Onu, G7, G20 e COP clima senz’acqua. La risorsa per la vita, prima vittima del clima, prima causa di eventi meteo estremi e migrazioni, primo indicatore di inquinamenti e altri rischi, è assente da trattati e negoziati
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha nominato la ministra degli affari esteri della Repubblica di Indonesia Retno Marsudi come prima inviata speciale per l'acqua. Dovrà coordinare “gli sforzi globali per promuovere l'Agenda internazionale sull'acqua dopo la UN Water Conference 2023”. Speriamo sia quel passo in avanti per la ricomparsa dell’acqua nelle negoziazioni internazionali, nei summit e nelle agende globali, dalle quali sostanzialmente è stata espulsa. Conferenze annuali delle Parti sul clima, G7 o G20, sessioni dell’Onu, e programmi dei governi, a partire dal nostro, continuano a non considerarla come una questione strategica per la sopravvivenza.
Nell’indifferenza si aggravano lo stato qualitativo e gli effetti negativi. Anche le guerre in corso danno un micidiale contributo aumentando i livelli dell’avvelenamento della risorsa principale. Ma le acque fanno da discarica, ingoiano tonnellate di plastica che finiscono ogni anno nei mari e negli oceani dove si frammentano in micro e nanoplastiche facilmente ingerite da pesci, uccelli e altri organismi marini. Vengono sversate sostanze chimiche come pesticidi, fertilizzanti, detergenti e scarichi industriali tossici e inquinanti, fiumi di petrolio con effetti devastanti sulla fauna marina le coste. Tutto riduce biodiversità, minaccia specie marine, habitat e reti alimentari e ovviamente la nostra salute.
E aumenta l’indifferenza globale verso la grande questione globale e locale dell’acqua, nonostante l’acqua sia il primo indicatore dei rischi e la prima vittima del riscaldamento climatico e oggi propulsore di catastrofi. Un autogol clamoroso e un bel paradosso.
Pianeta Terra o Pianeta Acqua? Due terzi di superficie del Globo dimenticata
Verrebbe spontaneo chiedersi perché stiamo chiamando “Terra” il solo corpo celeste che lascia senza fiato gli astronauti di fronte al suo brillante blu, che vira verso l’azzurro mare nel buio spaziale? Il suo nome dovrebbe istintivamente essere «Pianeta Acqua» o magari «Pianeta Azzurro». Quanto sarebbe utile chiamare così il nostro Pianeta sotto i colpi della prima crisi climatica richiamando l’acqua fonte di vita? Forse cambiare nome al Pianeta ridurrebbe la nostra smemoratezza e aumenterebbe la nostra consapevolezza dell’immenso valore della risorsa da tutelare ad ogni costo. Sarebbe buono e giusto anche prendendola dal punto di vista della supremazia dell’acqua che sovrasta e ricopre i due terzi di superficie della nostra Biglia Blu. Sui complessivi 510.065.285 kmq di superficie planetaria, le terre emerse occupano infatti 148.939.063 kmq, appena il 29,2%. L’acqua domina il Pianeta per oltre i due terzi, per 361.126.222 kmq, il 70,8%, una immensità liquida talmente vasta che rende poco realistico il nome «Terra» dell’unico Waterworld dell’Universo conosciuto.
Oceani e mari sono in continuo riscaldamento dagli ultimi 40 anni
L’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, il mega-team scientifico mondiale composto da 2.000 scienziati di tutti i Paesi del mondo, e l'Organizzazione meteorologica mondiale, stimano il riscaldamento dello strato oceanico fino a 750 metri di profondità in aumento costante da 40 anni, e dal +0,09 °C iniziale è aumentato in ogni decennio ad una media di +0,13 °C. Oggi calcolano un aumento medio della temperatura globale anche oltre gli sconvolgenti 4 °C entro la fine secolo. Ma nel 2015 il summit mondiale di Parigi sul clima fissò la soglia limite da non superare a 1,5 gradi, che potremmo superare già tra il 2030 e il 2040 per il continuo aumento di gas serra con il rilascio di anidride carbonica CO₂ e altri gas nell'atmosfera. Anche le guerre in corso aumentano le emissioni, con l’uso di enormi quantità di combustibili fossili, esplosivi, con deforestazioni su larga scala e distruzioni di ecosistemi.
In questo scenario l’aumento del calore degli oceani e del mare genera produzioni di super-energia con bolle di calore e umidità che evaporando dalle acque, e scontrandosi nella bassa atmosfera con le correnti più fresche, innescano contrasti termici che alimentano eventi meteo estremi con uragani, cicloni, tifoni, flash flood con sempre più elevate dimensioni, magnitudo e frequenza.
L’aumento del riscaldamento oceanico, calcolato da 2 a 4 volte in più sulle medie registrate fino al 1970, e fino a 7 volte in più in uno scenario con emissioni elevate di CO2 senza misure di contenimento, ci obbligherà a far fronte a inediti problemi. Tra questi, le riduzioni di habitat marini vegetali e di ecosistemi costieri cosiddetti blue carbon (mangrovie, paludi salmastre e praterie di fanerogame marine) che sono eccellenti sistemi “stoccaggio” naturale di carbonio smaltiti fino a 1000 tonnellate per ettaro dalla loro funzione di “spugne assorbenti” di calore eccessivo.
Anche gli enormi flussi di acqua dolce dovuti allo scioglimento di ghiacci, iceberg e manto nevoso, oltre ad innalzare il livello delle acque marine, disorientano le specie marine soprattutto lungo costa, dove il calore delle acque aumenta di più. Così merluzzi, sgombri, aringhe e altre specie di pesci migrano in cerca di acque più fredde e all’inseguimento del loro cibo preferito, i piccoli crostacei copepodi, anch’essi in fuga per la sopravvivenza. Le migrazioni di stock ittici influisce sulla pesca locale e la riduzione della capacità di assorbimento di CO2 provoca l’aumento di acidità delle acque – in 150 anni è stato del 26%, con uno scatto nell’ultimo mezzo secolo –, condizionando ulteriormente le catene alimentari marine.
Altri effetti sono verificabili sugli organismi con esoscheletri come conchiglie, mitili, coralli, ostriche e sulla fotosintesi delle piante acquatiche. La trasformazione più visibile è lo sbiancamento di alcune fasce di barriera corallina, provocata dallo stress termico negli oceani Pacifico e Indiano.
A velocità ridotta il “Circuito oceanico globale” che mitiga il calore dell’atmosfera
Un altro impatto del clima è la riduzione della formidabile capacità dell’acqua nella cattura di CO2, il vero pronto soccorso per l’umanità che non solo garantisce oltre il 50% dell’ossigeno che respiriamo ma elimina una media di 3 giga-tonnellate di carbonio all’anno, quasi un terzo delle emissioni prodotte da attività antropiche, e regola il clima con lo stoccaggio del 93% del calore prodotto dalle attività antropiche.
Negli oceani onde, maree e correnti sono tre fenomeni per noi vitali. Il carbonio assorbito in superficie viene incanalato nelle correnti marine profonde e negli enormi vortici, gli eddies, che nelle profondità formano “imbuti” nei quali viene canalizzata l’anidride carbonica per essere trattenuta sul fondo. Scorrono poi, come circuiti liquidi per migliaia di chilometri, imponenti masse d’acqua oceaniche spinte dalle correnti di profondità che rallentano il global warming rimescolandosi e scambiando acqua incessantemente dall’alto in basso e da un continente all’altro. Senza questi trasferimenti, le temperature del pianeta renderebbero pressoché inabitabili molte aree oggi densamente popolate.
Il clima planetario è quindi in larga parte mitigato proprio dall’influenza di queste possenti correnti, che trasportano anche nutrienti come il fitoplancton alla base della rete trofica marina, assorbendo il 25% dell’anidride carbonica. Sono flussi giganteschi in tutte le direzioni come il circuito dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation (Amoc) che equilibra gli sbilanciamenti di calore e di energia tra diverse aree del pianeta, trasportando in superficie l’acqua più calda verso i mari più freddi e spostando in profondità acqua fredda verso i mari più caldi, con l’energia termica che passa così dai tropici e dall’emisfero australe verso l’Atlantico del Nord, regolando le condizioni climatiche continentali. Ma l’impatto dell’aumento della temperatura globale sulla forza di questo flusso è già disastroso, e si calcola un rallentamento del 15%, e entro fine secolo potrebbe essere frenato dal 34% al 45%.
Lo stesso rischio per la Corrente del Golfo, altro benefico fenomeno oceanico che produce lo straordinario effetto di rendere l’Europa più calda degli Stati Uniti pur essendo due continenti alle stesse latitudini. Trasporta il potente getto d’acqua più calda dal Golfo del Messico alla confluenza delle correnti marine delle Antille e della Florida, attraversando l’Atlantico del Nord spostando 74 milioni di mc d’acqua al secondo, dirigendosi verso le Canarie e poi chiudendo il circuito nel Golfo del Messico. Solo grazie a questo interscambio di acque, di calore e di energia dalle aree tropicali a quelle polari, i porti della Norvegia possono essere sgombri dai ghiacci.
Le correnti oceaniche sono essenziali anche alla vita marina. Fanno salire in superficie tutta la ricchezza di sostanze nutrienti che giacciono sul fondo come semi, uova, larve, cisti e spore. Dalle regioni polari e sub-polari trasferisxono plancton, il “cibo dei pesci”, seguite da una scia di specie marine che rendono pescosi i mari toccati.
Il clima italiano? Un tempo mitigato dal Mediterraneo, oggi in balìa del clima
Anche il Mediterraneo ha sempre fatto la differenza climatica con un impareggiabile ruolo di regolatore. L’antico mare addolciva le nostre stagioni rendendole le più invidiabili del mondo, perché mitigava il clima con la temperatura media superficiale delle sue acque intorno ai 12°C, regalando al nostro Paese il leggendario «clima temperato» gradevole e sempre prevedibile, dolce e termoregolato dalle sue acque capaci di trattenere il calore estivo in eccesso, rilasciandolo nel periodo invernale. Un privilegio che ci faceva vivere estati secche ma ben ventilate, e inverni freddi e piovosi ma con temperature decisamente confortevoli.
Oggi, il riscaldamento climatico ha stravolto anche le dinamiche del nostro bacino marino semichiuso e comunicante con l’oceano Atlantico dallo stretto di Gibilterra, e con l’oceano Indiano dal mar Rosso attraverso il canale artificiale di Suez, e scambia le acque con il mar Nero attraverso lo stretto dei Dardanelli e il mar di Marmara dallo stretto del Bosforo. L’intera superficie è di 2.505.000 kmq, con profondità media di 1500 metri e la salinità dal 36,2 al 39%. È il mare dei 3 continenti – Africa, Asia ed Europa – dove vivono circa 450 milioni di persone, che sta perdendo man mano quella sua funzione di essere area marina di transizione, invalicabile confine climatico tra le aree tropicali e le medie latitudini.
Da termoregolatore del clima, rilevano i monitoraggi del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), è diventato uno dei «laboratori» degli effetti del riscaldamento globale. Oggi le temperature nel bacino mediterraneo corrono ad una velocità del 20% superiore alla media globale. E che alcune variabili climatiche siano ormai compromesse, lo dimostra l’indebolimento fino alla quasi scomparsa dell’effetto-cuscinetto dell’anticiclone delle Azzorre, che lascia penetrare sull’Italia ondate di calore africane persistenti come in questa nostra estate “tropicalizzata”, con temperature persistenti intorno ai 40 gradi. Essere diventata una penisola un hot spot di effetti climatici globali provoca un set di nuovi problemi da gestire. Prima che sia troppo tardi.