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Molise. Pozzi radioattivi a Cercemaggiore: si teme il disastro ambientale

 |  Nuove energie

Nei vecchi pozzi petroliferi della Montedison nel Molise, a Cercemaggiore, la radioattività delle vasche di accumulo è di dieci volte superiore ai valori normali.  E’ quanto emerge dai dati presentati dall’Arpa Molise pochi giorni fa.

Una questione che ha incominciato a diventare di interesse pubblico negli anni Ottanta. Da quando cioè   il  Pci Molise, nel 1987,  presentò le prime denunce. Soltanto nello scorso gennaio, tuttavia,  sono incominciati i sopralluoghi nella contrada di Capoiaccio per verificare la presenza di sostanze tossiche nei pozzi alla profondità di oltre 3000 metri.  Sulla questione si è pronunciato, nel dicembre 2013,  il presidente onorario dell’Idv, Antonio Di Pietro: «Tutti sapevano dei camion che attraversavano i paesi del Molise, ma nessuno ha mai saputo cosa contenessero  i container, mentre il materiale veniva nascosto nei pozzi e poi ricoperto con il cemento».

Alla denuncia di Antonio Di Pietro si è aggiunta quella di Salvatore Ciocca, consigliere regionale dei Comunisti Italiani, che ha chiesto l’apertura del pozzo  e con un accurato dossier  ha dimostrato  che dal 1962, anno in cui sono incominciate le ricerche e gli sfruttamenti petroliferi, fino al 1988, non fu mai effettuata una verifica.  Le prime regolamentazioni risalgono soltanto al 6 giugno del 1988. Proprio in quell’anno è stato reso noto che parte dei reflui provenivano da Melfi, dove la Montedison gestiva 8 pozzi.

Per 26 anni il pozzo di Capoiaccio è stato un serbatoio per le immissioni di acque reflue la cui provenienza  era sconosciuta.

Dalla ricostruzione di Salvatore Ciocca, emergono informazioni importanti: il 10 giugno 1981 , la Giunta Regionale autorizza con la delibera 2210 la reimmissione dei fluidi associati alla produzione di idrocarburi liquidi per 120mila metri cubi nel pozzo denominato Cercemaggiore 1 del cantiere estrattivo Capoiaccio, indicando le misure di controllo continuo delle operazioni per seguire le evoluzioni dell’intasamento e gli eventuali effetti. In quell’anno era la stessa Regione che era autorizzata ad effettuare i controlli.

Secondo   la delibera del 26 del 21 aprile 1981    il Consiglio comunale si oppose perché nelle acque erano putride a causa del funzionamento abusivo del pozzo. Ma il parere del Comune non venne preso in considerazione.

Nel 1987 i carabinieri inviarono un rapporto alla Prefettura di Campobasso. Si scoprì che il greggio veniva estratto a Cercemaggiore e portato a Taranto, e con cadenza quindicinale nel cantiere arrivavano gli scarichi di  un’autocisterna della Sacalb (Società autotrasporti carburanti liquidi barese). Il prefetto escluse la presenza di materiale radioattivo proveniente dalla centrale nucleare di Caorso, Piacenza, senza chiarire la presenza della Sacalb.

A distanza di pochi giorni, il 26 luglio del 1987, il Pci Molise chiese dei  chiarimenti, e dopo il sopralluogo venne accertata la violazione delle norme sulla tutela delle acque.

Nell’88 la Regione Molise autorizzò la Montedison ad immettere le acque proveniente soltanto dai giacimenti di Melfi, ma il Comune di Cercemaggiore volle impugnare l’atto davanti al Tar, chiedendone la sospensiva e l’annullamento. L’udienza non è stata mai fatta, e nel 2003 il ricorso è stato estinto.

Il primo aprile 2014  l’ufficio legale dell’Idv ha depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Campobasso nei confronti di ignoti ravvisando i reati di inquinamento e di disastro ambientale.  E’ stato richiesto inoltre l’intervento dell’assessore regionale Vittorino Facciolla e del ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti.

Secondo Salvatore Ciocca: «Gli abnormi valori di radiazioni, oltre che nei pressi delle vasche  purtroppo sono stati riscontrati anche nei luoghi attraversati dal fosso vernile (il fosso che si crea in inverno con le piogge), che costeggia il sito oggetto di indagine e che misura oltre un chilometro. Tale fosso, a sua volta, sfocia nel Torrente Freddo. Gli accertamenti dell’Arpa, non ancora conclusi, si stanno concentrato sul fosso, sulle acque, sui sedimenti e sulle sponde, per definire in maniera rigorosa l’entità e l’estensione del fenomeno».

Michele D'Amico

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