Litio da geotermia e non solo, la Toscana può produrre materie prime critiche
L’Ordine dei geologi della Toscana, riunito oggi in assemblea generale a Firenze, ha elaborato un focus sulle risorse minerarie utili ad alimentare l’economia nazionale, a partire da quella verde, dato che l’accelerazione della decarbonizzazione porterà a una crescente richiesta di litio, terre rare, rame, cobalto, tungsteno, tantalio e molti altri ancora (sebbene il consumo di materie prime sia enormemente più basso in un’economia verde rispetto alla contropartita fossile).
Lo sfondo normativo è quello delineato in primavera con l’approvazione europea del Critical raw materials act, recentemente acquisito nella normativa italiana da uno specifico decreto legge. Il testo finale della legge europea individua due elenchi di materiali (34 critici e 17 strategici), stabilendo tre parametri di riferimento per il consumo annuale di materie prime critiche nell’Ue: almeno il 10% dovrà arrivare da estrazione locale; il 40% verrà lavorato nell’Ue e il 25% proverrà da materiali riciclati.
Dalle materie prime critiche passa il 38% del Pil italiano, e si stima che l’Italia possa ricavarne fino al 32% dal riciclo, anche se nella declinazione data dal decreto del Governo Meloni quest’aspetto rimane purtroppo marginale. Il resto dovrà in ogni caso essere composto da materiali vergini, con nuove miniere e siti estrattivi.
In Italia non vengono, per ora, estratte materie prime critiche metalliche e per la loro fornitura il nostro paese è totalmente dipendente dai mercati esteri. Eppure il nostro Paese ha ancora un discreto potenziale: in totale (dati Ispra) sono 76 le miniere ancora attive, 22 relative a materiali che rientrano nell’elenco delle 34 materie prime critiche dell’Ue. In 20 di queste, si estrae feldspato (industria ceramica) e in 2 la fluorite (industrie dell’acciaio, alluminio, vetro, elettronica e refrigerazione). È però documentata la potenziale presenza di litio, scoperto in quantitativi importanti nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani e diversi altri minerali. Depositi di rame, essenziale per tutte le moderne tecnologie, sono noti nelle colline metallifere, mentre in vari siti in Liguria e Toscana è stato estratto manganese. A livello mondiale, spiega ancora Ispra, sta crescendo l’interesse della coltivazione degli scarti minerari come fonte di materie prime. In Italia sono presenti circa 150 milioni di mc di scarti di lavorazione derivanti dalle attività minerarie passate, spesso causa d’inquinamento delle acque superficiali/sotterranee e dei suoli da metalli pesanti: gli stessi che potrebbero essere recuperati, trasformando un problema in una risorsa.
Quale contributo può dare la Toscana? «Come Ordine dei geologi della Toscana – spiega il presidente Riccardo Martelli - abbiamo sentito il bisogno di rimarcare l’importanza centrale delle georisorse che abbracciano la ricerca, l’esplorazione, la gestione e la loro tutela, rendendo necessario un vero e proprio cambio di passo verso la transizione energetica e la green economy. Con questo obiettivo oggi illustriamo lo stato delle conoscenze in Toscana di acque sotterranee, geotermia, cave e giacimenti minerari».
A quest’ultimo tema è stata dedicata l’analisi del ricercatore Andrea Dini, del Cnr di Pisa. La Toscana, grazie alla sua complessa storia geologica, gode di innumerevoli giacimenti minerari che sono stati sfruttati fin dall’Età del Rame e soprattutto a partire dal I millennio a.C. con l’avvento della civiltà Etrusca.
La pirite è stata estratta tra Gavorrano, Niccioleta, Boccheggiano, Campiano e Argentario (Gr); sempre nel grossetano, tra Fenice Capanne e Boccheggiano, nel basso livornese a Temperino, e in provincia di Lucca, nella zona di Bottino, argento, rame, piombo, zinco, oro. Nel pisano le ofioliti (Montecatini Val di Cecina, Cetine di Camporbiano e Montecastelli), mentre l’Elba è stata patria degli ossidi di ferro (Rio Marina, Calamita, Ginevro). Ancora il sud della Toscana con il mercurio presente tra Abbadia San Salvatore, Solforate e Morone. Sb (Au) in Maremma fra Tafone, Poggio Fuoco, Pereta (Gr) e Le Cetine (Si). Giacimenti di stagno-tungsteno si trovavano invece sul Monte Valerio a Campiglia Marittima (Li). E ancora barite, pirite e ossidi di ferro nella Buca della Vena e sul Monte Arsiccio a Stazzema (Lu); magnesite tra Castiglioncello (Li), Malentrata e Querceto (Pi). Pegmatiti (Litio, Cesio e Tantalio) a San Piero - Sant'llario (Li) e acido borico tra Larderello e Sasso Pisano (Pi) e Monterotondo (Gr). Infine caolino tra Marciana (Li), Crocetta (Ms), Botro ai Marmi (Li) e Torniella (Gr) e alunite tra Montioni (Li) Cavone e Monteleo (Gr).
E oggi? «Molti dei siti minerari toscani non hanno più un potenziale per la ripresa delle attività – spiega Dini – ma alcuni target (magnesio, antimonio) dovrebbero essere indagati in maggiore dettaglio nell’ottica del Critical raw materials act. Altri target come i graniti mio-pliocenici e i fluidi geotermici dovrebbero essere studiati dal punto di vista scientifico per valutarne il potenziale per litio (quelli già condotti dal Cnr sono piuttosto promettenti, ndr). In ogni caso tutti i giacimenti toscani sono dei laboratori naturali dove sviluppare nuova conoscenza da trasferire poi in modelli concettuali e protocolli di indagine da applicare in contesti geologici simili dell’area mediterranea».
Nel corso della giornata sono intervenuti anche il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, Gaia Checcucci segretario generale dell’Autorità di Bacino distrettuale dell’Appennino Settentrionale e, nel pomeriggio, Simona Petrucci geologa e senatrice della Repubblica italiana.
«Le tematiche dell’assetto idrogeologico e delle infrastrutture necessarie sono sempre più centrali – ha detto il presidente Giani – Oggi il cambiamento climatico ha trasformato le calamità da eventi straordinari in ordinari, lo dimostra il fatto che negli ultimi quaranta giorni ho dovuto dichiarare quattro volte lo Stato di emergenza, tre delle quali relativamente allo Stato di calamità nazionale. Una situazione senza precedenti. Nella nostra regione sono necessari interventi per mettere in sicurezza il territorio, sia attraverso nuove opere che con la manutenzione costante di quelle esistenti: in questo senso acquistano un ruolo centrale le competenze dei geologi, nell’ambito dell’azione progettuale e della definizione dei piani d’intervento».