Carrara, come risolvere i problemi marmettola e “fabbriche di alluvioni”? Le proposte di Legambiente
Dando seguito a una collaborazione decennale ai più alti livelli istituzionali e ringraziando per la considerazione in cui sono tenuti i suoi contributi, Legambiente ha inviato il documento “Marmettola: proposte per interventi risolutivi” al Ministero dell’Ambiente, a ISPRA, ARPAT, Regione Toscana, Provincia e comuni di Carrara e Massa.
Un breve excursus storico ricorda che fino agli anni ’80 la marmettola proveniva soprattutto dagli scarichi non depurati delle segherie nei corsi d'acqua (esercitando, per la sua cementazione in alveo, un impatto biologicodevastante e persistente), mentre dagli anni ’90 proviene direttamente dalle cave e dai ravaneti.
È dunque evidente che la fondamentale misura preventiva dell’inquinamento da marmettola consiste nell’intercettarla all’origine, evitando così che le acque torbide di taglio si disperdano sulle superfici di cava e, dilavate poi dalle piogge, trasportino la marmettola compromettendo sia le acque superficiali (fiumi) che l’acquifero sotterraneo che alimenta le sorgenti.
Legambiente evidenzia poi l’inefficacia delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni all’escavazione (confinamento delle acque al piede del taglio, loro filtrazione, allontanamento della marmettola, pulizia periodica dei piazzali). Con un nutrito corredo fotografico, infatti, mostra che i materiali fini (marmettola e terre) abbondano su tutte le superfici di cava: all’interno del cordolo al piede del taglio, ma anche all’esterno di esso, sui piazzali, sui gradoni delle bancate, sui versanti, sulle rampe, sulle vie d’arroccamento, sia nelle cave all’aperto che in quelle in galleria e nei ravaneti.
Data questa generalizzata esposizione di terre e marmettola alle acque meteoriche, sarebbe davvero sorprendente se, in occasione delle piogge, i corsi d'acqua e l’acquifero non ne fossero fortemente inquinati. È dunque evidente che – finché persisterà questa situazione nelle cave, nei ravaneti e nei versanti – ogni strategia di prevenzione e controllo è destinata a fallimento certo.
A parere di Legambiente, il fallimento, oltre che dall’insufficienza delle attuali prescrizioni (ad es. le autorizzazioni non vietano l’impiego di terre e marmettola nella realizzazione delle vie d’arroccamento e dei ravaneti né, tantomeno, prescrivono la rimozione delle enormi quantità ivi riversate nel tempo), deriva da due criticità di fondo:
- la strategia sanzionatoria ex post che, a danno ambientale già avvenuto, fa scattare le (complicatissime) indagini per l’individuazione (spesso impossibile) della cava responsabile;
- la natura stessa delle prescrizioni, che si limitano a disporre il compimento di determinate operazioni (prescrizioni “di azioni”) anziché l’ottenimento di un certo risultato (prescrizioni “di risultato”).
Quanto alla prima criticità ripropone una soluzione del tipo “uovo di Colombo”, cioè un’ordinanza (con relative prescrizioni e sanzioni) che, essendo fondata non sulla punizione del danno arrecato, ma sulla prevenzione del danno stesso (sanzionando i comportamenti suscettibili di provocarlo), è molto più semplice, tempestiva ed efficace.
La seconda criticità discende dal concorso tra le prescrizioni di un elenco di «azioni» (realizzare il cordolo al piede del taglio, filtrare le acque, ecc) – elenco che difficilmente può essere completamente esaustivo – e l’atteggiamento capzioso degli industriali di cava che, arroccandosi su una interpretazione letterale e ristretta degli obblighi da adempiere, ne elude di fatto le finalità. A puro titolo di esempio, la prescrizione della pulizia “periodica” delle superfici di cava può essere effettuata in maniera scrupolosa o sostanzialmente elusa (svolgendola cioè in maniera sbrigativa o con una periodicità che rasenta o supera la provocazione, es. mensile).
Legambiente ripropone pertanto la sua richiesta avanzata già vent’anni fa: un’ordinanza comunale “Cave pulite come uno specchio” che, al pregio di prevedere prescrizioni “di risultato”, unisce un titolo molto esplicativo del risultato che si intende perseguire.
Naturalmente l’ordinanza dovrebbe prevedere sanzioni dissuasive: ad es. fermo della cava per alcuni giorni (e di durata drasticamente maggiore nel caso di recidiva) qualora si riscontrasse la semplice presenza di marmettola, terre o altri inquinanti – anche in quantità modesta – su una o più delle superfici di cava (bancate, piazzali, rampe, cumuli di detriti, gallerie, versanti ecc.).
A differenza delle attuali “consuete” prescrizioni (che, al pari delle grida manzoniane, vengono diffusamente violate senza conseguenze di particolare rilevanza), l’ordinanza produrrebbe un effetto shock: farebbe capire che, dal giorno della sua entrata in vigore, tutte le cave dovranno davvero adeguarsi (pena serie ripercussioni produttive, fino alla definitiva chiusura). Naturalmente il messaggio dovrebbe essere rafforzato dalla programmazione di un’intensa campagna di controlli.
Legambiente suggerisce quindi caldamente a Ministero Ambiente, ISPRA e ARPAT di rapportarsi con gli enti territoriali (Comuni, Provincia e Regione Toscana) fornendo loro – per l’autorevolezza del loro ruolo istituzionale – il supporto tecnico per la stesura e l’emanazione di tale ordinanza.
L’obiettivo dell’ordinanza proposta è di interrompere definitivamente nuove immissioni nell’ambiente di materiali fini o di altri inquinanti dilavabili dalle acque meteoriche. Resta però il problema di rimuovere le grandi quantità di tali materiali abbandonati in passato nelle rampe interne alle cave, nelle vie d’arroccamento e, soprattutto, nei ravaneti.
La bonifica dei ravaneti da queste ingenti quantità di marmettola è la vera “grande opera” di cui Carrara ha assoluto bisogno. Tuttavia, affinché non ne conseguano impatti secondari indesiderati, occorre tener conto che i ravaneti possono ridurre grandemente le alluvioni, ma anche accentuarle in maniera catastrofica: dipende principalmente dalla loro composizione granulometrica.
Inizialmente infatti tutti i ravaneti, assorbendo le piogge e rallentandone il deflusso, riducono le alluvioni. Tuttavia, se sono ricchi di terre o marmettola, al proseguire delle precipitazioni invertono il loro effetto (da protettivo a distruttivo) poiché i materiali fini sciolti si comportano come le argille: 1) assorbendo acqua, si rigonfiano diventando impermeabili (favorendo lo scorrimento superficiale veloce), 2) il suolo diviene più pesante quindi più instabile (data l’elevata pendenza) e a un certo punto 3) le argille si liquefanno innescando una frana (più esattamente una colata detritica) che 4) trascina a valle ingenti masse detritiche (comprese le scaglie e altri materiali grossolani) che, depositandosi negli alvei sottostanti, 5) li intasano provocandone l’esondazione.
È quanto avvenuto nella drammatica alluvione di Carrara nel 2003 (come appurato dai periti del tribunale).
È essenziale sottolineare che l’inversione del comportamento idrologico dei ravaneti è dovuta al loro contenuto in materiali fini e, pertanto, non si verifica nei ravaneti costituiti da sole scaglie di marmo poiché queste, ovviamente, non liquefanno!
Con questa chiave di lettura diviene facile comprendere perché gli attuali ravaneti (ricchi di terre e marmettola) si comportano come vere e proprie “fabbriche di alluvioni” mentre quelli di un secolo fa (costituiti unicamente di scaglie) svolgevano un ruolo importante nella loro attenuazione.
Da tali considerazioni emergono indicazioni della massima importanza pratica per la bonifica dei ravaneti dalla marmettola: la loro completa asportazione risolverebbe l’inquinamento da marmettola ma accentuerebbe le alluvioni, mentre l’asportazione dai ravaneti dei soli materiali fini produrrebbe il massimo dei benefici poiché, oltre a risolvere l’inquinamento da marmettola, fornirebbe un’importante protezione della città dalle alluvioni.
Da questo retroterra culturale è scaturita la nostra proposta dei “ravaneti spugna”: asportare completamente, fino al substrato roccioso, i ravaneti attuali e ricostruirli con sole scaglie di granulometria da grossolana a minuta, allontanando terre e marmettola. Programmando il loro progressivo aumento di spessore, i ravaneti spugna apporterebbero negli anni un contributo rilevante e crescente alla riduzione delle alluvioni.
I costi della realizzazione dei ravaneti spugna dovrebbero essere posti a carico delle cave, anche come mitigazione del danno ambientale da esse comunque arrecato.
Legambiente conclude invitando caldamente tutti gli enti a farsi parte attiva per concordare una strategia d’azione volta a dare concreta soluzione ai problemi ambientali generati dalla marmettola (ottenendo contestualmente il rilevante beneficio sociale ed economico della riduzione delle alluvioni).
di Legambiente Carrara