
Quanto è davvero protetto il mare italiano?

Il 12 febbraio il dottor Leonardo Tunesi dell’ISPRA ha tenuto, per conto della Società Italiana di Biologia Marina, un seminario, dal titolo “Strategia Europea per la biodiversità al 2030 e l’ambiente marino” raccontando gli obiettivi della Strategia e le azioni dell’Italia in merito. Tunesi ha cominciato elencando la situazione drammatica di perdita di biodiversità a livello globale. Infatti, secondo il “The global assessment report on Biodiversity and Ecosystem Services” dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) del 2019, il 47% degli ecosistemi naturali è compromesso o comunque ha subito impatti da parte dell’uomo. Il 25% delle specie è a rischio di estinzione. La biomassa globale dei mammiferi selvatici è diminuita dell’82%. Proprio per bloccare questa perdita di biodiversità, la Strategia Europea per la biodiversità 2030, riprendendo il target 3 del Kunming-Montreal Global Biodiversitty Framework (GBF) della Convention on biological diversity (CBD), obbliga gli Stati a creare un network europeo di aree protette per proteggere almeno il 30% della superficie terrestre e dell’ambiente marino con zone protette gestite in maniera efficace e almeno il 10% della superficie terrestre e dell’ambiente marino protetti in maniera rigorosa. Tutto questo entro il 2030.
Come si sta muovendo L’Italia, rispetto a questi obiettivi Onu ed europei? Tunesi lo ha spiegato molto chiaramente. Nel sesto report nazionale CBD del 2019 l’Italia ha dichiarato di proteggere il 19,1% delle superfici marine grazie al D.L. Pretigiacomo (D.lgs n. 83 del 22/06/2012) il quale afferma che «Per la tutela dell’ambiente e della biodiversità [….] vieta attività di ricerca, prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare [….] nelle zone di mare poste entro le 12 miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette». In realtà il D.lgs n. 176 del 18/11/2022 “Misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica” ha ridotto la distanza dalle linee di costa da 12 miglia nautiche a 9.
In Italia vige il divieto di pesca industriale, quindi la pesca a strascico e quella con il cianciolo, all’interno delle 3 miglia nautiche dalla costa e/o fino a 50 metri di profondità. Inoltre, l’Italia sta cercando di fare passare misure FAO come OECMs (Other effective area-based conservation measures, ovvero i siti al di fuori delle aree protette che sono gestiti in modo da garantire la conservazione in situ a lungo termine della biodiversità) e quindi di farle conteggiare nel 30% di superficie marina protetta, le Fishing restricted areas (FRAs). In questo senso il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE) sta cercando di fare rientrare nel 30% protetto, le aree dove esiste il divieto di strascico a profondità oltre i 1000 metri e le aree dove esiste il divieto di pesca in zone che ospitano habitat essenziali per la fauna ittica (EFHs). Nel conteggio del 30% l’Italia ha proposto di farci rientrare anche i siti Natura 2000 costituiti dalle Zone di protezione speciale (ZPS) e dai siti di importanza comunitaria – Zone speciali di conservazione (SIC - ZSC). Per quanto riguarda il 10% di superficie marina rigorosamente protetta, secondo la Strategia Europea per la Biodiversità al 2030, le aree marine protette (AMP) potrebbero rientrare nel 10% ma solo la zona A dell’AMP, quella a tutela integrale e quella B speciale dove sono possibili alcune attività ma senza toccare nulla (No Take).
Al contrario di quanto dettato dall’Europa, l’Italia vuole fare passare come 10% di superficie marina rigorosamente protetta, tutta l’estensione delle 32 Aree Marine Protette istituite fino ad oggi, poiché lì è vietata la pesca industriale (pesca a strascico e cianciolo) e la pesca subacquea (a prescindere dalla zonazione). Se quindi si ampliassero le aree marine protette istituite e se ne istituissero di nuove, se si implementassero le misure di gestione nei siti Natura 2000 e si istituissero, oltre le 12 miglia nautiche, nuovi siti protetti di alto mare, secondo il ministero dell’ambiente, l’Italia potrebbe raggiungere sia il 30% di superficie marina efficacemente protetta e il 10% di superficie marina rigorosamente protetta.
Ma le cose stanno davvero come vuole far credere il governo Meloni? Secondo lo studio “Bulldozed - An unprecedented analysis of trawling in European marine "protected" areas” pubblicato da BLOOM nell’aprile 2024, «I metodi di pesca più distruttivi, come la pesca a strascico, vengono utilizzati quotidianamente nelle aree marine erroneamente definite « protette » d’Europa. [….] In totale, nel 2023, l'Ue ha registrato quasi 6,2 milioni di ore di pesca a strascico o da traino pelagico nelle sue acque, di cui circa 1,7 milioni all'interno delle AMP. Ciò significa che più di un quarto (26,7%) dello sforzo di pesca di questo tipo in Europa avviene all'interno delle AMP. Questo sforzo di pesca non è distribuito in modo uniforme: tre Paesi, Italia, Spagna e Francia da soli rappresentano più di due terzi dello sforzo di pesca a strascico e a traino pelagico nelle AMP. L’Italia, in particolare, ottiene il triste titolo di Paese con il più alto sforzo di pesca di tutta l’Europa, contando da sola per quasi un terzo di tutte le ore di pesca a traino e a strascico del continente (1,6 milioni di ore nell’insieme delle sue acque)».
L’associazione ambientalista europea evidenzia che «Nonostante questo dato sia di per sé già impressionante, il nostro studio sottostima ampiamente il numero di ore di pesca a strascico condotte in Italia, in quanto abbiamo prese in considerazione solo quelle le imbarcazioni di più di 15 metri (le sole per le quali è possibile ottenere un tracciamento affidabile grazie all’obbligo d’installazione di un sistema di identificazione automatica – AIS). Non abbiamo potuto monitorare il 37% dei pescherecci a strascico in Italia perché di lunghezza inferiore ai 15 metri, suggerendo che i dati reali siano in realtà molto più elevati ed allarmanti». BLOOM conclude: «Questo rapporto evidenzia il gigantesco divario tra le cifre di protezione dichiarate dai governi europei e la realtà dei fatti. In queste condizioni, le AMP non possono svolgere il loro ruolo vitale di protezione e ripristino della vita marina, di salvaguardia della pesca su piccola scala e di conservazione dei pozzi di carbonio marini. In vista del Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani 2025 (UNOC), l'Europa ha l'opportunità di chiarire ciò che costituisce o meno un'area marina protetta, adottando gli standard stabiliti dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) : tutte le AMP devono, per definizione, escludere la pesca industriale. Le aree “protette” che non soddisfano questi standard non dovrebbero essere conteggiate nelle cifre ufficiali di protezione dei Paesi».
In pratica lo studio di BLOOM ci dice che non solo le Aree Marine Protette italiane non possono rientrare nel conteggio della superficie rigorosamente protetta, ma che molte tra queste, non dovrebbero rientrare neanche in quella del 30% di superficie marina efficacemente protetta.
A riprova di questo il briefing “Mediterraneo da proteggere” pubblicato da Greenpeace a luglio 2024, evidenzia che «Meno dell’1% dei mari italiani è sottoposto a misure di tutela efficaci e appena lo 0,04% rientra nel computo delle aree in cui è vietata qualsiasi tipo di attività, inclusa la pesca. Siamo quindi ben lontani dall’obiettivo 30x30, che prevede la protezione di almeno il 30% dei nostri mari entro il 2030, di cui il 10% con aree a protezione integrale, che l’Italia si è impegnata a realizzare». L’indagine di Greenpeace ha mappato le aree marine protette (AMP) italiane, i parchi nazionali che prevedono zone di protezione marina, i SIC-ZSC, i siti Natura 2000 e il Santuario dei mammiferi marini Pelagos, analizzando le tipologie di tutela presenti per verificare se la protezione dichiarata corrisponde a una protezione effettiva. Ne è emerso che «Solo le AMP e i Parchi Nazionali hanno regolamenti stringenti in grado di tutelare effettivamente la biodiversità marina, mentre il Santuario Pelagos e i SIC rientrano nella categoria dei cosiddetti “parchi di carta”, aree individuate e definite importanti per la loro biodiversità ma in cui non vengono messe in atto misure di mitigazione o limitazione degli impatti antropici. Queste aree sono incluse nel conteggio delle aree protette del nostro governo, che sostiene ufficialmente di tutelare l’11,6% dei mari italiani».
La Commissione europea sembrerebbe dare ragione pienamente a quanto affermato da Greenpeace, Infatti, l’Ue nel 2023 «Ha deciso di avviare una procedura di infrazione inviando una lettera di messa in mora all'Italia (INFR(2023)2181) per non aver implementato le misure richieste dalla Direttiva Habitat (Direttiva 92/43/CEE) per monitorare e prevenire le catture accidentali di cetacei, tartarughe e uccelli marini da parte delle imbarcazioni da pesca. L’European green deal e la Strategia per la Biodiversità 2030 indicano che è cruciale per l'Ue fermare la perdita di biodiversità proteggendo e ripristinando la biodiversità. L'Italia non ha stabilito un sistema per monitorare la cattura e l'uccisione accidentale di specie protette, come il tursiope e la tartaruga comune, entrambe rigorosamente protette dalla Direttiva Habitat. L'Italia non ha inoltre condotto ulteriori ricerche e adottato misure di conservazione per garantire che le catture e le uccisioni accidentali non abbiano un impatto negativo significativo sulla popolazione delle specie protette. Inoltre, l'Italia non ha adottato misure adeguate per evitare il disturbo significativo di diverse specie marine e di uccelli marini come la berta maggiore, la berta minore, l'uccello delle tempeste europeo e il marangone dal ciuffo nei siti Natura 2000 designati per la loro conservazione. Inoltre, l'Italia non ha monitorato lo stato di conservazione di diverse specie protette».
Il briefing “Healthy seas, thriving fisheries: transitioning to an environmentally sustainable sector”, pubblicato dell’European Environment Agency (EEA) ad agosto 2024, denuncia che «I mari regionali europei sono generalmente in cattive condizioni, il che minaccia la competitività e la sostenibilità a lungo termine dell'industria ittica europea. La pesca eccessiva, la cattura accidentale e il degrado dell'habitat determinano il declino della biodiversità marina nei mari europei, insieme alle pressioni derivanti dall'eutrofizzazione, dall'inquinamento e dai cambiamenti climatici». Il briefing dell’agenzia europea per l’ambiente, smentisce ancora una volta le cifre gonfiate sulle Aree marine protette diffuse dal ministero dell’ambiente italiano e sottolinea che «Attualmente, le AMP coprono il 12,1% della superficie marina dell'Ue, di cui meno del 2% ha piani di gestione in atto. Meno dell'1% è rigorosamente protetto (EEA, 2020; ECA, 2020; CE, 2020 b)». Se si prende in considerazione il Mare Nostrum «La situazione è ancora più grave nel Mar Mediterraneo, dove meno dello 0,06% ha una protezione completa (Claudet et al., 2020)».
Il rapporto “From commitmentto action: achieving the 30X30 target through Global Ocean Treaty” presentato da Greenpeace International alla 16esima conferenza della parti della Convention on biological diversity (Cop16 Cbd) di ottobre 2024 a Cali, in Colombia, avverte che, «Al ritmo attuale, l'obiettivo di proteggere almeno il 30% degli oceani con aree marine protette (AMP) entro il 2030 (cosiddetto “obiettivo 30x30”), concordato da tutti i governi alla COP15, non sarà raggiunto prima del 2107».
Secondo la Commissione Europea la natura dell'Ue è in allarmante declino, con oltre l'80% degli habitat in cattivo o pessimo stato di conservazione, con le zone umide, che a partire dagli anni ’70 si sono ridotte in tutta Europa del 50% e il 71% delle popolazioni di pesci, nell’ultimo decennio ha subito un declino. Per questo, 18 agosto 2024 è stata approvata – con il voto contrario cdel governo italiano - la “Nature Restoration Law che obbliga gli Stati membri a restaurare almeno il 20% delle aree terrestri marine impattate entro il 2030 e tutti gli ecosistemi entro il 2050.
Tutti questi report e studi smentiscono in maniera incontrovertibile i dati comunicati dal ministero dell’ambiente su quanto si sta facendo per raggiungere il 30% di superficie marina italiana efficacemente protetta e il 10% di superficie marina italiana rigorosamente protetta. La realtà è che l’Italia vuole raggiungere questi obiettivi solo sulla carta perché non ha fatto quasi nulla per raggiungere il 30x30 nei tempi previsti dalla Strategia Ue. IL governo Meloni sta confermando, peggiorandola. La tradizione dei governi precedenti: l’Italia firma e recepisce impegni internazionali per la difesa della biodiversità marina, accetta e fissa scadenze per la loro applicazione, poi li ignora completamente e non li applica, in attesa del prossimo summit internazionale nel quale prendersi nuovamente impegni che non verranno attuati.
Eppure la soluzione ci sarebbe: cominciare a correre per istituire nuove aree marine protette e per rendere più ampie ed efficaci quelle esistenti. Ad oggi sono state istituite 32 AMP sulle oltre 50 previste per legge. Alcune situazioni sono assolutamente scandalose come l’Area Marina Protetta dell’Arcipelago Toscano che aspetta da 43 anni di essere istituita e come l’Area Marina Protetta di Capri che aspetta l’emissione del decreto di istituzione, ormai pronto, da almeno un anno, ma la lista delle aree di reperimento e delle AMP non istituite è lunghissima.
Vista l’urgenza bisognerebbe creare un percorso accelerato e semplificato per istituire nuove aree marine protette. Il DL Aiuti nel 2022 ha semplificato il rilascio delle autorizzazioni dei rigassificatori come quello di Piombino divenuti “interventi di pubblica utilità indifferibili e urgenti”, perché non si può pensare un analogo decreto per semplificare l’istituzione delle Aree Marine Protette? Contestualmente dovrebbero essere potenziate le Capitanerie di Porto affinché venga dedicato personale e dotazioni nautiche solamente all’attività di controllo e vigilanza per le AMP e garantire adeguate risorse per la loro gestione. Il Ministero dell’Ambiente dovrebbe infine, cancellare l’art. 8 della legge n. 179 del 2002 che al comma 3 recita: «Le spese relative alle risorse umane, destinate al funzionamento ordinario delle aree marine protette di cui ai commi 1 e 2, sono a carico dei rispettivi soggetti gestori e non possono comunque gravare sui fondi trasferiti ai medesimi soggetti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio». Con questo articolo tutte le AMP sono sguarnite di personale e la loro gestione è affidata a pochissimi ed eroici volenterosi.
Solo attraverso queste azioni, si potrebbe raggiungere sul serio e non sulla carta il 30% di superficie marina efficacemente protetta e il 10% di superficie marina rigorosamente protetta. La strada da prendere è chiara, il problema è: l’Italia la vuole veramente percorrere?
Umberto Mazzantini, responsabile Mare di Legambiente Toscana
