Il Consiglio dei ministri approva il Testo unico sulle rinnovabili. Critici gli operatori del settore elettrico
Il testo è centrato sui «principi di celerità», si legge nell’articolo 2, nonché sui «principi del risultato». Ma, denunciano gli operatori del settore elettrico, le nuove norme messe a punto dal governo rendono più complicato, anziché più semplice, installare nuovi impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. E, aggiungono le associazioni ambientaliste, sarà praticamente impossibile raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2030.
Il Consiglio dei ministri si è riunito ieri per l’ultima volta prima della pausa estiva di Palazzo Chigi e Parlamento. E, insieme al decreto Omnibus riguardante soprattutto misure fiscali ed economiche, ha approvato il decreto legislativo che introduce una nuova disciplina in materia di regimi amministrativi per la produzione di energia attraverso impianti eolici e solari. Con le nuove norme, stando a quanto previsto dal governo, ci saranno delle «semplificazioni» e «si riducono da quattro a tre i regimi amministrativi previsti per la costruzione e l’esercizio degli impianti a fonti rinnovabili: 1. attività libera; 2. procedura abilitativa semplificata; 3. autorizzazione unica».
Il decreto, che è stato approvato in via preliminare, reca la firma del ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, del ministro per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati e del ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin. I quali, ovviamente, non hanno che parole positive per commentare questo Testo unico sulle fonti di energia rinnovabile (Fer). «Si tratta di un primo significativo passo, a cui dovranno seguirne altri, per ridurre il peso burocratico nei confronti delle imprese che operano nel settore delle energie rinnovabili, semplificando e standardizzando le procedure, con un risparmio di tempo e di costi anche per le amministrazioni coinvolte», dice il primo. «Abbiamo compiuto un passo importante verso la sostenibilità dell’economia italiana e a supporto delle imprese che vogliono investire in rinnovabili ed energie pulite», gli fa eco la titolare delle Riforme istituzionali. «Oggi poniamo le basi per una riforma di sistema, orientata agli obiettivi del Pniec con pragmatismo e senza far venire meno le tutele ambientali», chiosa il responsabile per l’Ambiente. Non solo: «Questo provvedimento – aggiunge Pichetto Fratin - chiarisce il quadro generale, lo semplifica ove possibile, stimolando rispetto al passato l’iniziativa privata nel modo migliore: con regole certe e trasparenza nei tempi».
Peccato che il decreto sia duramente criticato non soltanto da ambientalisti e organizzazioni che per vari motivi sono impegnate nella transizione energetica, non solo da personalità e scienziati che spingono per un abbandono delle fonti fossili a favore di eolico e solare, ma anche da imprenditori e operatori del settore elettrico che, denunciano, a causa delle nuove norme introdotte con questo decreto ora avranno più difficoltà a far installare nuovi impianti per le rinnovabili. Con buona pace non solo di chi lavora per raggiungere gli obiettivi europei di decarbonizzazione entro io 2030, ma anche di chi auspicava che grazie ai nuovi impianti si potesse abbassare il costo dell’energia in Italia, a beneficio di imprese e famiglie.
Già alla vigilia del via libera al decreto nel Consiglio dei ministri, il Coordinamento Free – la più grande associazione italiana in tema di fonti rinnovabili ed efficienza energetica – aveva segnalato tutti i punti critici del testo e concluso che la nuova normativa «complica anziché semplificare». Ed Elettricità futura – associazione aderente a Confindustria che rappresenta il 70% della filiera elettrica nazionale – aveva evidenziato che le misure previste dal governo «introducono nuove barriere alle rinnovabili».
Uno dei punti più controversi del nuovo provvedimento è che pur prevedendo l’attività libera e non richiedendo, in questo caso, atti di assenso o dichiarazioni, questa procedura per così dire semplificata non può però valere in caso di vincoli paesaggistici. Un paletto non di poco conto, spiegano i vertici di Elettricità futura, perché la normativa nazionale attualmente in vigore consente di ammodernare e potenziare gli impianti rinnovabili già installati senza ulteriori autorizzazioni anche in presenza di vincoli paesaggistici «proprio perché si tratta di impianti esistenti e che quindi avevano già ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni, mentre la bozza di decreto prevede che anche per questi progetti si debba chiedere una nuova autorizzazione, introducendo inutili costi e lungaggini burocratiche».
Dopo la pausa estiva, in fase di conversione in legge del decreto, si capirà se e quali margini ci saranno in Parlamento per correggere i punti più critici del testo uscito da Palazzo Chigi. Ma intanto gli operatori del settore elettrico diffondono un paio di cifre, stime, conteggi economici. Il primo lo evidenzia da tempo il presidente di Elettricità futura Agostino Re Rebaudengo: nel 2022 le rinnovabili hanno fatto risparmiare all’Italia 25 miliardi di euro. Il secondo dato, citato a più riprese dallo stesso numero uno dell’associazione confindustriale, viene dal Politecnico di Milano: con le norme attuali, gli impianti di fonti rinnovabili produrranno circa 2 gigawatt l’anno. Appena un sesto dei 12 gigawatt necessari per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2030. Chi sperava in un miglioramento della situazione dopo il varo del nuovo Testo unico Fer, non può che essere fortemente deluso.