Alcune specie potrebbero tollerare il cambiamento climatico meglio del previsto
Lo studio “A. Climate change may reveal currently unavailable parts of species ecological niches”, pubblicato su Nature Ecology & Evolution da Mathieu Chevalier dell’Ifremer francese e da Olivier Broennimann e Antoine Guisan dell’Université de Lausanne (Unil), presenta un nuovo modello che rivaluta la percentuale di specie terrestri e marine minacciate di estinzione a causa dei cambiamenti climatici.
All’Unil sottolineano che «Mentre i modelli tradizionali stimano che la diversità delle specie terrestri nelle aree tropicali potrebbe diminuire del 54% entro il 2041-2060, le previsioni di questo modello sono più moderate e prevedono una diminuzione del 39%. Questa quota resta allarmante e conferma l’importanza di adottare misure urgenti per mitigare il cambiamento climatico e il suo impatto sulla biodiversità».
Oggi, le temperature sulla Terra variano da circa -70°C in Antartide a +48°C all’equatore. Questi “limiti climatici” sul nostro pianeta si sono sempre evoluti: «Ad esempio – spiegano i ricercatori svizzeri e francesi - 130.000 anni fa, durante l’ultima era interglaciale, il clima era più caldo e simile a quello che potremmo sperimentare entro la fine del secolo. Le specie che si sono evolute durante questo periodo potrebbero quindi essere “pre-adattate” ai cambiamenti futuri. Tuttavia, fino ad ora, i modelli statistici che prevedono la risposta delle specie ai cambiamenti climatici non hanno considerato questo potenziale di preadattamento, che potrebbe distorcere le loro previsioni».
Chevalier, un ecologo marino, aggiunge: «Prendiamo l’esempio di una specie tropicale marina o terrestre: i modelli statistici tradizionali prevedono che scomparirà nei luoghi in cui la temperatura supera l’attuale limite caldo di 48° C. Ma questa visione potrebbe essere troppo restrittiva perché le nostre conoscenze sono limitate dallo studio delle condizioni climatiche attuali. Potrebbe questa specie vivere con una temperatura dell'aria di 50° C? O in acqua più calda o più salata? Sotto l’effetto del cambiamento climatico, tali condizioni potrebbero riapparire e portare ad un’espansione della nicchia climatica di alcune specie».
Guisan, che insegna ecologia spaziale, evidenzia che «Quando una specie è “segnata” dalle condizioni climatiche, conserva infatti un pre-adattamento a queste condizioni che può durare migliaia o addirittura milioni di anni. Se il suo habitat si evolve verso un clima che la specie ha già sperimentato in passato, questo preadattamento le offrirà tolleranza a queste nuove condizioni climatiche»,
Gli scienziati dell’Ifremer e dell’Unil hanno applicato il loro modello a quasi 25.000 specie terrestri e marine – inclusi animali e piante – di tutto il mondo per le quali L’International Union for Conservation of Nature (IUCN) fornisce mappe di distribuzione geografica. Incrociando nel loro modello questi dati con gli scenari di futuri cambiamenti climatic IPCC/CMIP5, hanno scoperto che «Il 49% di queste specie vive attualmente in nicchie climatiche contigue (“incollate”) ai limiti delle attuali condizioni climatiche e che l’86% delle specie potrebbero avere una nicchia che probabilmente si estenderà oltre gli attuali limiti climatici. Una percentuale che sale al 92% per le specie marine».
Chevalier sottolinea che «Il risultato più eclatante riguarda le aree tropicali, sia terrestri che marine. E’ comunemente accettato che il cambiamento climatico porterà a una massiccia scomparsa della biodiversità, fino al 54% delle specie tropicali terrestri entro il 2041-2060 secondo i modelli tradizionali. Il nostro modello mette in prospettiva questa previsione e prevede una riduzione della diversità delle specie “solo” del 39%».
E’ una buona notizia? Chiaramente no, avvertono gli scienziati che raccomandano di restare cauti: «Questa stima della biodiversità minacciata resta allarmante e il clima non è l’unica variabile da prendere in considerazione per avere una previsione realistica del rischio di estinzione delle specie. Dobbiamo considerare anche altre pressioni antropiche, come la perdita di habitat, l’inquinamento, lo sfruttamento eccessivo e persino le invasioni biologiche. Anche se alcune specie sono pre-adattate alle condizioni future, non saranno in grado di sopravvivere se il loro habitat dovesse scomparire. Idealmente, tutti questi aspetti dovrebbero essere presi in considerazione, ma in questo ci siano concentrati sugli aspetti climatici di cui conoscono le condizioni passate».
Broennimann, che si occupa di ecologia spaziale, conclude: «Il nostro studio dimostra che è importante affinare costantemente i nostri modelli, per tenere conto di nuove ipotesi sulla possibile risposta di alcune specie. Sebbene questo sia vero per le specie tropicali che potrebbero tollerare i cambiamenti climatici meglio del previsto, le vecchie stime rimangono valide per le specie delle regioni fredde, alpine e polari e, in larga misura, per le specie delle zone temperate, perché il clima che attualmente regna in queste zone entro il 2041 non esisteranno più siti. Queste specie vivono già ai margini della loro nicchia climatica e non saranno in grado di tollerare temperature significativamente più calde. Questa è una certezza!»