Ecco come il rischio idrogeologico cresce insieme al consumo di suolo
La sottrazione di aree naturali a favore dell’urbanizzazione e dell’avanzata del cemento si traduce in una crescente impermeabilizzazione delle città. Ogni volta che si consuma suolo con nuove costruzioni, abitazioni, strade, piazzali, si va così ad incidere in modo significativo sul ciclo dell’acqua che, non trovando più suoli liberi dove infiltrarsi, viene recapitata più rapidamente nei corsi d’acqua principali, fino ad arrivare a mettere in crisi il sistema di allontanamento delle acque dai centri abitati.
«Torniamo sull’argomento perché l’eccessivo e costante consumo del suolo, oltre a causare effetti ambientali evidenti, è strettamente correlato al grado di sicurezza idrogeologica dei territori e quindi anche alle funzioni principali svolte dai Consorzi di bonifica», spiega Ismaele Ridolfi, presidente del Consorzio bonifica 1 Toscana nord.
L’ultimo rapporto annuale diffuso da Ispra e da Snpa rivela infatti che in Italia vengono consumati circa 2,25 metri quadrati di suolo ogni secondo. Una sorta di piastrellamento diffuso che nel 2022 ha interessato circa 77 km quadrati di aree naturali che non esistono più. L’avanzata del cemento continua dunque a sottrarre terreni liberi con ritmi di incrementi annuali spaventosi, nonostante il nostro sia ormai un Paese in progressivo invecchiamento e declino demografico. Una realtà che vale anche in Toscana dove, come precisa l’Ordine degli ingegneri di Firenze, ogni anno il consumo di suolo ricopre una superficie equivalente a 500 campi da calcio.
«Il suolo – argomenta Ridolfi – è il primo elemento da tenere in considerazione per contrastare fenomeni come le frane, le alluvioni e perfino l’erosione costiera, eppure sembra non rientrare nelle logiche che sono alla base delle pianificazioni urbanistiche. L’Unione europea ha approvato la legge sul ripristino della natura ed è necessario dare seguito a questa volontà che prima di tutto è un’esigenza per tutti i territori dei paesi membri, Italia compresa».
Sottovalutare la funzione svolta dal suolo è un errore grave che porta a inevitabili conseguenze. Questo strato superficiale di terreno è un elemento fondamentale di collegamento tra gli ecosistemi, mettendo in relazione terra, acqua e aria. Raccoglie e trattiene la poggia che viene condotta negli strati più profondi, limitando così il ruscellamento e tutti quei fenomeni ben peggiori che potrebbero derivare, come le esondazioni, le alluvioni e le frane.
Per non parlare dei numerosi servizi ecosistemici: il suolo fornisce cibo ed è alla base del comparto agricolo, produce biomassa, materie prime e dopo gli oceani, è il secondo serbatoio più esteso al mondo per lo stoccaggio di carbonio. Svolge una funzione importante di regolazione del clima e del micro-clima, controlla l’erosione e i nutrienti e funge da filtro regolando la qualità dell’acqua.
«Di fronte a tutte le funzioni e ai servizi ecosistemici che il suolo rende all’umanità, serve una visione diversa e responsabile delle pianificazioni territoriali e oggi – conclude Ridolfi – abbiamo un nuovo strumento legislativo che è la legge europea sul ripristino della natura. Bisognerebbe avere il coraggio di cambiare passo: non consumare più nemmeno un metro quadrato di suolo, ma conservare e rinaturalizzare le risorse naturali».