
Crisi ucraina, le imprese tedesche (e italiane) non vogliono le sanzioni contro la Russia

«Le più grosse imprese tedesche – in particolare la holding chimica Basf, il gruppo Siemens, Volkswagen, Adidas e Deutsche Bank – si oppongono alle sanzioni economiche contro la Russia». È quanto scrive oggi la Rossiiskaia gazeta, ed è in buona compagnia. Anche Ria Novosti riporta che «mentre la crisi ucraina si amplifica di giorno in giorno, le autorità tedesche ricevono permanentemente degli appelli telefonici di alti responsabili che chiedono di non prendere nessuna misura che possa nuocere agli interessi delle compagnie tedesche in Russia».
Eckhard Cordes, vicepresidente del Wirtschaftsrats der CDU, il Consiglio economico del partito della Cancelliera Angela Merkel, e presidente dell’Ost-Ausschusses der Deutschen Wirtschaft (il comitato dell’economia tedesca per l’Europa dell’Est), ha detto a Rossiiskaia gazeta: «Noi, capi di impresa, vogliamo far passare il messaggio seguente: sedetevi ad un tavolo per negoziare e regolate le vostre differenze in maniera pacifica».
L’insospettabile Wall Street Journal scrive a sua volta, con una discreta faccia tosta: «Per la maggioranza dei paesi, l’ingerenza dei capi di impresa nelle geopolitica e nelle questioni di sicurezza – come fanno certi amministratori delegati tedeschi – sarebbe molto inabituale. Molte grandi compagnie tedesche, però, sono molto presenti in Russia, a volte da decenni, e temono che delle severe sanzioni economiche le priverebbero di prospettive di crescita, proprio nel momento in cui il mercato tedesco e europeo sono stagnanti». Secondo il quotidiano economico americano (che tira un rigo sulle potenti lobbies che condizionano la politica Usa fin nelle aule del Parlamento e sul coinvolgimento diretto ed indiretto delle multinazionali nelle recenti avventure militari statunitensi), sottolinea che «le compagnie americane, che investono molto meno in Russia, presentano ugualmente le loro preoccupazioni all’amministrazione Obama, ma a titolo privato».
Secondo il Wall Street Journal la Germania non è il solo Paese europeo restio a prendere una posizione più dura verso Mosca: «Anche l’Italia e la Grecia si oppongono ad un approccio più severo, temendo delle conseguenze per la loro economia. Però l’ampiezza del peso economico della Germania rende la sua voce decisiva. Il tentativo degli Usa di isolare la Russia sulla base di sanzioni e altre iniziative sarebbe compromesso senza Berlino».
La bibbia del capitalismo liberista scrive che «circa 6.200 imprese tedesche lavorano in Russia, più del numero delle imprese di tutti gli altri Paesi dell’Ue messi insieme». In aggiunta, Ria Novosti riporta una valutazione degli analisti dell’università di Keele secondo la quale «la crescita economica tedesca potrebbe calare del 2% se verranno adottate delle sanzioni severe contro la Russia. Tenuto conto delle attuali previsioni economiche, questo potrebbe far immergere l’immensa economia europea nella recessione».
Se gli scambi commerciali tra Germania e Russia sono relativamente modesti (al contrario di quelli con l’Italia), visto che nel 2013 sono arrivati a 76 miliardi di euro e le esportazioni russe in Germania rappresentano solo il 3%, il discorso si fa diverso quando si affronta la questione energetica. La Germania (come l’Italia, che ha anche la grana delle forniture di idrocarburi tagliate dal caos libico post-liberazione da Gheddafi) dipende fortemente dalla Russia: il 30% del gas e del petrolio che consuma vengono dalla Russia e la perdita di queste fonti di idrocarburi, che legano a filo doppio politici democristiani e socialdemocratici a Mosca e all’oligarchia energetica putiniana, sarebbe un gravissimo danno per Berlino.
Difficilmente gli europei, che stanno pagando una disastrosa gestione della crisi ucraina e non si fidano della destra radicale e neo-fascista che ha preso il potere a Kiev e che si è resa responsabile di una strage come quella dei filorussi di Odessa, saranno contenti della proposta avanzata dei senatori statunitensi di sbloccare un aiuto militare da 100 milioni di dollari a Kiev, annunciata ieri sera dal senatore repubblicano John McCain dal network ucraino Iter.
Ad aprile Iulia Timochenko, la candidata alle elezioni presidenziali ucraine, ex premier “arancione” oggi a capo del partito Batkivtchina, aveva chiesto agli Usa di concedere un aiuto militare all’Ucraina che dovrebbe tradursi in «forniture di armi antiaeree e anticarro» e in «formazione dei militari ucraini». Tutta benzina sulla propaganda russa che parla (non sempre a torto) di un governo ucraino telecomandato da Washington e di miliziani con passaporto ucraino, ma in realtà polacchi e baltici mandati a reprimere la rivolta federalista filorussa nell’Ucraina sud-orientale.
Intanto, tanto per calmare le acque, l'Unione dei paracadutisti sud-osseti e il Partito Ossezia Unita hanno annunciato che dalla piccola repubblica russa staccatasi dalla Georgia sono pronti a partire volontari «al fine di proteggere i civili nel sud-est dell’Ucraina». Per questo hanno lanciato un appello a tutti gli ex combattenti della guerra 1989-2008, come definiscono il processo che ha portato l’Ossezia del sud ad essere annessa alla Russia.
Ossezia Unita dice che «i recenti avvenimenti a Slaviansk, Odessa e Kramatorsk hanno confermato i nostri peggiori timori: il Paese intero è finito nelle mani di fascisti. I patrioti e gli ex combattenti osseti non possono restare inattivi di fronte alle mostruosità commesse da dei nazisti. I nazionalisti radicali ucraini sono ben conosciuti nell’Ossezia del sud. Hanno sostenuto le truppe georgiane durante la loro offensiva lanciata nel 2008 contro Tskhivali».
Una scintilla dell’incendio di Odessa sembra già arrivata nel Caucaso.
