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Taglio del debito pubblico e transizione ambientale e digitale: la ricetta di Panetta per Italia e Ue

 |  Editoriale

Un’Europa che deve investire nella transizione ambientale e digitale. E un Paese, il nostro, per il quale è decisamente d’obbligo e quantomai urgente ridurre il debito pubblico. L’intervento con cui Fabio Panetta ha delineato il quadro economico e sociale dell’Italia e dell’Unione europea non rappresenta soltanto una puntuale analisi della situazione attuale. Dal governatore della Banca d’Italia è arrivato più di un monito sui rischi che corriamo, sia a livello nazionale che comunitario, se non vengono sciolti i nodi che ancora frenano l’integrazione europea e, per restare entro i nostri confini, una non più rinviabile e ancora troppo debole crescita economica. 

Prima di tutto, gli investimenti: «I leader europei hanno già individuato i settori chiave su cui concentrare l’impegno: la doppia transizione – ambientale e digitale – e comparti strategici come l’alimentare, l’energia, la sanità e la difesa, nei quali è necessario ridurre la dipendenza dall’estero», ha detto Panetta intervenendo al Meeting di Rimini, che tradizionalmente segna un po’ la ripresa dell’attività politica dopo la pausa estiva. Gli investimenti in questi settori, ha sottolineato il governatore di Bankitalia, saranno efficaci se realizzati «a livello europeo, con fondi sia pubblici sia privati» perché la spesa richiesta per raggiungere gli obiettivi è nell’ordine delle centinaia di miliardi di euro all’anno, e dunque «è irrealistico pensare che le sole finanze pubbliche o i singoli paesi possano sostenerla da soli». Servirà dunque nei prossimi anni, è la tesi espressa di fronte alla platea di Rimini, «un approccio coordinato a livello europeo».

Ma se Panetta - che prima di assumere l’attuale incarico, è stato membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea (Bce) - ha centrato molto il suo intervento sul tema dell’integrazione comunitaria e le maggiori sfide che dovrà affrontare nei prossimi mesi l’Unione europea, una parte molto importante del suo discorso ha riguardato il nostro Paese. E non solo perché tale impostazione potrebbe essere imposta dalla sua attuale carica di governatore di Bankitalia, ma soprattutto perché, come ha sottolineato nel suo intervento, oggi «molte delle debolezze strutturali dell’economia europea si ritrovano nell’economia italiana».

Già nelle “Considerazioni finali” pronunciate lo scorso maggio, Panetta aveva sottolineato i «problemi strutturali che da un quarto di secolo frenano il nostro sviluppo»: «Dalla bassa crescita all’insoddisfacente andamento degli investimenti, dalla stagnazione della produttività fino alla preoccupante prospettiva demografica». Un fenomeno, quest’ultimo, su cui già l’Istat ha evidenziato dati allarmanti, considerato che entro il 2040 le persone in età lavorativa saranno circa 5 milioni e mezzo in meno di oggi e che pur tenendo conto dei circa 170 mila immigrati che ogni anno si aggiungeranno alla nostra forza lavoro, per quella data il nostro Pil si ridurrebbe del 13% in termini aggregati e del 9% in termini pro capite. 

Partendo da questi dati, Panetta già tre mesi fa aveva sì sottolineato i «segnali di vitalità» emersi all’indomani della stagione segnata dalla pandemia da Covid-19, aveva sì evidenziato che investimenti, occupazione e crescita «hanno mostrato una ripresa» e detto che ciò ci consente di «guardare al futuro con fiducia». Ma, ha proseguito ora il discorso Panetta, non bisogna «indulgere in eccessi di ottimismo» ed è invece necessario insistere negli sforzi per «costruire uno sviluppo sostenuto, duraturo e inclusivo». Non a caso ha insistito su questo tasto, il governatore di Bankitalia, nel suo intervento al Meeting di Rimini: «La crescita resta l’obiettivo fondamentale per l’Italia, ma per ottenerla dobbiamo affrontare con decisione i problemi strutturali irrisolti. Dobbiamo concentrarci sulle finalità essenziali: rafforzare la concorrenza, potenziare il capitale umano, accrescere la produttività del lavoro, aumentare l’occupazione di giovani e donne, definire politiche migratorie adeguate». E poi: «Il problema cruciale rimane la riduzione del debito pubblico in rapporto al prodotto. Un debito elevato rende più onerosi i finanziamenti alle imprese, frenandone la competitività e l’incentivo a investire. Espone l’economia italiana ai movimenti erratici dei mercati finanziari. Sottrae risorse alle politiche anticicliche, agli interventi sociali e alle misure in favore dello sviluppo». 

E infine la stoccata finale, che arriva dal palco che tradizionalmente segna il riavvio delle attività politiche dopo le settimane di chiusura del Parlamento. E che arriva, soprattutto, in giornate in cui sugli organi d’informazione si discute la notizia che il debito pubblico italiano ormai sta toccando la preoccupante asticella dei 3 mila miliardi di euro, in giornate in cui le cronache raccontano delle difficoltà del ministero dell’Economia nell’impresa di far quadrare i conti e preparare la manovra d’autunno. Ecco la frase che consegna Panetta non solo alla platea di Rimini ma anche ai membri del governo e agli esponenti della maggioranza, presenti o meno al Meeting, che stanno preparando l’agenda per i prossimi Consigli dei ministri e le prossime sedute parlamentari: «L’Italia è l’unico paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione. Sottolineo questo confronto perché è emblematico di come l’alto debito stia gravando sul futuro delle giovani generazioni, limitando le loro opportunità. Affrontare il nodo del debito richiede politiche di bilancio orientate alla stabilità e al graduale conseguimento di avanzi primari adeguati. Tuttavia, la riduzione del debito sarà ardua senza un’accelerazione dello sviluppo economico. La strada maestra passa per una gestione prudente dei conti pubblici, affiancata da un deciso incremento della produttività e della crescita. Questo circolo virtuoso aumenterebbe significativamente le probabilità di successo e rafforzerebbe la credibilità delle nostre politiche, alleggerendo il peso della spesa per interessi».

Commenti positivi da destra, riguardo l’intervento del governatore di Bankitalia, non sono mancati. Nel corso delle prossime settimane si vedrà se alle parole seguiranno i fatti.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.