
La politica e la centralità della persona. La lezione del Parco Nazionale d’Abruzzo

I comunicati di Federparchi e Legambiente che ho letto l’altro giorno su Parchinews, significativamente pubblicati l’uno dopo l’altro, mi hanno colpito come una staffilata. Non per la notizia della nomina del nuovo Presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, da tempo oramai scontata, ma per il modo freddo e burocratico con cui entrambi hanno liquidato il “commissario” Giuseppe Rossi.
Ma quale commissario! Giuseppe Rossi per oltre quarant’anni è stato colonna e anima del Parco: sia durante l’era Tassi sia soprattutto dopo. Sì, anche quando Direttore era Franco Tassi che aveva portato il Parco a raggiungere traguardi eccezionali e a diventare il parco italiano più famoso al mondo. Ancora oggi, quando vai all’estero e parli di parchi, ti senti dire: «In Italia avete il Parco Nazionale d’Abruzzo, lo conosciamo bene»; e alcuni aggiungono: «Beati voi!». Ebbene in quegli anni – ne sono diretto testimone – Peppino è stato non solo il più fedele interprete dell’azione dirompente e di alto livello di Franco Tassi, ma anche colui che nello svolgimento quotidiano delle sue funzioni di crescente responsabilità (è stato vicedirettore per svariati anni) ha retto coraggiosamente la barra nella direzione giusta e nello stesso tempo ha saputo impostare, senza clamori ma con determinazione, un rapporto fecondo tra il Parco e le popolazioni locali.
Il giustamente famoso “miracolo” di Civitella Alfedena, per tanti anni fiore all'occhiello delle politiche del Parco, di chi credete sia stato merito se non soprattutto del giovane Sindaco Giuseppe Rossi?
Negli anni successivi, costretto ad allontanarsi, egli ha continuato a seguire con passione e preoccupazione le travagliate vicende del Parco non mancando di offrire il suo prezioso contributo: prima dal Ministero dell’ambiente, contribuendo in maniera determinante all’azione di supporto ai parchi condotta dalla Segreteria tecnica per le aree naturali protette, poi perfino dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, di cui dal 1996 al 2001 è stato il primo Presidente, e infine dalla Federparchi, alla quale come Direttore ha dato strumenti di particolare efficacia proprio negli anni della grande espansione di questa associazione.
Quando per il Parco d’Abruzzo, oramai PNALM (Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise), conclusa nel 2006 la presidenza di Fulco Pratesi, si dovette pensare al nuovo Presidente il nome non poteva che essere il suo. Così in questi anni, grazie a una profonda conoscenza degli ingranaggi, a un’eccezionale esperienza nazionale e internazionale e a tanti scritti, nonostante difficoltà e resistenze interne ed esterne, Giuseppe Rossi è riuscito a riportare il Parco a una sua articolazione operativa efficiente e ha avviato relazioni molto positive con gli attori istituzionali, economici e sociali del territorio.
A una persona di questo livello oggi viene dato il ben servito: dapprima con un’ingiusta dichiarazione del precedente Ministro dell’ambiente Orlando, persona di grande intelletto alla quale fino a quel momento era andata la mia stima, ma che, come è evidente, è stata pessimamente ispirata, e ora sia con questi comunicati provenienti da soggetti che dovrebbero ben conoscere la situazione e che perciò sono doppiamente censurabili sia anche con il silenzio di chi in altre occasioni e soprattutto in altri tempi non ha avuto timore di prendere posizione.
Non che Giuseppe Rossi dovesse essere per forza confermato: nessuno è insostituibile. Ma sono le modalità con cui è avvenuto il cambio presidenziale che offendono e devono fare riflettere.
Le motivazioni addotte sono ridicole e pretestuose. E’ stato detto dal Ministro Orlando, e poi in coro da quanti si sono a lui allineati, che occorreva un segnale di discontinuità e di dinamismo per affrontare i gravi problemi ancora esistenti e in particolare quelli legati alla tutela dell’orso marsicano, all’approvazione del piano del parco e al mantenimento del prestigioso diploma attribuito dal Consiglio d’Europa. Chi conosce la situazione del Parco sa bene che si tratta di alcuni dei problemi su cui il presidente Rossi si è maggiormente impegnato ottenendo risultati importanti, quasi sempre in grande solitudine, senza la doverosa collaborazione delle altre istituzioni.
Ma la realtà è ben altra ed è inutile ricercarne una razionale e adeguata motivazione: stat pro ratione voluntas. La scelta del nuovo Presidente risponde esclusivamente a imposizioni rispondenti a logiche partitiche, anzi di corrente, e oltre tutto pone un delicato problema di legittimità perché prescinde completamente dal curriculum della persona chiamata a ricoprire la carica presidenziale e da una valutazione della sua adeguatezza a svolgere i difficili compiti che questa carica impone.
Sarebbe però troppo facile attribuire alla “politica” la responsabilità della scelta e alla “ragion di Stato” la rapidità con cui in troppi si sono allineati a tale imposizione. Ho una concezione troppo alta della politica per fare questa accusa: qui, come in tante altre situazioni, siamo in presenza di un fenomeno diverso, di basso livello, che eventualmente potremmo qualificare come subpolitica: è il cinismo di chi, occupando un posto di potere, piccolo o grande che sia, si agita pensando che la politica consista tutta nel manovrare e che per questo non può avere alcun rispetto per le persone ridotte, appunto, a mero oggetto di manovra. E’ proprio in questa subcultura – aggiungo per inciso – che risiedono le cause di quel disinteresse di tanti cittadini per la cosa pubblica e di quel progressivo astensionismo dal voto che caratterizzano l’attuale fase della storia del nostro paese.
A questo punto noi che siamo impegnati sul fronte della conservazione dobbiamo porre una questione che non è moralistica, come forse qualcuno potrebbe affermare, ma è lucidamente razionale: una subcultura politica che considera le persone come strumento e non come fine è in grado di preoccuparsi degli animali, delle piante, della fecondità della terra, della purezza delle acque? E poiché l’impegno per la natura e per i parchi esige forte passione, chi è immerso in un siffatto brodo subculturale è in grado di appassionarsi? La risposta è no: questa subcultura non può che generare mostri. Lo dimostra in maniera clamorosa il testo unificato sulle aree naturali protette attualmente all’esame della commissione ambiente del Senato. Tra le tante previsioni inaccettabili che esso contiene ve ne è una di un’assurdità allucinante perché stabilisce che nelle aree naturali protette, le quali sono per definizione destinate alla conservazione della natura e del paesaggio, si possono realizzare impianti e svolgere attività impattanti, che cioè distruggono risorse della natura e del paesaggio, in cambio di un corrispettivo da assegnare all’ente gestore e allo Stato nella forma di royalties.
A questa subcultura, a questa concezione che riduce tutto a moneta, dobbiamo opporci con forza e determinazione. Dobbiamo affermare, e dimostrare concretamente, che la politica è ben altro, che è al servizio del cittadino e perciò colloca alla base di tutto il rispetto delle persone; che l’impegno per i parchi e per le altre aree protette è un modo di fare politica a livello particolarmente alto perché si fa carico della terra e dell’acqua come beni comuni e proprio per questo rispetta tutti gli esseri viventi. E’ però un impegno che occorre condurre senza pregiudizi ideologici e nello stesso tempo senza farsi condizionare da appartenenze o da timori reverenziali.
Questa è oggi la lezione che possiamo e dobbiamo trarre da quanto è avvenuto nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
