comunitario. Palazzo Chigi ha sì varato il Testo unico sulle rinnovabili all’inizio di agosto. Ma al di là delle critiche mosse fin da subito da Elettricità futura - associazione aderente a Confindustria che rappresenta il 70% della filiera elettrica nazionale - e da svariate sigle ambientaliste, critiche basate soprattutto sul fatto che il decreto anziché semplificare complica ulteriormente i passaggi burocratici, sulla questione il governo ha dimostrato precise manchevolezze che non sono sfuggite a Bruxelles. La Commissione europea, nella lettera formale di avvio della procedura d’infrazione, segnala che l’Italia non ha recepito nei tempi concordati le procedure di autorizzazione per i progetti dedicati a eolico e fotovoltaico. «La RED rivista (Direttiva 2023/2413 che modifica la Direttiva 2018/2001) è entrata in vigore nel novembre 2023 – si legge nella missiva– e alcune disposizioni dovevano essere recepite nel diritto nazionale entro il 1° luglio 2024». Queste disposizioni, sottolineano da Bruxelles, «includono misure per semplificare e accelerare le procedure di autorizzazione sia per i progetti di energia rinnovabile che per i progetti infrastrutturali necessari per integrare l’energia rinnovabile aggiuntiva nel sistema elettrico». Includono anche limiti di tempo chiari per le procedure di concessione dei permessi mirati a tecnologie o tipi di progetti specifici, la specifica che i progetti di energia rinnovabile e la relativa infrastruttura di rete siano di interesse pubblico generale e altro ancora. 

L’Italia non è il solo paese Ue oggetto di avvio di procedura d’infrazione, e anzi solo la Danimarca si è distinta per aver notificato il recepimento completo di queste disposizioni entro la scadenza legale del 1° luglio. Ma in questo caso né vale il detto «mal comune mezzo gaudio» né l’Italia può sperare che la situazione migliori dopo il varo da parte di Palazzo Chigi del Testo unico sulle rinnovabili, ora all’esame del Parlamento. 

Il nostro Paese ha adesso due mesi di tempo per rispondere al richiamo di Bruxelles e completare le procedure concordate a livello comunitario. Scaduto il termine e in mancanza di una risposta soddisfacente da parte del governo Meloni, la Commissione Ue può portare avanti la procedura di infrazione emettendo un parere motivato.

Proprio Elettricità futura, che da tempo chiede correttivi al decreto rinnovabili messo a punto dall’esecutivo, sottolinea che «il recepimento rapido e in linea con i principi stabiliti dalla Red III è fondamentale per consentire all’Italia di superare gli ostacoli normativi e burocratici che frenano lo sviluppo di impianti rinnovabili e delle reti, e per raggiungere i target 2030».  La direttiva impone obiettivi vincolanti, compreso quello di coprire con fonti rinnovabili entro il 2030 almeno il 42,5% del consumo energetico totale dell’Ue. E tra l’altro, per limitare l’analisi al solo caso italiano, noi per centrare il target decarbonizzazione nei tempi previsti dovremmo installare sul nostro territorio circa 12 GW l’anno di nuovi impianti Fer. Come ricorda anche Elettricità futura, c’è solo un modo per non mancare l’obiettivo del 2030, ed è quello di imprimere «un’accelerazione decisiva nel rilascio delle autorizzazioni per i progetti della transizione del settore elettrico». 

Vedremo nelle prossime settimane se la maggioranza parlamentare chiamata ad esprimersi sul Testo unico varato dall’esecutivo seguirà questa strada e anche come il governo intenderà rispondere al richiamo di Bruxelles.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.