Skip to main content

Si possono prevedere i terremoti? Ancora no. Ma nel frattempo all’Italia sismica serve l’antisismica per 5 milioni di edifici a rischio lesioni o crolli per scosse. La lezione dimenticata di Zamberletti

 |  Editoriale

Il 13 agosto del 2018, Giuseppe Zamberletti, il “papà” della miglior Protezione civile del mondo che ha fatto nascere con la legge del 24 febbraio 1992 n. 225, sembrava il più arzillo degli ottantacinquenni. In realtà era molto malato, e il 26 gennaio del 2019, alle 23, il suo cuore non ce l’avrebbe fatta. Mi consegnò, quel giorno, una sua riflessione sul “che fare” nel Paese-show room mondiale dei grandi rischi naturali ma talmente fatalista e smemorato da rimuoverli, che conservo nel cuore.

Zamberletti era un democristiano dalla tempra di ferro. “Zambo” per gli amici, “Zorro” per i radioamatori, si è battuto come un leone per la nascita di un modello di soccorso e di prevenzione strutturale permanente e in grado di affrontare con piani, programmi e organizzazione anche la fase del “prima” di un evento. Provò sulla sua pelle il costo della disorganizzazione nei soccorsi e, da gran fumatore, tra una sigaretta e l’altra mi spiegava la sua mission che a tanti sembrava impossibile perché “non ne possiamo più di contare solo i morti e dobbiamo proteggere i vivi, raggiungere un rischio accettabile e gestibile”. La sua “grande guerra” è stata la tragedia immensa del Friuli sconquassato dalla cannonata sismica di magnitudo 6,4 e del decimo grado della scala Mercalli alle 21.06 del 6 maggio 1976. Fece contare 989 morti, oltre 3.000 feriti, 189 mila senzatetto, distrusse 10.500 case in 137 Comuni. In meno di un minuto crollarono Maiano, Buia, Gemona, Osoppo, Magnano, Artegna, Colloredo, Tarcento, Forgaria, Vito d'Asio, Venzone e tanti paesini e frazioni di montagna. Allora non esistevano piani di emergenza e soccorsi organizzati, e i primi soccorritori si muovevano sulla base delle indicazioni fornite dai giornalisti sul campo. Lo ricordava bene Zamberletti, all’epoca Sottosegretario agli Interni e nominato immediatamente Commissario all’emergenza Friuli: “La verità? - diceva - Non esistevano piani nemmeno per la scelta delle aree dove localizzare le tendopoli per le migliaia di sfollati e talvolta l’ubicazione era tale da esporre le persone a rischi ulteriori, come l’allagamento da parte dei fiumi. Da quel terremoto nacque l’idea dei piani comunali della Protezione civile, con aree predefinite lontane dai rischi”.

L’emozione fu enorme, la scossa colpì il mondo. L’Italia la seguiva in diretta tv, incollata allo schermo per giorni, settimane, a guardare la vita tra le macerie, nelle tendopoli, le sofferenze per i morti, il terrore di nuove scosse. Apparve chiaro che c’era bisogno di una catena di comando e di un capo in grado di muovere l’intera macchina statale e locale. Così, sulla scena della tragedia, gli affidarono i pieni poteri di comando: “Mi trovai in una situazione da fine del mondo - raccontava - E l’ho anche scampata bella quando accompagnai Andreotti in visita ai paesi colpiti. Pioveva, faceva freddo, i terreni erano inzuppati d'acqua, le tendopoli erano allagate, e una vecchina, in mezzo al fango, si tolse uno zoccolo e lo tirò contro di noi ma colpì Andreotti in fronte. Lui non disse niente, si tolse il fango dalla faccia, e proseguimmo in silenzio. Arrivati sotto l’elicottero, mi disse: “Io torno a Roma, tu ti fermi qui”.

Giuseppe_Zamberletti.jpg

Ma iniziò a cambiare tutto. In 5 mesi realizzarono 25.000 alloggi prefabbricati. La ricostruzione sarebbe durata 15 anni, e il Modello Friuli mise il Paese e la politica di fronte alla possibilità concreta di una svolta.

Zamberletti riuscì a creare il Dipartimento nazionale della Protezione civile, in grado di muovere e gestire in emergenza tutte le forze operative e ben addestrate a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ricordava come fin dall’inizio bisognava “allargare, anzi dilatare enormemente il concetto di sicurezza civile, scegliendo proteggere maggiormente i vivi «prima» che i disastri si verificassero, piuttosto che intervenire solo «dopo», pur tempestivamente, a contare i morti”. Ma passare dal concetto del soccorso post-evento alla prevenzione strutturale è rimasto il grande gap dell’Italia. Messo platealmente in mostra dal carico della elevata vulnerabilità dell’edilizia, in parte abusiva e tirata su alla bell’e meglio dalla fine degli anni Sessanta, che non regge i colpi del sisma. Rifletteva Zamberletti, una sigaretta via l’altra: “Dalle classificazioni delle zone sismiche all’emanazione di norme stringenti per l’edilizia, ai problemi irrisolti dell’assicurazione privata contro i rischi, si fatica molto a uscire da una convivenza coi rischi dettata più dalla fiducia nello stellone italico che da una sana cultura della prevenzione che dovrebbe caratterizzare un Paese moderno e sviluppato”. 

Eppure noi italiani, prima degli altri, abbiamo capito a nostre spese che il sisma torna sempre sul luogo del delitto, che statisticamente il terremoto replica le sue scosse laddove si è già verificato magari anche mille anni prima, che in tante città e paesi distrutti anche più volte da un terremoto oggi una scossa potrebbe fare addirittura più danni di un tempo. “Ecco - ammoniva Zamberletti - il nostro è un problema di consapevolezza, capire di più e orientarci in un mondo che sarebbe davvero opportuno conoscere meglio, che è quello della cultura della prevenzione. Cultura che dobbiamo far assurgere finalmente a valore fondante del nostro vivere civile”.

Si può prevedere un terremoto?

La ricerca dei precursori di un sisma è in corso. Ad oggi non esistono parametri scientifici che possono metterci in condizione di battere sul tempo la scossa. Non è possibile determinare se dopo un primo scossone arriverà il secondo o il terzo e se faranno più danni del primo. I vari “messaggi” dal sottosuolo, dallo sprigionarsi di gas come il radon alle alterazioni di livello delle falde acquifere, dalle emissioni elettromagnetiche e acustiche alle deformazioni del suolo e alle variazioni di temperatura, dai comportamenti bizzarri di animali domestici e selvatici con la loro agitazione animalesca raccontata dopo ogni sisma, non sono mai stati validati dalla scienza. Le facoltà sensoriali degli animali sono sicuramente e decisamente superiori alle nostre nell’avvertire perturbazioni e variazioni del campo elettromagnetico, come sanno i sismologi e gli scienziati cinesi che studiano più di tutti il comportamento animale, ma senza aver raggiunto certezze.

Oggi si consultano dati satellitari, le variazioni nella pressione dei fluidi del sottosuolo, i micromovimenti delle placche, le emissioni acustiche dalle profondità terrestri. Dal Giappone, giorni fa, è stato lanciato per la prima volta l’alert sismico: “Preparatevi a un prossimo mega terremoto”. È accaduto giovedì scorso, firmato dall’Associazione meteorologica giapponese Jma, dopo la forte scossa di magnitudo 7.1 con epicentro nella fossa Nankai, la depressione lineare del fondo oceanico del Nankaido, la regione geografica marina a sud dell’Honshu che è l’isola più grande del Giappone a circa 900 km al largo della costa, all’origine dei più devastanti terremoti. “La probabilità di un grande terremoto è più alta del normale, ma l’avviso non vuole indicare che avverrà sicuramente in un determinato lasso di tempo”, hanno chiarito i sismologi, spiegando però che un terremoto di magnitudo 8-9 lungo la fossa Nankai ha una probabilità di colpite del 70%-80% nei prossimi 30 anni e nel caso peggiore potrebbe provocare, con lo tsunami che si innescherebbe, fino a 300 mila vittime e danni per 13 mila miliardi di dollari.

C’è poi il nuovo studio di Giampiero Iaffaldano, docente di Geofisica della Terra solida all’Università di Parma, che identifica tramite Gps i movimenti delle placche come avvisi di futuri grandi terremoti. Iaffaldano la spiega così: “Finora si sono cercati segnali precursori su faglie attive. I nuovi studi dimostrano invece che il lento accumulo di energia modifica il moto stesso delle placche, misurabile anni prima da stazioni Gps a centinaia di chilometri di distanza da quello che sarà l’epicentro. Può essere utile nel rischio sismico”. Analizzando il terremoto dell’Aquila 2016 di magnitudo 6.3 e quello cinese di 7.9 del Sichuan del 2008, ha rilevato un rallentamento del 20% della placca Adria abruzzese nei 6 anni precedenti il terremoto, “compatibile” con l’accumulo di energia che lo ha preceduto.

Si possono creare modelli di stima delle probabilità di un terremoto in un periodo di tempo in una zona limitata? Warner Marzocchi, docente di Geofisica della Terra solida all’Università Federico II di Napoli, altro studioso di modelli previsionali dei terremoti, spiega che potremmo essere anche in grado di prevedere terremoti attesi in una determinata area ma non la loro magnitudo. Altri studi, con tecnologie di intelligenza artificiale dell’Ogs di Trieste di Stefania Gentili e Rita Di Giovanbattista dell’Ingv, utilizzano un algoritmo tarato sui dati dei terremoti che hanno colpito la California. Altre ricerche analizzano elementi chimici nelle acque sorgive rilasciati da movimenti di rocce profonde. Ma al momento siamo nella fase di ricerca e senza certezze scientifiche definitive.

earthquake-1665870_1920.jpg

E allora nel frattempo che fare?

Quel che dobbiamo fare lo consigliavano già Aristotele, Plinio, Vitruvio o Leonardo. E lo consigliano oggi gli esperti dell’ingegneria, della geologia e della sismologia. Mettere fine alla contraddizione italiana di sapere tutto e poter fare di tutto per difenderci dalla potenza distruttiva di un sisma. Come? Chiamando bravi progettisti e architetti, ingegneri e muratori che, grazie a nuovi materiali, tecniche, tecnologie e nanotecnologie possono rafforzare le nostre abitazioni. Utilizzando anche il sismabonus per le ristrutturazioni antisismiche che pochi italiani conoscono e utilizzano, e che lo Stato nasconde avendo dato la precedenza alle ristrutturazioni di facciate più che al loro rafforzamento con gettiti finanziari clamorosi e mai visti prima. Le difese strutturali non possono aspettare!

Due storici dei disastri naturali come Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise, coi due geologi dell’Ingv Gabriele Tarabusi e Graziano Ferrari, studiando i terremoti del 2016-17 in centro Italia, hanno elaborato un modello scientifico di riduzione della vulnerabilità partendo dalla constatazione della differente risposta sismica di Amatrice e di Norcia. Le due località sorgono quasi alla stessa distanza dalla faglia che ha generato il terribile cluster sismico, e i livelli delle scosse sono quasi del tutto confrontabili. Non però gli effetti. Ad Amatrice, la cannonata di magnitudo 6.0 del 24 agosto ha prodotto crolli tra il X e l’XI grado Mercalli, con l’abbattimento pressoché totale dell’abitato. A Norcia, invece, i danni si sono fermati al VI grado. Con il successivo terremoto del 30 ottobre, di magnitudo 6.5 ed epicentro nelle vicinanze di Norcia, le distruzioni sono salite all’XI grado per Amatrice e all’VIII-IX per Norcia. Se la cittadina laziale è stata rasa al suolo con 249 morti, la cittadina umbra ha resistito e non ha contato vittime.

La differenza l’hanno fatta l’elevatissima vulnerabilità del costruito di Amatrice e la bassissima vulnerabilità di quello di Norcia, salvata dalla maggior consapevolezza di vivere in una zona ad alto rischio sismico e dove l’obbligo dell’antisismica è stata fatta rispettare dopo i crolli della scossa del 1979. Ma quante Amatrice abbiamo in Italia?

L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia registra ogni anno circa 20.000 terremoti di magnitudo inferiore a 2.0, in grandissima parte non percepiti, e tra i 1.700 e i 2.500 superiori a magnitudo 2.5. Sappiamo che metà colpiscono il Sud, e in particolare Sicilia, Calabria e Campania. Circa un terzo soprattutto Abruzzo e Toscana, e i restanti sul Nord, specie il Friuli, seguito da Liguria, Lombardia e Veneto. La contabilità sismica di ogni secolo, negli ultimi 2.500 anni, riporta uno o 2 fortissimi eventi di magnitudo intorno a 7.0, dai 5 ai 10 con magnitudo oltre 6.0, e un centinaio con magnitudo superiore a 5.0. Nell’ultimo secolo e mezzo, 43 eventi hanno ucciso e distrutto con la drammatica ciclicità di uno ogni tre-quattro anni. E magnitudo 5.0 è la soglia-limite che da noi è già sufficiente a provocare crolli e vittime per debolezze strutturali dell’edilizia, con perdite di vite umane e danni sempre direttamente proporzionali alla vulnerabilità delle costruzioni.

2016_Amatrice_earthquake.jpg

Il tempo è tutto

La mappa dell’edilizia nazionale mostra l’accumulo l’impressionante di uno stock immobiliare tra i 4 e 5 milioni su circa 13 milioni edifici – dove vive e lavora e studia oltre un terzo della popolazione italiana –, che potrebbero non reggere a scosse importanti e la quota più scadente, insicura, è quella illegale e graziata da 4 condoni anche in zone sismiche. Continuiamo con la quasi inesistente copertura assicurativa privata, caso unico in Europa, che vede sui 12.187.698 edifici italiani con 74,3 milioni di immobili con oltre 31 milioni di abitazioni, con appena il 4,9% di coperture assicurative contro terremoti nonostante l'esposizione del 75% delle abitazioni?

Chi racconta che la prevenzione costerebbe talmente tanto da renderla mission impossible, racconta una balla. Adeguare il nostro patrimonio edilizio in zone sismiche 1 e 2, le peggiori, alle norme antisismiche con un vasto piano d’interventi sugli edifici stima un investimento complessivo pari a circa 100 miliardi di euro nell’arco di 20 anni di utilissimi cantieri edili. È la cifra indicata dal “Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri”, i cui esperti hanno assunto come parametro la difesa dall’impatto del terremoto con magnitudo L’Aquila 2009. Sono troppi? È fuori portata? Beh, la spesa in corso per le ricostruzioni dei soli tre peggiori disastri sismici degli ultimi 15 anni è questa: L’Aquila 2009 per 17,4 miliardi, l’Emilia 2012 per 13 miliardi e il Centro Italia 2016-2017 che costerà 23,5 miliardi. È più della metà del costo di un piano di prevenzione antisismica per tutta l’edilizia a rischio. Anche chi è digiuno di matematica capisce al volo qual è l’investimento buono e qual è la spesa cattiva. E che la mancata prevenzione non solo uccide e distrugge ma è anche il vero salasso per la finanza pubblica.

Eccola la grande lezione di Giuseppe Zamberletti. Dovremmo impararla tutti a memoria per agire, prima che sia troppo tardi.

Seminario_terremoto_Terranova_Pollino.jpg

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.